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GROTTE

anno 29, n. 92 - settembre-dicembre 1986

gruppo speleologico piemontese - cai-uget

 

sommario

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La parola al presidente

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Notiziario

7

Attività di campagna

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Dal Ballaur a Piaggia Bella

9

     Introduzione

10

     Inquadramento

12

     Le storie antiche: 1954-71

19

     Le storie recenti: 1972-83

22

     Gli ultimi anni: 1983-86

24

     Cronache dell'assalto: ott.-nov. 1986

48

F5 - Primo amore

52

Ricerche biospeleologiche 1986

 

 

Redazione:

Giovanni Badino, Roberto Chiabodo

 

Marziano Di Maio

(resp.)

 

Alberto Gabutti, Laura Ochner

 

Loredana Valente

 

 

 

 

Foto di copertina (Sala 17 della grotta della Mutera): Meo Vigna

Foto dell'articolo "Dal Ballaur a Piaggia Bella": Giovanni Badino

Bozzetti di Simonetta Carlevaro

 

Stampa: LITOMASTER,

Via Sant'Antonio da Padova 12

 

 

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La parola al presidente

Attilio Eusebio


     La possibilità di scrivere queste quattro righe può diventare l'occasione per ravvivare un po' di polemiche e creare qualche scontento: e credo che questa volta ce ne sarebbe veramente per tutti; polemiche intergruppo ed extragruppo potrebbero trovare in questa sede un ottimo punto di incontro.

     Questa volta però non 10 farò soprattutto perché mi pare che di storiacce già ce ne siano abbastanza, e questo bollettino in parte le trasuda, inoltre credo che ad ogni cosa vada dato il giusto peso, e che forse ora sia giunto il tempo di ridimensionare alcune posizioni.

     Così tralasciando le polemiche preferisco soffermarmi su quelli che sono stati i principali risultati dell'anno a consuntivo dell'attività del gruppo.

     Su tutti mi pare importante mettere l'accento sulla giunzione tra Gaché e P.B., risultato che ha allontanato finalmente la sfortuna che ci aveva accompagnato per quest'anno; ma oltre a questo non vanno dimenticate le altre uscite: le domeniche a scavare per cercare di entrare in altri luoghi oscuri, così come non vanno sottovalutate le altre attività esplorative, anche a grande profondità. Buoni risultati sono usciti infatti dall'F5 (un chilometro di nuove gallerie), dal Buco di Alma e Abisso Venantur, dall'Alvermann e da altri ancora. Un buon anno dunque dove alla lunga la tenacia è stata premiata; che ci serva di buon auspicio per 1'87.

Grotta delle Vene, dopo il sifonetto (foto G. Villa).

 

 

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NOTIZIARIO

 


Assemblea di fine anno 1986 e di inizio 1987 del GSP

     Si è tenuta il 12 dicembre 1986 con il consueto ordine del giorno e con larga maggioranza di membri presenti. Durante la verifica degli aventi diritto al voto si è proceduto (Badino) all'esazione coatta di quelle quote sociali non ancora pagate

     Ube Lovera ha relazionato sull'attività esplorativa che, a lungo vissuta su episodi senza grande fortuna, è stata infine esaltata dalla giunzione del Gaché con Piaggia Bella, complesso che ha in tal modo un ingresso in più, uno sviluppo sui 30 Km e una profondità di 925 m. Altre esplorazioni d'una certa importanza hanno riguardato il Nevado Ruiz, l'Alverman nell'Hagengebirge, il Canin con una settimana di attività, O3, F5, F3, Porte di Ferro e Narti in PB, abisso Oneglia (buco di Alma), Buco del Tunnel, Buco di Valenza.

     Per la tesoreria Loredana Valente ha reso note le cifre principali di spesa e di entrata, dove si è avuto un discreto passivo di gestione. Rimane però attiva, fortunatamente, la situazione patrimoniale.

     Per il bollettino, Di Maio ha espresso soddisfazione per il buon livello degli articoli, per il miglioramento della veste, per i positivi consensi che giungono dai lettori oltre la nostra cerchia e per l'ottima collaborazione nelle fasi di confezionamento e spedizione; motivo di preoccupazione sono invece i costi e il ritardo con cui pervengono gli articoli. Con il n. 91 sono entrate in redazione due tra le varie persone che collaborano nella fase redazionale. Per il futuro si prospetta un aumento di tiratura (e un conseguente rivoluzionamento della fase di stampa) se andranno in porto le trattative volte a far pervenire il nostro bollettino a tutti i soci SSI.

     Per il magazzino Scagliarini ha esposto un quadro piuttosto desolante della situazione materiali: c'è ben poco ed è quasi tutto sparso in grotte armate o presso singoli speleologi; stanno rientrando un po' di corde, ma molte sono appunto in grotta (tra l'altro, 5-600 m alla Filologa); anche i locali di deposito sono inadeguati e se ne stanno cercando altri. Sarebbe almeno necessario un collaboratore che si affianchi ai due responsabili.

     Villa per la biblioteca ha comunicato che è stato fatto il consueto riordino annuale delle pubblicazioni, che il poco spazio in più ottenuto dalla Sezione è già stato riempito, e che si spera di poter presto utilizzare il computer da poco acquistato.

     Anche per il Catasto (Villa) si cercherà di utilizzare il computer. È uscito finalmente il nuovo (terzo) aggiornamento catastale.

     Vigna ha reso nota la situazione degli strumenti da rilievo, di cui alcuni giochi sono da sistemare. È stato adottato il nuovo sistema di distribuzione.

     Per l'OPS lo stesso Vigna ha fatto rilevare che, con la strutturazione attuale, il suo mantenimento non ha molto senso. L'attività che vi si svolge del resto fa parte della routine del Gruppo. Ne ha proposto l'abolizione e l'assemblea si è dichiarata d'accordo.

     Chiabodo ha ricordato la realizzazione dell'ampliamento della Capanna con il locale invernale. Il problema della neve che si era infiltrata è stato risolto. È stata portata e già montata la stufa. È necessario risparmiare per ora il gas (illuminare con altri sistemi) perché scarseggia e fino alla buona stagione non potrà avvenire il rifornimento.

     Per l'archivio ha relazionato Eusebio a nome del responsabile Garelli. Anche per questo servizio verrà utilizzato il computer. Carlo Balbiano è disponibile a collaborare con il responsabile attuale.

     Eusebio e Vigna hanno riassunto la situazione dell'AGSP, di cui è divenuto presidente lo stesso Eusebio e rappresentanti del CAI in seno alla Commissione Regionale sono stati nominati Badino e Vigna.

     Per la biospeleologia (Casale), una relazione esauriente dell'attività svolta è pubblicata su questo

numero.

     La Segreteria (Barisani) ha tenuto un'ordinaria amministrazione.

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     Per il 1987 sono stati riconfermati tutti gli incarichi precedenti, tenendo presente tuttavia che si dovrà cercare un collaboratore sia per il responsabile del magazzino (Truffo) e sia per quello della Capanna (Chiabodo).

     Si è proposto e approvato di fissare un'ora di inizio per le riunioni del venerdì sera e di tenervi periodicamente lezioni di aggiornamento su vari temi, e si è raccomandato nel dare relazione verbale delle uscite di diffondersi anche su una sommaria descrizione non solo delle grotte ma altresì della zona circostante.

     Si è quindi passati a nominare i membri aderenti per il 1987 (che sono 48) e ad eleggere i membri effettivi (che sono risultati 16).

     È stato riconfermato presidente Attilio Eusebio.

     Anche per l'Esecutivo si è avuta una riconferma in blocco e pertanto per il 1987 ne faranno parte, oltre al presidente, Chiabodo, Lovera, Tesi (Pinerolo), Vigna, Villa e Zinzala.

Membri effettivi:

Giovanni Badino, v. Scatti 7/5, Savona, 019-28452; v. S. Francesco da Paola 17, 83.97.605.

Roberto Chiabodo (Arlo), c. Emilia 32, 23.56.04

Pier Carlo Curti, c. Orbassano 255/F, 35.77.61

Maria Dematteis, str. Tetti Gramaglia 19, Cavoretto, 67.39.29

Marziano Di Maio, v. Cibrario 55, 75.12.53 (lav. 88.05.220)

Attilio Eusebio (Poppi), v. Correnti 35, 32.01.22

Alberto Gabutti (Lucido), v. Galliari 32, 65.02.655

Ube Lovera, v. G. Bosco 18, Moncalieri, 605.27.65

Riccardo Pavia, v. San Paolo 84, 38.30.10

Elio Pesci, v. Frejus 48/11, 44.72.154

Stefano Sconfienza, v. Castelgomberto 38, 36.24.97

Walter Segir (Papà), v. Brandizzo 65, Volpiano, 98.84.529

Flavio Tesi, v. Roncaglia 13, Roletto, 54.21.95 (neg. Pinerolo 22.294)

Meo Vigna, v. Bianzé 6, 76.68.46

Giuliano Villa, regione Gèrbole 66, Volvera, 98.56.133

Walter Zinzala, piazza Scipione l'Africano 2, 89.02.47

 

Membri aderenti:

Carlo Balbiano d'Aramengo, v. Balbo 44, 88.71.11

Piergiorgio Baldracco, v. Boccardi 28, Pino Tor., 84.15.15

Luigi Barcellari (Birci), v. Torino 155, Pinerolo, 70.294

Barbara Barisani, v. Baltimora 54, 39.80.46

Valentina Bertorelli, p. Carducci 130, 63.73.57

Gianfranco Buscatti, v. Ghigo 4, Polonghera (CN), 97.44.88

Simonetta Carlevaro, str. Commenda 2/5, Druento, 98.44.048

Giampiero Carrieri, v. Lanfranco 318, 17011 Albissola Sup. (SV), 019/45935

Achille Casale, c. Raffaello 12, 650.88.84

Maurilio Chiri, v. Trento 22, Sanfront (CN)

Agostino Cirillo, Pordenone, 0434/40552

r.Jario De Quino (Trattorino), v. del Rio 9/B, Dubbione di Pinasca, 84.08.90

Gerardo Di Fonzo (Gerry), v. Pellico 53, Pinerolo, 0121/22.795

Silvia Faure, viale Piazza d'Armi 55, Pinerolo, 0121/72.324

Mauro Galliano, v. Sestriere 33, None, 986.44.68

Carlo Garelli (Uccio), v. Caraglio 7, 37.44.90

Alessandra Garnero, v. Raviolo 10/a, Pinerolo, 0121/71.831

Adriano Gaydou, v. Baltimora 15, 36.51.60

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Antonella Giardinieri, v. Cavour 9, Pinerolo, 0121/59.286

Beppe Giovine, str. Druento 366, 10040 Savonera di Torino, 424.01.30 (neg. 424.03.56)

Roberto Guiffrey (Armando Pozzi), v. Santa Croce 14, 41.503.41

Jo Lamboglia, Tour 21, route de Turin, Nice; (93) 84.46.78

Consolata Lusso, v. Camerana 4, 51.77.37 (Asti 0141/21.62.21)

Franca Maina, vedi Villa

Andrea Manzelli, v. Bossolasco 11, 335.18.02

Nino Masciandaro, v. Monfalcone 16, Montescaglioso (MT), 0835/207503

Franco Mazza, v. Col di Nava 11, Settimo Tor., 800.12.34

Franco Mellano, v. Bergera 10/A, 79.16.86

Gianni Nobili (Monnezza), v. Bardonecchia 123, 72.78.10

Laura Ochner, v. Baltimora 160/B, 30.72.42

Claudio Oddoni, c. Montecucco 146, 70.47.22

Mario Oddoni (Cagnotto), v. Urbino 15, 48.84.35

Margherita Pastorini, vedi Vigna

Luisella Pilotti, v. San Gillio 47, Pianezza, 96.757.96

Rosalinda Rambaldi, vedi Buscatti

Lucia Rattalino, v. G. Verdi 19, Cavagnolo, 91.516.91

Mauro Scagliarini, v. Vittime di Bologna 9, 273.25.52

Marco Scambelluri, v. Graglia 34, 36.47.45

Roberto Serra, c. Raffaello 11, 68.32.31

Davide Squaiella, v. Bionaz 18, 707.05.95

Pierangelo Terranova, v. Rovereto 12, Pi no T or. 84.06.21

Marilia Terranova, vedi Pierangelo

Otello Tocco, v. Paoli 86, 32.90.387

Valerio Tosi Beleffi, v. Carrera 105, 71.21.35

Pier Luigi Trova (Pigi), viale Piazza d'Armi 55, Pinerolo, 0121/72324

Beppe Truffo, via A. Diaz 32, S. Mauro Tor., 822.24.74

Loredana Valente, vedi Eusebio

Lucia Vallardi, c.so Mediterraneo 76, 50.00.49

     Nella riunione di metà anno, che per vari motivi è slittata dopo i campi estivi, erano stati proposti 14 nuovi membri aderenti: Carlo Balbiano, Maurilio Chiri, Mauro Galliano, Antonella Giardinieri, Alessandra Garnero (Prolunga), Carl Malisani, Andrea Manzelli, Celestino Masoero, Franco Mazza, Lucia Rattalino, Mauro Scagliarini, Valerio Tosi, Beppe Truffo, Lucia Vallardi.

     È nata la commissione per la speleologia dell'LPV, nonostante che non se ne sentisse un enorme bisogno. Forte è il sospetto che venga a sovrapporsi ad altre analoghe assemblee comportando prevalentemente notevoli perdite di tempo. La prima riunione, tenuta a dicembre, ha cercato di scongiurare questi rischi. Rappresentanti per il GSP sono Chiabodo e Lovera, presidente (pro tempore) è stato eletto Mario Ghibaudo.

     Natale sugli Alburni per alcuni di noi. La relazione sul prossimo Grotte.

     Leggendo questo numero sarete portati a credere che Piaggia Bella abbia ora 10 ingressi. Invece no, ne ha 11.

     G. Badino è divenuto responsabile (pro tempore) della SSI in Piemonte. Saltate addosso a lui ogni volta che la SSI vi fa una schifezza, tipo non mandarvi il bollettino, e sentite cosa vi risponde.

     Ha anche iniziato in Gruppo una campagna di iscrizioni alla SSI: siamo a quasi sette soci.

     In novembre Meo Vigna accompagnato da M. Pastorini, G. Villa e F. Maina ha partecipato al 6° Festival International du Diaporama tenutosi ad Anduze (Gard). I due servizi presentati

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hanno conseguito un notevole successo, meritandosi il 3° premio assoluto e una menzione particolare da parte della Fédération Française de Spéléologie. Sono stati presentati al Festival oltre 25 servizi; purtroppo è stata notata la completa assenza di altri partecipanti d'oltr'alpe: che in Italia non ci sia nessun interesse a far conoscere attraverso le immagini i nostri mondi sotterranei?

     Capanna: nei mesi autunnali sono praticamente finiti i lavori all'ampliamento. palchetto, riparo mobile in legno fra i due locali, dotazione di letti e materassi.

     Anche quest'anno ci diletteremo con il Corso di speleologia. La 30° edizione è affidata a Sconfienza e Tesi.

     Notizie dal Gortani: le immersioni nel sifone finale (un lago nel quale le forti variazioni di livello fanno sospettare regioni intasate di fango e detriti) hanno approfondito la grotta di una ventina di metri. La stessa punta ha scoperto disinnescato il sifone del Davanzo, che ora è uno dei rami del complesso. Gli speleologi di Trieste (e uno di Garessio) han proseguito per trecentocinquanta metri di sviluppo anche in questa regione.

     Qualcuno ci ha detto che l'Alverman (-440) è il più profondo abisso mai esplorato da speleologi italiani (Imperiesi e Torinesi) all'estero. Non è vero, è il Pentothal (-500): la speleologia torinese potrebbe vantarsi di questi due risultati in cui ha dato un contributo più che essenziale. Non fosse che sono risultati che mostrano quanto sia piccola la speleologia italiana. È proprio meglio non vantarsi.

     Colpo secco e gobbo degli speleologi imperiesi all'Arma delle Mastrelle: incuranti delle tradizioni (specialmente torinesi...) che la davano ermeticamente chiusa, vi han trovato una prosecuzione. L'11 gennaio 1987 sono entrati alle Porte di Ferro, in PB: il complesso ha dunque undici ingressi, e non pochi speleologi esploratori dell'Arma passano da fessi. Meglio.

     Tantissimi particolari li troverete sul prossimo numero del bollettino.

 

 

 

Sul prossimo numero

     Le dimensioni dell'articolo su Gaché-PB ne hanno espulsi molti altri da questo numero lanciandoli sul prossimo.

     Là troverete (forse) :

- Icecrak: il Crak all'esplorazione delle grotte nei ghiacciai.

- Martellatore: tecniche di risalita velocissima e sicura in artificiale.

- Alburni: microspedizione in loco con gli amici di Napoli.

- fisica e speleologia: curiosità fra le due ma da un punto di vista insolito.

- Buco di Alma: nome di "lavoro" di un abisso promettente su una zona chiave, quella fra PB e Labassa.

- zona O: consuntivo su quel che se ne sa.

- Artesinera; nuove prosecuzioni.

     E poi un mucchio di altre esplorazioni che non siamo in grado di anticiparvi perché ancora non le abbiamo fatte: ma siamo molto presuntuosi, e ci contiamo parecchio.

 

 

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ATTIVITÀ DI CAMPAGNA

 

6-7 settembre, Zona Alfa-Masche: Gabutti e Villa. Battuta, segnati alcuni buchi con aria.

F5: Dematteis, Eusebio, Lovera, Masciandaro, Mazza, Sconfienza, Vigna. Esplorazioni sul fondo di -425m, visti alcuni camini con aria. Armata la via del fondo -507.

Buco del Torrione (Limone Piemonte): Gaydou.

13-14 settembre, Bassa zona D: Carlevaro, Chiabodo, Eusebio, Gabutti, Mazza, Nobili, Pastorini, Tosi, Valente, Vigna. Disostruzione di due grotticelle con aria. Esplorato un nuovo buco fino a -40.

F5: Badino, Bertorelli, Dematteis, Lovera. Trovato il collegamento tra i rami di -480 e -507.

Val Maira: Ghiri, Galliano, Garnero, Giardinieri, Faure, Tesi, Trova. Battuta.

20 settembre, Bassa zona D: Segir e Vigna. Disostruzione di un buco soffiante.

21 settembre, Capanna Saracco-Volante: Badino, Bertorelli, CGarlevaro, Chiabodo, Chiri, Dematteis, Eusebio, Galliano, Garnero, Giardinieri, Gabutti, Lovera, Lusso, Ochner, Pastorini, Tesi, Tosi, Valente, Vigna. Lavori sul rifugio invernale.

4-5 ottobre, Grotta della Spipola e Tana della Gaggiolina: Chiabodo, Carlevaro, Gabutti, Ochner. Visita nella zona dei Gessi bolognesi, ospiti del GS Emiliano di Modena.

F5: Dematteis, Lovera, Sconfienza, Tocco. Rilievo del collettore.

Grotte del Caudano: Barcellari, Chiri, Galliano, Garnero, Giardinieri, Faure, Tesi, Trova, Villa, Zinzala. Accompagnati i partecipanti della gita sociale del CAI Pinerolo organizzata dal GGP. Abisso Gaché: Badino, Serra, Truffo. Inizio dell'armo.

Mongioie: Pastorini e Vigna. Battuta sulle zone alte; trovati vari buchi con aria.

11-12 ottobre, Capanna Saracco-Volante: Chiabodo e Galliano. Lavori al rifugio.

Rio Martino: Barcellari, Ghiri, Faure, Giardinieri, Piccolo, Trova. "Giornata ecologica" con raccolta e asportazione di rifiuti.

Bassa zona D: Massa, Pastorini, Pavia, Vigna. Continuati i lavori di disostruzione.

18-19 ottobre, Buco di Alma: Cirillo (USP), Eusebio, Lovera, Pastorini, Tosi, Valente, Vigna. Disostruzione della prima strettoia.

Grotta Barmassa: Gaydou.

Rio Martino: Chiri.

18-21 ottobre, Gornergrat (Zermatt): Badino con Vianelli, Carrieri, Piccini e Alfredo. Esplorate varie cavità nel ghiaccio e fatte osservazioni. Battuto il primato mondiale di discesa in grotte nel ghiaccio (-110 m).

25-26 ottobre, Buco di Alma: Chiabodo, Carlevaro, Cirillo (USP), Eusebio, Gabutti, Mazza, Pastorini, Tosi, Valente, Vigna. Superata anche la seconda strettoia ed esplorato sino a circa -120.

Capanna Saracco-Volante: Dematteis, Lovera, Lusso, Sconfienza, Vallardi. Iniziati i lavori per unire le coperture dei due rifugi.

Battuta sopra Rio Martino: Chiri, Galliano, Garnero.

1 novembre, battuta nei pressi di Finale: Galliano, Garnero, Faure, Trova, Maina, Villa.

1-2 novembre, Piaggia Bella: Bertorelli, Ghiri, Fontanella, C. Oddoni, Scagliarini, Truffo. Ricerche in Paris-Côte d'Azur, trovati condottini fossili con aria forte.

Buco di Alma: Eusebio, Gabutti, Mazza, Pastorini, Tosi, Vigna. Continuata l'esplorazione sino agli attuali fondi e fatto il rilievo. Ritorno nella tormenta con 70 cm di neve.

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9 novembre, Abisso Gaché: Cirillo (USP), Dematteis, Lovera. Armato fino al pozzo dell'Aretino; proseguita l'esplorazione di 200 m di gallerie in direzione di PB.

Piaggia Bella: Guiffrey e Pavia. AI Meandro dei Narti: portato materiale al campo oltre il sifone dei Piedi Umidi, rivisto il meandro, fermi su arrampicata, fatto il rilievo.

Labassa: Badino con Mureddu e Renzo del GSI. Giro al fondo dei Mugugni.

Grotta delle Arenarie: Giardinieri, C. Oddoni, M. Oddoni, Tesi, De Quino, Lo Turco, Rattalino, Truffo e speleologi di Vercelli.

Rio Martino: Chiri e Galliano.

Caudano: Bertorelli, Garlevaro, Gabutti, Minetti, Perello, Zinzala ad accompagnare amici.

15-16 novembre, Grotta di Bossea: Chiabodo, Chiri, Curti, Eusebio, Gabutti, Giovine, Guiffrey, Lovera, Pavia, Segir, Sconfienza, Terranova, Tesi, Vigna, Zinzala.

Esercitazione di soccorso del 1° Gruppo.

23 novembre, Garbo della Donna Selvaggia: Gaydou, C. Oddoni, M. Oddoni, Tosi, Rattalino, Tesi, De Quino, Faure, Trova.

Tana delle Fontanelle: Chiabodo, Curti, Eusebio, Pastorini, Valente, Vigna. Trovato un nuovo ramo con discreta corrente d'aria.

Abisso Gaché: Badino, Cirillo (USP), Dematteis, Lovera, Sconfienza. Esplorati altri 300 m di gallerie in direzione di PB e fatto il rilievo.

29-30 novembre, Abisso Gaché: Badino, Cirillo (USP), Lovera, Sconfienza, Segir, Vigna. Giunzione con Piaggia Bella.

Rio Martino: Chiri.

Capanna Saracco-Volante: Bertorelli, Dematteis, Pastorini, Pesci. Lavori di sistemazione.

7-8 dicembre, Abisso Gaché: Ghiri, Galliano, Garnero, Giardinieri, Faure, Pastorini, Trova, Tesi, Toninelli, Tosi, Truffo, Vigna. Disarmo e recupero dei materiali.

Battute sul M. Pisanino (Apuane): Baldracco, Bertorelli, Eusebio, Pesci, Terranova, Valente.

14 dicembre, Piaggia Bella: Cirillo (USP), Bertorelli, Dematteis, Lovera, Terranova. Nelle gallerie fossili e nella zona di giunzione con il Solai.

Boves: Maina, Vigna, Villa. Viste alcune grotticelle chiuse e un pozzetto da disostruire.

20 dicembre, Abisso dell'Artesinera: Cirillo (USP), Guiffrey, Nobili, Pavia, S. Serra. Iniziata una risalita a -250.

Caverna in Val Vermenagna: Villa con Giacobini. Osservazioni paleontologiche.

Rio Roccia Bianca (Boves): Pastorini e Vigna. Battute e visti alcuni buchi senza aria.

26 dicembre, Prato Nevoso: Chiabodo, Eusebio, Pastorini, Valente, Vigna. Battute.

27 dicembre, Rio Roccia Bianca e Garbo della Regina Giovanna (Boves): Chiabodo, Eusebio, Valente, Pastorini, Vigna. Battute ed esplorazione di piccole grotticelle chiuse.

28 dicembre, Rio Martino: Tesi ad accompagnare nuovi adepti del GGP .

30 dicembre, Zona Case Bottero (Val Corsaglia): Chiabodo, Eusebio, Vigna. Battuta nella media valle ed esplorate alcune piccole cavità.

26 dicembre-6 gennaio, Monti Alburni: Bertorelli, G. Dematteis, M. Dematteis, Lovera, Masciandaro e i 3 Terranova, più Francesco, Lucio e Tonino del GS CAI Napoli.

E 1002

     Metà settembre 1986: nel corso del lavoro di riposizionamento dei buchi di zona D e zona E viene localizzato presso la cosiddetta "dolina del pino" un buchetto che dopo una veloce disostruzione viene disceso da una squadra GSP. All'ingresso, in strettoia, segue un laminatoio e poi un bel meandro dove bisogna procedere spostandosi a più livelli sino a sbucare alla sommità di un bel P.25 che, naturalmente, al fondo toppa su una fessura larga un dito (-50 circa). Il lavoro di scavo alla "dolina del pino" (forte corrente d'aria) è continuato ma si è ancora ben lontani dal passare; il buco di cui sopra, chiamato E 1001 , distante dalla dolina non più di una trentina di metri, invece è privo d'aria quasi da soffocare.

(R. Chiabodo)

 

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     La notte del 30 novembre 1986 una squadra di speleologi del Gruppo Speleologico Piemontese di Torino, che stava esplorando un nuovo ramo nell'Abisso Gaché sulle Alpi Marittime, è entrata in una regione già conosciuta della sottostante cavità Piaggia Bella, collegando in tal modo le due grotte.


DAL BALLAUR A PIAGGIA BELLA

 


 

Farai un vers de dreit nien Una poesia farò di puro nulla

non er de mi ni d'autra gen non sopra me né sopra altri

non er d'amor ni de joven ni de ren au, altri neppur d'amore e di gioventù, e di null'altro,

qu'enans fo trobatz en durmen sus un chivau ch'anzi fu scritta mentre dormivo sopra un cavallo

     Hanno collaborato alla realizzazione di questo articolo Guilhem de Peitiau poeta provenzale XI secolo (GP), Giovanni Badino (GB), Carlo Balbiano (CB), Agostino Cirillo (AC), Giuseppe Dematteis (GD), Maria Dematteis (MD), Marziano Di Maio (MDM), Piergiorgio Doppioni (PD), Roberto Guiffrey (RG), Ube Lovera (UL), Riccardo Pavia (RP), Stefano Sconfienza (SS), Walter Segir (WS), Lucia Vallardi (LV), Meo Vigna (MV), Walter Zinzala (WZ)

 

 


Introduzione

 


     Questo articolo sarà un po' diverso dai soliti.

     E il principale di un bollettino che chiude un anno di attività abbastanza intensa ma male distribuita fra gli esploratori del gruppo, soprattutto chiude un anno di attività sfortunata: a tratti le impostazioni delle "campagne" erano ottime solo che sono in genere mancati i risultati. Un anno per molti versi simile a quell'84 nel quale l'impegno e le aspettative sopravanzarono, e di molto, i risultati. Allora una delle conseguenze fu una certa demoralizzazione, così come e spesso successo quest'anno non aver ceduto ha premiato, ma di misura.

     Però non è per questo che l'articolo sarà diverso né lo sarà perché PB è cresciuta sia in sviluppo che in profondità: crescerà ancora parecchio, state tranquilli, non è il caso di ubriacarsi ad ogni metro.

     Neppure l'aria di festa che ci permea da un mese è dovuta all'accrescimento conoscitivo: PB da questo punto di vista non è cresciuta affatto, aveva già dato tutto nell'83 con le operazioni su Gola del Visconte, che l'aveva risolta come allargamento verso Nord-Est, e con l'Essebue che aveva chiarito, finalmente, che il Gaché era una grotta sostanzialmente orizzontale.

     Il motivo di questo articolo e che una delle grandi Itache marguareisiane è stata raggiunta, un'Itaca alla quale abbiamo lavorato in tantissimi nell'arco di trent'anni, come in nessun'altra.

     In fondo se confrontata a questa la storia del sublime Fighiera-Corchia sa di cronaca degli ultimi anni, mentre il Gaché-PB è stato il più grande e continuo mito degli esploratori marguareisiani. È curiosamente l'interesse per questa giunzione (che, ripeto, conoscitivamente vale poco più di zero) è stato altissimo un po' in tutti, perché anche i grandi esploratori di venti anni fa e che ora collaborano o stanno ai margini della speleologia, avevano a suo tempo preso il mare in cerca di questa remota isola. Per questo abbiamo pensato di chiedere loro cosa pensavano, di raccontare aneddoti, retroscena: di far capire come al di là di quella stupidaggine che è il meandro di giunzione, il sospetto della sua remotissima esistenza aveva fatto intessere storie, suscitato entusiasmi, fatiche, discussioni. Finché poi piano piano la sua esistenza nella mente di chi l'aveva cercato si era fatta remota, senza più la forza di muovere sognatori. Ma è stato stupendo, una sera di qualche tempo fa, appena usciti di grotta telefo-

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nare a sera tarda a questo e a quello e rievocare in loro quel sognino in fondo alla loro mente e dire "siamo sbarcati, ed abbiamo pensato di dirtelo". E sentire che ci avrebbero ringraziati anche se li avessimo tirati giù dal letto alle tre di notte. E lo stesso entusiasmo ha colpito quelli che in tempi remoti eran stati avversari degli italiani, quei vecchi speleologi francesi che hanno fondato la speleologia sul Marguareis.

     Ecco, siamo convinti che le grotte siano le scuse fisiche per intessere storie, siano esse storie personali o no, e siamo convinti anche che ben più importante della descrizione di una sequenza di pozzi e meandri, sia la descrizione degli stati mentali, dei punti di vista coi quali essi sono stati cercati. Le grotte sono mere scuse:

Farai un vers de dreit nien.

     E così pensiamo di dedicare il più possibile di questo numero di Grotte a cantare questa storia bellissima che ha coinvolto così tanta gente, e cercare di far capire quanto sia bella questa assurda disciplina chiamata speleologia e quanto poveretti quelli che, dentro di essa, vedono solo occasioni di cimento sportivo, giornalistico o subscientifico.(GB)

     Sarà un articolo lungo a più facce perché tutti coloro che hanno partecipato devono dare un contributo anche perché, in omaggio all'individualismo imperante, le analisi divergono a volte notevolmente. (UL)

 


Inquadramento

 


Inquadramento geografico

     Il vallone di Piaggia Bella è una grande conca glacio-carsica caratterizzata da una morfologia a circhi sui lati settentrionali della testata, alle falde del M. Ballaur, a cui segue una serie di grossi ripiani e valli assorbenti separati da gradoni rocciosi. La morfologia carsica superficiale è caratterizzata in particolare modo da forme di dettaglio sovraimposte sulle superfici di erosione glaciale. La conca costituisce una grossa parte dell'area di assorbimento del sistema di P.B., al di sotto infatti si sviluppa il reticolo di gallerie che attualmente drena tutto il settore considerato. Diversi abissi, quali la Gola del Visconte, Caracas, Indiano, J. Noir, confluiscono nel sistema principale e rappresentano le vie di drenaggio preferenziali, percorribili agli speleologi.

     Il collettore di P.B. si sposta gradualmente verso Sud-Est a ricevere in parte attraverso i Reseaux A e B le acque provenienti da un altro vallone carsico, localizzato al di là del M. Ballaur che prende il nome di zona Omega e settore Arpetti. In quest'area è localizzato un altro abisso, l'S 2 che confluisce nel sistema e costituiva l'ingresso più alto di tutto il complesso. Il collettore principale compie quindi una grande curva dirigendosi verso Sud-Ovest fino a raggiungere una serie di profondi sifoni. Molto probabilmente le acque confluiscono infine dopo circa 600 metri di gallerie sommerse nel grande complesso di "Labassa", cavità in fase di esplorazione da parte del G.S.I., che costituisce il nodo principale di tutto il sistema idrogeologico Marguareis sud-Foce.

     Il M. Ballaur (2604 m) che domina tutta la conca di P.B., è caratterizzato da una lunga dorsale calcarea che staccandosi dal Col del Pas segue prima lo spartiacque tra la Val Tanaro e la Val Ellero, poi separa la conca di P.B. da quella di zona Omega e punta Arpetti. Proprio in prossimità della punta si aprono alla stessa quota (2525 m) ma su opposti versanti i due nuovi ingressi più alti del sistema: l'abisso Gaché e l'Essebue. La giunzione di questi con il sistema sottostante ha portato il dislivello dell'intero complesso a -925 m, e lo sviluppo a circa 30 Km.

La via della giunzione

     I due abissi si trovano proprio in prossimità dello spartiacque sotterraneo ideale che separa il sistema della Foce con quello drenato alle sorgenti dell'Ellero. Infatti le acque presenti nella prima parte dell'abisso Gaché, fino a circa -200, si dirigono verso il Pis d'Ellero, seguen-

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do un percorso ancora da esplorare (dislivello dall'ingresso circa 700 m, distanza in linea retta 2,5 Km, colorazione Chochon 1956), mentre nelle zone più basse defluiscono verso P.B.

     Il carsismo di questo settore, come quello presente in tutto il massiccio, risulta però assai più complicato. Infatti mentre attualmente si riconosce nelle aree di assorbimento una circolazione prettamente verticale, con drenaggi assai rapidi, fino ad arrivare al limite di percorribilità, lungo il quale si sviluppa gran parte del collettore principale di P.B., le recenti esplorazioni hanno portato alla scoperta di una rete di condotte a pieno carico, a quote assai elevate, circa 2100. Queste gallerie, generalmente caratterizzate da un successivo approfondimento, sono infatti testimonianza di una circolazione freatica assai diversa dalla attuale, ma è proprio attraverso la loro esplorazione che è stato possibile congiungere i due complessi carsici. Il Gaché infatti segue, sia attraverso la via vecchia che l'Artiglio Destro (explo 1978) un percorso prettamente verticale fino a raggiungere a -520 una galleria orizzontale chiusa da serie di ringiovanimenti troppo stretti. Generalmente caratterizzato da pozzi stupendi, tra cui un 135, e da due brevi meandri normalmente di facile percorrenza, il Gaché presenta caratteristiche notevolmente diverse dal vicino Essebue distinto da frane, strettoie e arrampicate scivolose. La galleria che collega i due abissi a -400 presenta però una morfologia a pieno carico, con successivo approfondimento gravitazionale, interrotta in corrispondenza dei due arrivi principali del Gaché.

     Seguendo così i relitti di questa condotta ma dalla parte opposta, è stato possibile scoprire il ramo della giunzione. Anticamente, sicuramente in epoca prewürmiana, esisteva quindi un livello di falda, molto più alto di quello attuale che seguendo i principali sistemi di frattura (NE-SW) si sviluppava, debolmente inclinata, verso PB. Poi tutto il sistema si è approfondito, le gallerie sono state tagliate, sventrate, le acque, seguendo percorsi verticali hanno scavato verso il basso percorsi troppo stretti per essere seguiti dagli speleologi.

     La via della giunzione, che presenta uno sviluppo di circa 800 m è caratterizzata da debole pendenza, il dislivello è infatti di soli 120 m circa. La morfologia prevalente è sottolineata da condotte a sezioni metriche approfondite in particolar modo nel primo tratto da meandri so-

L'entrata del Gaché (quota 2525) a novembre 1986.

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sospesi su una serie di profondi pozzi (oltre 70 m).

     Il percorso più agevole è in prossimità del soffitto, lungo le condotte; in basso frane o stretti meandri rendono quasi impossibile la progressione. Più avanti una serie di brevi salti (10,4,14,2,7,7) si intervallano a stretti meandri o condottine. Alcuni arrivi, con acqua, confluiscono nel ramo principale, che diventa più largo e facilmente percorribile fino a un P.6 punto di giunzione con il meandro dei Narti, risalito da P.B. Ancora forra poi un P.14 ed un P.20 inclinato fino a sbucare in prossimità del sifone a monte dei Piedi Umidi, proprio dove confluiscono le gallerie Rousseau di P.B. e l'abisso della Gola del Visconte. (MV)


Le storie antiche: 1954-71

 


     La storia di questo complesso inizia con le prime esplorazioni sul Marguareis all'inizio degli anni '50. È facile da trovare ed è alto, altissimo, quasi alla sommità del massiccio: dunque è di enorme interesse per record di profondità. Piaggiabella si propaga verso il basso e se il Gaché vi entrasse .... Ma ci sono gravi difficoltà: intanto va giù decisissimo, a pozzi, e queste strutture erano nemiche della speleologia di allora perché richiedevano molto materiale pesante e lunghe, lunghissime soste negli armamenti. L'alta quota lo rende difficile da raggiungere e terribilmente freddo, intorno agli zero gradi con cento per cento di umidità; ed in più c'è un nevaio nella dolina che scarica acqua e fa sì che nei pozzi ci si infradici. Le esplorazioni possono essere solo massicce e sono durissime. (G. Badino in "Gli abissi italiani").

... Fu scoperta il 10/8/1954 da speleologi francesi (A. Chochon, Y. Creac'h, T. Senni) del Club Martel di Nizza e M. Le Bret di Lione, i quali la chiamarono "Abisso Raymond Gaché" in onore del Presidente dello Speleo Club di Parigi. La grotta fu messa poi a catasto sotto il numero 190 Pi.

     L'esplorazione fu iniziata l'11/8 e fu condotta fino alla profondità di -77 m. dove inizia un pozzo di ben 127 m. Questo venne disceso il 12/8 assieme al successivo di 47 m. Un altro pozzo da 67 m. che segue immediatamente fu ancora disceso il giorno dopo. Questa esplorazione fu effettuata con scale e corde senza usare il verricello.

     Nel luglio del 1955 l'esplorazione venne ritentata da una squadra del Gruppo Triestino Speleologi, ma venne funestata dalla morte dello speleologo Lucio Mersi, precipitato nel pozzo di 127 m. La salma veniva ricuperata alcuni giorni dopo da una squadra di speleologi venuti appositamente da Trieste. Nel pozzo si dovettero abbandonare centinaia di metri di scale.

     Nel mese di agosto l'esplorazione venne ritentata da una spedizione francese. La grotta fu armata fino alla base del grande pozzo, disceso con un verricello. Ivi fu posto il primo campo interno. Un altro fu posto a -252 m. per la squadra di appoggio addetta al secondo verricello (che assicurava la discesa fino a -347 m.). Oltre a questo punto si proseguì ancora in stretti meandri fino ad un restringimento alla profondità di m. 402.

     L'abisso è percorso da acqua a temperatura inferiore a 1° C. Il rilievo è definitivo fino a -77 m. (Noir 1956) per il resto è speditivo (Creac'h e Couderc 1955). Nell'agosto 1956 un'esperienza di colorazione dimostrò che l'abisso comunica con il Piscio dell'Ellero, sorgente del torrente omonimo. (R. Gozzi su Grotte n. 10).

     La spedizione '55 è fatta per essere l'italica risposta alle esplorazioni francesi in una grotta che corre il rischio di divenire una delle primissime mondiali. Al Berger nel '54 gli esploratori si son fermati a -903, ma la seconda, la Pierre Saint Martin è ben lontana coi suoi -689 metri. L'esplorazione al Gaché ha da essere italiana. Vengono assoldati gli speleologi più affidabili di allora, i triestini, la montagna viene chiusa dalle forze dell'ordine ai francesi, agli speleologi del gruppo Debeljak di Trieste viene intimato di lasciare la zona entro il 23.7. Poi inizia la

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spedizione, sono andato a spulciare un po' La Stampa di allora, sentite:

27.7.55 - Il gruppo che si inabisserà nell'abisso Gaché, una volta superato un dislivello di 1400 metri dovrebbe incontrarsi a quella profondità con quello triestino che scenderà per l'apertura del Pas, superando a sua volta un dislivello di 1000 metri.

     La strada, ora sappiamo, è parecchio lunga. Del resto questa previsione fa il paio con quella di pochi giorni dopo:

30.7 - Prima pagina - Sensazionale annuncio dato da Eisenhower il primo satellite artificiale della terra verrà lanciato dagli Stati Uniti entro il '58.

     Tutti sanno come andò a finire. Sul Marguareis intanto Mersi in circostanze mai ben chiarite precipita nel P 127. Questo pozzo ha una piccola, inclinata cengia a -20 circa, e sempre si disse che le scale si erano fermate su di essa Mersi arrivò lì e le fece cadere tutte insieme Erano però scale fatte con gradini di manici da scopa (sic) e cavo da 6 mm, pesantissime la versione ufficiale dunque rileva che il sistema non tenne l'urto (credibile) e Mersi saltò giù. È poco credibile nell'insieme perché la cengia non è sufficiente a reggere, nemmeno in parte, il gran mucchio di scale che da ormai trent'anni giace in fondo al primo grande, tranquillo balzo verso PB.

     Molti anni fa qualcuno (mi sembra un francese) disse a chi scrive che Mersi non fu l'unica vittima del Gaché, un francese era pure caduto nello stesso pozzo, ma era stato recuperato dai compagni e portato oltre confine per eliminare i tremendi guai burocratici dell'espatrio clandestino e via discorrendo. È una voce che è sempre un po' girata, mormorata. Sono stato ben sorpreso dunque di leggere su La Stampa:

31.7- In queste valli dicono che anche la spedizione francese del '53 ebbe un morto. Il margaro Giovanni Pastorelli che incontrò quella spedizione mentre rientrava al campo - le tende le tenevano in territorio francese oltre il Colle dei Signori - afferma che al suo augurio di buon lavoro venne risposto "oggi è andata male, abbiamo perso un compagno".

     All'ingresso della grotta quel giorno stesso venne trovato molto sangue; si interessarono i carabinieri di Briga Alta e il sindaco ma non si potè chiarire nulla. Pare che i francesi abbiano subito recuperato e portato oltre confine la salma.

     Si noti come la presenza di sangue contraddice la tradizione mormorata della caduta nel gran pozzo, e supporta invece una plausibile ipotesi di caduta nel primissimo saltino.

Si noti pure il distacco della risposta del francese: ti aspetti che aggiunga "siam rimasti senza carburo e io son tutto bagnato".

     Un indizio a supporto della ipotesi del saltino l'ho trovato per caso leggendo un remoto Grotte, il n. 10. Nell'articolo che Gozzi dedica al Gaché vi si legge a fianco di dettagliatissime ed interessanti discussioni tecniche sugli armi che "subito dopo l'entrata si incontra una serie di salti per un totale di circa 10 m chiamata dai francesi "casse gueule Bourdier"; seguono dettagli tecnici. Casse gueule significa all'incirca "rompicollo", nome curioso per una serie di saltini elementari. Sta però il fatto che nel '55 uno della spedizione francese vi si ruppe un braccio.

     Ma torniamo al Luglio '55, e al giornale di Valletta. Lo stesso giorno si leggono commenti sulla squadra di soccorso, arrivata da Trieste mentre il monte veniva chiuso a chiunque altro:

     Ieri sera sono scesi nella voragine del Gaché i triestini della squadra di recupero. Li guida uno strano tipo, alto e secco coi capelli biondicci molto lunghi: "Non desideriamo rendere noti i nostri nomi perché così ci siamo ripromessi ad imitazione di quelli del K2".

     Qui ci devono essere un mucchio di retroscena ormai sfuggiti allo speleostoriografo. Ma qualcosa si intravede addirittura sul giornale:

     Dal '51 ogni anno il Gaché viene in questa zona delle Alpi Marittime ad esplorare i misteri del sottosuolo. L'anno scorso lui e i suoi colleghi penetrarono fino al fondo dell'abisso compiendo interessanti rilievi L'impresa risultò di tale importanza scientifica che la voragine venne battezzata col nome di Gaché ... Egli era dunque l'uomo più qualificato a ricercare la sal-

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ma di Lucio Mersi ... e mentre si pensava a lui egli si offrì di partecipare alle ricerche. Da Parigi il Gaché partì immediatamente per Ormea e con lui una trentina di colleghi con materiale vario per il peso di tre tonnellate. Ma non c'è stato bisogno della loro opera: mentre la spedizione Gaché era in procinto di muoversi da Ormea giungeva la notizia che il corpo era stato ritrovato. Così i francesi sono stati inattivi ma non per questo è meno ammirabile la loro generosità ...

     Si noti che si parla del problema di determinare chi è il più qualificato per fare un recupero, argomento che dunque ci intratterrà presumibilmente per altri decenni. Nel giorno seguente alla pubblicazione il giornalista viene probabilmente richiamato all'ordine se l'indomani si trova scritto:

3.8 "per pura coincidenza Gaché e una sua spedizione sono arrivati a Piaggiabella mentre erano in corso le ricerche"!

     Ma c'è da aggiungere qualche osservazione.

     I risultati della colorazione furono davvero decisivi per scusare chi non aveva più voglia di infilarsi nel "mostro" e questo anche quando l'abisso mostro non era più. In sostanza allora avvenne quel che si è poi ripetuto moltissime volte: un'interpretazione riduttiva di un esperimento, un'ipotesi semplificatrice distrusse una linea di ricerca: in questo modo di procedere e di errare la speleologia ha veramente delle caratteristiche comuni con le scienze maggiori.

     C'è poi la mitologia della grotta "finita". Così come per la vicina (!) PB, la grotta viene data esplorata quando ha visto poche decine di ore-uomo: anche questo è curioso ma penso lo si capisca meglio vedendo come il fatto esplorativo, geografico era secondario rispetto al cimento che rappresentava per gli speleologi una discesa così. L'esplosione delle grotte tipo il Complesso del Corchia o di PB, più che a nuove tecniche è dovuta al fatto che le nuove tecniche han permesso di selezionare fra gli speleologi quelli disposti a diventare geografi. La speleologia di adesso è proprio una disciplina diversa da quella di una ventina d'anni fa, il fatto che entrambe abbiano lo stesso nome mi sembra più un caso di omonimia che altro. È dunque assolutamente assurdo paragonare i risultati attuali con quelli passati: è bello invece riuscire a ricostruire l'ambiente mentale in cui ci si muoveva allora; ed è anche utile, perché permette di valutare quando e se certe grotte di esplorazione molto "antica" siano o no esplorate. Ancora: ora fare i rilievi interno esterno e i globali del monte è una ovvia necessità esplorativa, eppure tuttora c'è chi non li fa; costoro, fateci caso, esplorano poco, perché rimangono a lavorare in un ambiente mentale inadatto ad individuare cose nuove. (GB)

     La lettura dei Grotte che parlano delle spedizioni GSP al Gaché (i nn. 17 e 19) è particolarmente istruttiva. Ne citiamo un po' di brani, rimandando il lettore interessato ai bollettini. Sul n. 17 troviamo:

     "L'idea di una spedizione fu lanciata da C. Balbiano", il che non è male per uno che ha superato brillantemente il 29° corso GSP come si può leggere a pag. 9 del n. 90 di Grotte, quest'anno.

     "La proposta di Balbiano non raccolse unanimi entusiastici consensi perché il Gaché era in fin dei conti il terribile abisso che aveva sempre impegnato duramente le spedizioni, francesi ed italiane, che vi si erano avventurate".

     "Da più parti si biasimava la nostra incoscienza e si tentava di dissuaderci dal tentare un'impresa così rischiosa e senz'altro chiusa ad ogni possibilità di successo".

     Ma fanno la spedizione, scendono ai 400 e c'è un momento in cui "Pier Giorgio raggiunge Marziano; mentre attendono Giulio essi si confessano la propria contentezza". Si parla di Doppioni, Di Maio e Gecchele, che in varie forme sono ancora coinvolti con ciò che avviene là sotto, a venticinque anni di distanza. Arrivano al limite francese. Marziano allora come adesso è un supporter chiave: lì però sorpassa gli altri; "Marziano intanto rimuove i sassi dal foro triangolare, poi col martello allarga la luce del foro, certo che ormai si passerà". Difatti passa lui e passan tutti fermandosi un po' di metri sotto.

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Complesso di Piaggia Bella - Galleria del Pescatore - Meandro dei Narti - rilievo

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     L'anno dopo ritornano. Il Grotte n. 19:

     "Siamo tornati al Gaché ... con la speranza di trovare il congiungimento col sistema carsico di Piaggiabella". Li portano Lambrette ed autostop per la punta di prearmo, poi inizia la spedizione, che durerà dieci giorni. La relazione specifica cose come la temperatura dell'acqua, quei terrificanti 2,5° che ancora ci flagellano. Viene spiegato come scendono il pozzo e come si trovano in quell'ambiente nel quale ventun anni dopo, nell'83, Ubaldo indovinerà la risalita giusta. Lì loro ci si infilano sotto "Mentre Giulio e Giancarlo si infilano nella strettoia di destra (lì sopra, lì sopra!!) Dario segue il cunicolo di sinistra e trova un pozzo (è quello sotto l'Aretino) e dunque "si desiste dall'avanzare nell'altro cunicolo, che oltre tutto si fa sempre più stretto". Lì si doveva risalire, traversare vari pozzi, percorrere un interminabile, non facile meandro, sbucare nell'amonte dei Piedi Umidi, indovinare (!) le Gary e percorrerle fino a PB. Era davvero molto. Troppo. Lì però loro fanno un primo, piccolo errore: sviati dalla colorazione e dunque dalla certezza che l'acqua che poi raggiungono vada a Nord Est, scelgono di andare in su per cercare PB: "discutiamo sulla possibilità che vecchi corsi d'acqua del Gaché sian stati catturati dalla rete idrografica di PB". Dunque l'esplorazione (sono senza bussola) vien fatta essenzialmente verso l'alto. I rami sono effettivamente interessanti tanto che è per cadere su di loro che abbiam cercato e trovato Essebue, che invece ci ha dato tutt'altro. La bussola è rimasta al campo: decidono di non fare il rilievo, cadendo così nell'errore vero della spedizione, che indurrà un empasse di dieci anni. Se ne rendono conto, "pensiamo di ritornare l'anno prossimo in quest'abisso sia per esplorare gli ultimi cunicoli sia per completare il rilievo", ma poi saranno sviati dalla Preta e da alte degne cose, finché il cambio generazionale non dimenticherà che l'esplorazione là sotto è un fatto operativo, non un sogno. (GB)

     Nella crescita del GSP, sia tecnica che di mentalità, l'abisso Gaché ha avuto un ruolo importante. Più importante di quello che può sembrare, perché lui, il Gaché, tutto sommato si è tenuto sempre un po' defilato, all'ombra di quella monopolizzatrice di interesse che è Piaggia Bella, e non poco handicappato dal fatto che la fluoresceina francese (era il 1956) anziché finire in PB era uscita dal Pis d'Ellero. Ma è stato soprattutto in un'occasione, quando il Gruppo non aveva ancora otto anni di vita (siamo a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta) che il Gaché si è situato su una vera e propria svolta, su un salto di qualità.

     Cos'era il Gaché alla fine degli anni Cinquanta? Intanto, era un abisso da far paura (non è un modo di dire); impressionava per quei lunghi pozzi, per i materiali che occorreva portare sin là (se c'erano pozzi lunghi, ci volevano argani e campi interni!), per l'avvicinamento, per le condizioni ambientali (se il nevaio non si era sciolto, si doveva scendere sotto l'acqua gelida), per aver fatto soffrire francesi e triestini (non era gente sprovveduta), per aver fatto un morto e forse due. Il GSP aveva osato e nel 1959 aveva fatto un tentativo, respinto dalle avverse condizioni di quell'anno: ma aveva toccato con mano che la bestia era proprio cattiva. Era un abisso da dedicargli "spedizioni" (termine che, con buona pace di certi Gruppi d'allora, è ben diverso da "uscita"). Ma una spedizione si poteva fare solo nelle ferie, e agosto poteva essere troppo presto perché il nevaio fosse fuso. Nondimeno era una grotta che "cissava". L'ingresso era a quota alta. Forse il fin francese si poteva forzare, e anche se non finiva in PB sarebbe sempre stato un bell'abisso. Ma era poi detto che non potesse finire in PB? Ognuno diceva di no, ma sperava (o sognava) di sì.

     Sull'ultimo bollettino del 1959, il n. 10, nell'articolo Osservazioni tecniche sul Gaché Renzo Gozzi faceva il punto della situazione. Per future esplorazioni erano ritenuti validi i suggerimenti del Club Martel di montare tre campi: uno all'ingresso, il secondo alla base del P.127 (argano), il 3° alla partenza del P.90 (argano). Veniva elencato il materiale necessario, che non è il caso di riportare qui perché la lista è lunga. Le conclusioni di Renzo erano le seguenti: ...prima di affrontare il Gaché bisogna disporre di 10-12 uomini di sicuro rendimento e che possano fermarsi al campo per un periodo di 10 giorni al minimo: solo a questi patti penso che sia possibile affrontare una eventuale prosecuzione della grotta in condizioni di ragionevole sicurezza. Inoltre è conveniente, prima di affrontare la grotta, poter disporre di 2-3 giorni da passare all'esterno a scopo di acclimatamento di maniera che l'organismo sia portato a

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condizioni ottimali per affrontare i pericoli e le innegabili difficoltà di questa grotta.

     Queste righe condensano abbastanza l'opinione che si aveva del Gaché. Ed era il pensiero di gente che già aveva adottato le scalette leggere. All'inizio del '61, anno della svolta di cui stiamo parlando, la situazione non era cambiata. Ai primi di gennaio per esplorare la Grava di Campolato nel Gargano, con pozzo iniziale di 90 m, si era fatto arrivare da Torino l'argano. In agosto siamo partiti per il Pollino. Lì ci è capitato l'abisso di Bifurto: c'erano pozzi lunghi e non c'erano argani, e abbiamo fatto tutto con corde e scale. Gli esploratori di punta erano stati inventati quasi tutti per l'occasione: Gecchele era da due anni nel GSP ed era il più esperto, Doppioni era venuto la prima volta in gruppo qualche settimana prima delle ferie, Follis aveva 18-19 anni, Di Maio non era ancora collaudato (non era passato molto tempo da quando, alla prima scaletta al Corso a Rio Martino, si era mosso con tale destrezza e perizia che, giunto finalmente in cima dopo inenarrabili tribolazioni, fece sì che Eraldo che faceva sicura non potesse esimersi dal dirgli: "Tu certamente non sei fatto per le scalette..., ma non preoccuparti, ci sono anche le grotte orizzontali; e a fine corso si era aggregato a Nino Martinotti per andare a cercare insetti). Questi sono poi stati quelli che hanno forzato il Gaché, con l'aggiunta, tra quelli che hanno disceso il pozzone, di Mario Marzona allievo dell'ultimo corso.

     Il Gaché è venuto fuori dal Bifurto. Dal campo in Calabria era nata una squadra esplorativa nuova di zecca, allenata sui grandi pozzi e affiatata. Sul Marguareis l'estate era stata asciutta e il nevaio del Gaché era poca roba, come aveva subito riferito Carlo Balbiano spingendo non poco la questione. L'inesauribile carica di entusiasmo di Eraldo non poteva lasciar passare un'occasione del genere. Ma erano sorte discussioni tra il partito dei saggi e quello degli "incoscienti". Di "spedizione", neanche parlarne: le ferie o le vacanze erano finite, e le casse del GSP erano desolatamente vuote. Si poteva sfidare l'abisso solo con tecniche "leggere", con uscite domenicali, con azione frazionata in più domeniche alla maniera della tecnica himalayana alpinistica: concezioni rivoluzionarie che per molti erano demenziali. Ma la via da seguire chiaramente era quella e nessun appello alla ragionevolezza poté trattenere i pazzi spericolati. Com'è andata, è scritto sui bollettini del tempo: la strategia d'avvicinamento dalla Val Pesio perché la strada da Torino era più corta e c'era un rifugio a 2000 m e un gestore col mulo che poteva darci una mano, l'attacco alla corsara rapido e leggero, la soddisfazione del limite francese superato.

     Ci ha lanciati un grosso scalino più in su il Gaché, è in quei giorni che abbiamo acquistato consapevolezza delle nostre possibilità, cosa molto corroborante per i singoli e per il Gruppo. Dopo quell'esperienza più nulla ci avrebbe fatto paura, e abbiamo visto il GSP crescere nella considerazione degli altri. Pochi giorni dopo, a Torino per il Convegno "Italia '61", era persino imbarazzante sentire i complimenti di speleologi di gruppi che andavano per la maggiore, e c'erano anche quelli del Club Martel ... (MDM)

 

     L'esplorazione del 1961 fu decisa in settembre. Era un autunno particolarmente secco e bisognava approfittarne. "Ma come si può scendere a -400 ora che le ferie sono finite? E se poi addirittura nevicasse e tutti i materiali del gruppo rimanessero lì nell'inverno?" I pazzi decisero di compiere l'esplorazione in tre week-end e, nonostante l'incredulità di molti, riuscirono a raggiungere il supposto fondo e a superarlo scendendo di una quarantina di metri oltre. Un successo strepitoso!

     Per gli esploratori d'oggi è normale, in un qualunque week-end d'inverno, andare in una grotta del Marguareis profonda 400 metri e molto di più. E difatti per me oggi è molto difficile tener dietro a questa gente. (CB)

 

     La mancanza di esercizio rende faticosi i movimenti per il lento progredire sulla corda, verso l'uscita. Allo stesso modo mi è faticoso entrare con la mente nei meandri, pozzi, frane del Gaché per sintonizzarmi con quelle antiche, recenti, familiari vibrazioni. Gli scienziati hanno scoperto che per ogni cellula esistono informazioni complete che riguardano l'intero organismo del quale essa fa parte; a me piace credere che in ogni atomo siano contenute informa-

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zioni che riguardano l'intero universo, traendone la convinzione che descrivendo questa o quella parte si stia in realtà parlando del tutto.

     Così per me questo tentativo di comunicare ad altri esseri umani qualcosa che si trovi in rapporto a quella grotta si inserisce nella lunga serie di tentativi di connettere l'universo speleologico a quello detto reale, perché spesso appaiono realtà incompatibili.

     "L'aria l'aria, l'aria l'aria la mi fa rendere tutti i miei color"... Le note di questa canzone rimbalzano ancora tra le pareti dei meandri del Gaché contenuto nella mia memoria: è Giulio che manifesta e trasmette a noi e alla grotta il piacere di quelle esplorazioni che ci portò al superamento della strettoia che aveva fermato i francesi a meno 400.

     Raramente gli uomini si confessano il loro reciproco affetto, così l'andare insieme in grotta permette loro, in qualche modo, di dare spazio a questi sentimenti, creando legami che molto difficilmente possono connettersi alla vita all'esterno. Così le feroci discussioni con Carlo mentre salivamo, stracarichi di materiali dal rifugio Garelli verso il Colle del Pas, così una cioccolata bollente preparata da Willy dopo diciotto ore che ci aspettava sul fondo del 130, e trenta noi di punta, così Eraldo, Paolo, e Carlo che più io strillavo in risalita su scale nel 130 perché il cordino dell'imbrago mi pizzicava i cosiddetti, più loro credevano che io li incitassi a tirare: "chi te l'ha fatto fare di correre come un pazzo su per il pozzo, ci hai stroncati...".

     Gianni poi andava svegliato con dolcezza perché dormiva incastrato nel meandro a 30 m dal fondo e si temeva che un rapido risveglio potesse fargli male.

     Si lascia poi immaginare al lettore chi passò per primo la famosa strettoia tra Giulio, Marziano e me. Io dovetti togliermi gli indumenti e passare con la sola tuta (della naia) sulla pelle; modi migliori per godere probabilmente esistono.

     In quell'occasione imparai anche la famosa tecnica di discesa del pozzo con attacco a piede; si gioca così: Giulio infila un piede tra un gradino e l'altro dell'estremità della scala (le pareti in quel punto sono marce), l'altro pazzo scende, il terzo assiste facendo sicura.

     All'epoca il Gaché doveva andare in Val Ellero, così decretava la colorazione: per fortuna lui delle opinioni degli scienziati del momento se ne fregò e finì in Piaggia Bella molti anni dopo, come avrebbe immaginato chiunque. (PD)

 

     Mi pare che proprio allora si cominciò a pensare che nel Gaché, sì, l'acqua va verso l'Ellero, ma forse la comunicazione con PB c'è lo stesso. Forse all'inizio era solo un'utopia, un ingenuo desiderio, poi piano piano apparivano le ragioni scientifiche per giustificare l'ipotesi della cattura ipogea. Ma devo obiettivamente riconoscere che noi facevamo le fantasie, quelli d'oggi hanno dato una dimostrazione. (CB)

No sai cora.m sui endormitz,

ni cora.m veill, s'om no m'o ditz;

per pauc no m'es lo cor partitz d'un dol corau;

e no m'o pretz una fromitz, per Saint Marsau!

Amigu'ai leu, non sai qui s'es:

c'anc no la vi, si m'aiut fes;

ni.m fes quem plassa ni quem ples ni no m'en cau:

c'anc non ac norman ni frances dins mon ostau

Io non so quando mi prende il sonno

ne quando veglio, se non mi è detto;

non mi si spezza per poco il cuore d'intima pena

e non m'importa proprio un bei nulla, per San Marziale!

Io ho un'amica, non so chi sia:

non l'ho mai vista in fede mia

non fece nulla che m'urti o piaccia e non m'importa:

perché normanno né francese mai io li ospitai

(GP)

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Le storie recenti: 1972-83

 


     Era una serata buia.

     Gli speleologi, come erano soliti fare, si erano riuniti a casa di uno di loro, per bere la sua birra ribollente, mangiare il suo formaggio puzzolente, e parlare, ognuno per conto proprio.

     E così scorreva la serata, dolcemente.

     Gli speleologi ad un tratto tacquero: c'era qualcuno che parlava di grotte, allora, si misero tutti ad ascoltare in silenzio: "eh!" - sospirava la voce nella stanza silenziosa - "che tristessa continuare ad andare su e giù per corde d'altri, quando mai me ne tornerò nella mia dolce casetta, nella mia patria di neve e melassa!?".

     Così diceva lo speleologo d'oriente, e, di nuovo, sospirava.

     Disse uno di loro, per consolarlo ed invitarlo a restare: "non ti lamentare, è un guaio presto risolto: basta che come me tu ti compri delle corde, così potrai salire e scendere su quelle; e presto di accorgerai - come è successo a me - che tutti faranno lo stesso, con le tue corde; allora sì ti potrai lamentare - come faccio io - quando te le consumeranno, e saranno vecchie e fruste. Oh! mie dilette, mie povere stringhe!".

     "Ma poi", "disse un altro per timore che quel discorso al loro amico fosse dispiaciuto: "anche questo ti passerà, quando ti accorgerai - come è successo a me - che ogni volta che pianterai uno spit bello e esatto - come faccio io - tutti ci scenderanno sopra, senza fare alcuna fatica, e poi diranno anche che è piantato male: insicuro e mal messo".

     "Già, è vero", dissero altri pensandoci bene "da ora in poi, tutti quelli che vorranno scendere un pozzo dovranno piantare i loro spit".

     Tutti tacquero, nella serata silenziosa.

     Poi, da un angolo uno si alzò e disse: "Quello che voi dite è bello e giusto; così, e non diversamente, occorre che si parli di speleologia ... e di altre cose importanti; - quando ero giovane come voi, io stesso non ero altrettanto saggio - anche se adesso lo sono molto di più - così, siccome mi avete commosso, che lo vogliate o no, vi racconterò una lunghissima storia che parla appunto di queste cose, e di altre, di uguale e anche di minore importanza".

     "Forse", dissero gli altri mentre il silenzio diventava brusio, "forse, - ma non è detto, - ti ascolteremo".

     E così, nella serata che piano diventava mattino, lo speleologo prima disse: "e smettetela di bervi tutta la mia birra ribollente e di mangiarvi tutto il mio formaggio puzzolente, pezzenti!". E poi... raccontò ... (MD)

 

     Il Gaché nel GS Savonese era un mito, e fu pura spavalderia quando decidemmo di farci una spedizione nel lontano '72. Raccolsi abbastanza soldi andando in giro per i negozi di Savona, spiegando che cosa (!) volevamo fare. Uno di noi (Nanni Minuto) costruì un argano che in primavera provammo in una grottina finalese: e già, l'idea era che per limitare la quantità di scalette avremmo lasciato il solo argano sul temibile P.127, mandandone giù i materiali...

     Poi la cosa si sgonfiò, quasi tutti si scoprirono malati e non se ne fece nulla; ne io mi disperai più che tanto: due mesi dopo prendevo contatti con tal Marziano Di Maio a Torino, vendendo sottocosto i miei servigi al locale gruppo speleologico.

     Nel '73 Fighiera (ancora lui) ci dichiara di non credere che la galleria terminale non rilevata vada verso l'Ellero. Ci spedisce a rilevare: un treno ed un autostop notturno mi portano all'appuntamento a Limone con Lucien, Alain e Dédé. Dopo di che ci facciamo un mazzo terribile ma riusciamo a portare tutti i materiali, riarmare per corde, rilevare il fondo, disarmare e tornare a casa. La galleria finale va verso PB. A me dopotutto non importava ancora gran che: ero interessato all'aspetto tecnico della discesa e di questo si occupa la mia relazione sul Grotte 53.

     L'anno dopo torniamo. Claude è morto da un mese, ma i suoi incarichi sono ancora ben vivi anche se i rapporti col gruppo dei francesi non sono ottimi: di fatto gli abbiamo soffiato l'esplorazione del fondo Perdus che Claude aveva "donato" ai cuneesi come pagamento per

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l'invasione delle Carsene, calcolando però che loro non sarebbero riusciti ad esplorarlo. Loro da soli forse no, ma con Duppia e me ci si riusciva benissimo... Difatti mi incastrano nella squadra di disarmo, e vuotiamo l'abisso nel quale la "punta" ha oltrepassato il limite torinese. Io continuo a concentrarmi sugli aspetti tecnici: la mia relazione su Grotte 55/56 discute i vantaggi delle Jumar rispetto ai Gibbs.

     A quel punto la Gola si è chiusa e (assai peggio) è divenuta impopolare perché si dice sia difficile, i french svaniscono, il GSP boccheggia. Tutto torna tranquillo.

     Nel '75 ci sentiamo i più furbi del mondo perché troviamo il quarto ingresso per PB giuntando il Solai. Il quarto ingresso, si pensi. Per me però è un'estate importante: intanto partecipando (moscone) alla storia Solai, PB mi entra in testa meglio. Poi lancio il colorante nella Gola e l'indomani faccio la straordinaria impresa di traversare da solo Chiesa di Bac - (PB). Quando atterro sui Piedi Umidi, però, alla esultanza dell'impresa che per le mie povere forze d'allora era dignitosa, si aggiunge la constatazione che l'acqua è diventata, indiscutibilmente, verde. Faccio una corsa verso l'amonte e mi trovo a guardare il sifone dei Piedi Umidi ben verde. La relazione sul Grotte 57 comincia ad attenuare i contenuti tecnici. Mi entra in

Al pozzo dell'Aretino, -400

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testa una grande Itaca a monte dei Piedi Umidi - Gola - Gaché.

     Da qui a poco, però la sezione esplorativa nella mia testa si rafforzerà assai. È il '76, appare il Fighiera e appare pure la solitaria di PB fatta dalla Chiesa di Bac. Mi stanco un po', è vero, ma mi carico in modo enorme.

     Nel '77 dunque decido che è tempo di affrontare il problema contro il quale ci siamo sempre infranti: disostruire la Gola. E' una grotta soffiante, un meandro non facilissimo che scende fino ai 150 dove la grotta balza giù con un P95 al di sotto del quale c'è da disostruire ... e soffia. Il problema è quello cronico del GSP, trovare gente che voglia fare per parecchio tempo un lavoro di merda. La linea elettrica, comunque riesco a stenderla con quasi nessuna collaborazione da parte del gruppo.

     Quando pero c'è bisogno di maggior aiuto mi viene detto che non val la pena di lavorare là sotto, e tutto il lavoro viene vanificato.

     Nel '78 Doppioni fa il califfo, ma ciò non gli impedisce di riesplorare le parti alte del Gachè, così, giusto per non fare quel che fanno tutti Trova l'Artiglio Destro ed altre prosecuzioni in amonte che finiremo di vedere solo quest'estate. (GB)

 

     La colpa invece del fatto che il Gaché abbia un bel corno (il Corno Destro, che qualcuno chiama impropriamente Artiglio) è di uno speleologo non molto noto, soprannominato Caiunno.

     Questo, ad un campo, interrogato sulle sue intenzioni di attività, risponde "andremmo (lui ed un suo amico) a fare un giretto al Gaché" "Gaché" ribatto io "è dal '63 che non ci torno" e lui "beh, io a quell'epoca non ero ancora nato". Così il giretto in questione acquistò un terzo partecipante e fu iniziata la fabbricazione del Corno Destro, poi terminata da Giovanni ed altri.

     Molte energie nella mente per la prosecuzione di quella grotta, e qualche ulteriore tentativo con Walter, che rischia di beccarsi un macigno sulla schiena sulla risalita, con Franca che, riparata in una nicchia per sottrarsi ad eventuali cadute di pietre, si lamenta perché lì fa un freddo boia per il vento che c'è, con infinite discussioni sul dove sul come e sul quando quella maledetta grotta finirà per diventare il più alto ingresso di P.B. (PD)

 

     Non voglio citare date o bollettini, ma solo parlare della "mia" storia Gaché iniziata nel '78. Ricordo Doppioni partito con Franca Mazzer in una giornata di nebbia, tornare dopo poche ore inseguito dall'"urissa" con la scoperta dell'Artiglio Destro. Qualche giorno dopo vi entrai con Coral, due spezzini e una lunga corda industriale, grande paura nel mio primo incontro con il mitico Gaché. In seguito ci sono tornato più volte e con disparati amici, abbiamo disostruito, esplorato, rilevato, ma soprattutto ci siamo divertiti. (WZ)

 

     Non c'è da stupirsi di trovare roba nuova nella parte dell'abisso ancora baciata dal sole, perché (ora lo sappiamo) la grotta è sostanzialmente inesplorata.

     La esploriamo (io da moscone) fino ad entrare nel ramo vecchio, là dove dopo cinque anni si sarebbe chiamato Aretino. Scendiamo al fondo a curiosare: usciamo confermati che laggiù c'è molto da fare. La mia relazione sul Grotte 66 recita stolidamente "ce ne usciamo lasciando armato per altre necessarie discese". La posizione strategicamente è buona, ma stolida. A novembre riconosco il fatto che di rilevare e disarmare il Gaché non ne ha voglia nessuno, ma il magazzino GSP è perfettamente vuoto. Allora rilevo e recupero da solo.

     Pochi giorni prima tre francesi sono scesi sul fondo per fare un traverso sull'ultimo pozzo: infogna.

     Siamo al '79: nell'estate io divento folle contro la Itaca più ardua di quelle che mi son scelto, il superamento del fondo di PB.

     Duppia e Zinza invece insistono sul Gaché alto e trovano, nonostante che Duppia sia tornato monogamo, ma lasceranno da fare, delle risalite che chiuderemo in questo sfigatissimo anno '86.

     L'80 è l'anno in cui viene pianificata la strategia dell'assalto alla regione a monte dei Piedi

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Umidi: la corrente d'aria alla Gola grida "Gaché". "La corrente d'aria della Gola è certo collegata al Gaché ed è inversa rispetto ai vicini ed isoipsi Piedi Secchi. L'acqua della Gola invece va nel sifone dei Piedi Umidi, cioè in PB. Se applicate la proprietà transitiva dell'esser collegate vedrete che ne risulta una cosa interessantissima", scrivevo sul Grotte 78, tempo dopo. La linea strategica è: forzare la Gola, entrare presumibilmente in Gaché inseguendo l'aria e poi, seguendo l'acqua, entrare in PB. Bello, l'incredibile è che ha funzionato anche se in lontane fantasticherie la facevo molto ma molto ma molto più semplice.

     Nell'81 ritorniamo alla Gola: riattiviamo la linea e lavoriamo sul fondo, ma per modo di dire perché scendendo ci accorgiamo che la grotta prosegue alla grande con finestre sul P95. Vogliamo tornare subito ma io penso bene di schiantarmi volando giù da una bici: inattivo due mesi.

     82. Carrieri, Minciotti ed io (i torinesi ancora non gradiscono la Gola) all'assalto del P95: prosecuzioni enormi che però vedremo solo un anno dopo, perché io penso bene di schiantarmi volando giù da una merda di deltaplano.

     Nell'83 il primo passo è fatto: la Gola entra in PB, anzi Andrea e C. trovano anche il modo di andare via terra da PB alla Gola senza passare dal sifone.

     Per strada trovano un gran pozzo ascendente: c'è da scommettere che è quello che va al Gaché.

     La situazione infatti non è molto rosea: i rami bassi che van nella direzione giusta tendono a perdere aria. Il gran camino ascendente lo chiamano Lady Fortuna, gran pozzo da cinquanta che Carrieri ed io risaliamo in due punte, l'ultima, demotivante, nell'84 che ci porta verso il Gaché ma sotto all'A 16 ed infogna.

     Ma è nell'83 che risolviamo di fatto anche la seconda parte del Piano: la via che dal Gaché va a PB. (GB)

 

 


Gli ultimi anni: 1983-86

 


     Dall'83 all'86 passano tre anni in cui il Gaché resta praticamente dimenticato. Per tradizione è considerato abisso affrontabile solamente nella stagione autunnale; prima le abbondanti nevi ne chiudono l'ingresso, poi lo scioglimento del nevaio lo rende sconsigliabile: la stessa tradizione vuole che i pozzi non siano armabili al di fuori del percorso dell'acqua e finora non abbiamo dimostrato il contrario.

     Venne un 1984 carico di promesse non mantenute: un campo alle Carsene privo di risultati rilevanti fu sufficiente a smorzare gli entusiasmi di una legione da punta più numerosa e compatta di quella attuale; poi le prosecuzioni trovate in F5, abisso profondo, comodo, vicino alla strada dirottarono per quell'anno le forze esplorative. Contemporaneamente, avvicinati i rilievi, si giudicarono PB e Gaché ancora molto lontani. Si decisero ulteriori colpi d'avvicinamento dalla Gola per portare poi l'attacco decisivo dall'alto.

 

     Il meandro dei Narti fu scoperto nel 1983 durante la campagna esplorativa alla Gola del Visconte. Dopo la congiunzione Gola-P.B. esso cadde nel dimenticatoio. Rimase una delle probabili vie che uniscono Piaggia Bella al Gaché. Un'altra possibilità era il sifone di sabbia che si trova sul proseguimento delle Gary Hamming. Il sifone fu scavato a più riprese, ma senza esito purtroppo, a causa dell'immane mole di sabbia che lo riempie. Una tale quantità di sabbia deve essere stata trasportata da un notevole apporto d'acqua, quindi proveniente da un vasto bacino d'assorbimento del quale faceva sicuramente parte anche il Gaché. Poi, in seguito a fenomeni tettonici o successivi ringiovanimenti, l'acqua deviò dal suo percorso originario. Dietro il sifone di sabbia comunque attendono ancora chilometri di gallerie che forse esploreremo per altre vie.

     Un'altra chance per congiungere il Gaché era la risalita del pozzo Lady Fortuna. Ma questa era la possibilità più remota. Si tratta di un grande pozzo ascendente di circa 60 metri in punta al quale parte un meandro (meandro de Egua), che sale troppo velocemente fino ad assumere una morfologia eccessivamente stretta ed al limite della percorribilità umana.

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     A quella quota e giudicando dalla topografia si capì che si trattava di arrivi di abissi verticali molto prossimi (A15, A16). La presenza di una buona attività idrica fu giustificata dal fatto che gli ingressi sono due grandi pozzi a neve.

     Il Lady Fortuna è solamente un ringiovanimento alla cui base, tra blocchi di frana si diparte un tormentato e stretto P.25 in fondo al quale si fece la giunzione con la Gola nel 1983. Qui termina una stretta fessura tettonica che è impostata lungo la direttrice della faglia Gaché-Saline. Se fosse stata percorribile, questa sarebbe la via di congiunzione più evidente col Gaché ed esattamente col suo vecchio fondo che stringe inesorabilmente nello stesso modo.

     Rimaneva quindi il Meandro dei Narti e sin dalla prima punta di agosto ci si rese conto che il Gaché era vicino. Andrea lo aveva sostenuto già nell'83; Sir Biss ed io eravamo della medesima opinione, dopo averne discusso varie volte e per oltre un anno, col rilievo di Piaggia Bella di fronte. (RP)

 

     L'85 ci portò a cercare gloria sui massicci austriaci e quasi quasi la trovavamo. Il Gaché venne poi coinvolto nella lotta tra quelli che volevano andare al Lupo passando dalla Zona F e quelli che preferivano P.B. Filologa taceva, ostruita dalla neve.

     Il Ballaur fu dimenticato a favore dell'"a valle".

     Al colle dei Signori, F5 intanto continuava a dare gallerie e saloni inediti anche se in direzioni oscure. Ripresero anche le incursioni in PB tra la Vallini e l'Olonese, ne seguirono le risalite che porteranno alle Porte di Ferro. È ormai dicembre inoltrato e non c'è tempo per altro.

     Ancora un anno, l'86, una discesa porta alla Gola con l'obiettivo di avvicinarsi al Gaché: nascono le risalite a Kalenda Maia e ai Narti.

     Ormai siamo agli sgoccioli. Contemporaneamente, scossi da Labassa si continua a macinare abissi, O3, Nevado, poi F5 sulla scia di Jo Lamboglia. Ricordiamo quindi la via del Gaché attraverso le risalite nella parte iniziale, ora non resta che scendere. (UL)

 

     Ci si rendeva conto che si andava in una delle zone di Piaggia Bella certamente più lontana dagli ingressi. La punta venne quindi articolata in modo da rendere possibile la sistemazione di un campo leggero, costituito da una tenda componibile di diversi teli spaziali. Dato l'enorme numero di partecipanti, la punta venne denominata "alla baraonda".

     Accadde che durante la discesa due elementi delle code, meno esperti del percorso, vennero lasciati indietro. Su idea di Andrea si approfittò delle lunghe ore di attesa per un primo tentativo di montaggio, prima della confluenza al campo dei Francesi, documentando il tutto con il Videotape. La sosta fu piacevolissima ed in grado di risvegliare tra i presenti i più sopiti desideri mistici.

     Al momento di ripartire il numero di coloro che desideravano continuare si ridusse ad otto: con questi venne rimontata la tenda al sifone dei Piedi Umidi, lato Gola del Visconte. Monica, Daniela ed Andrea Manzelli rimasero alla tenda per utilizzare i sacchi a pelo portati sin lì. Con gli altri invece, ci si portò al termine del primo tratto piano del meandro, dove Marantonio forzò mirabilmente la risalita di una ventina di metri che aveva fermato l'esplorazione dell'83. Alla sommità l'acqua fuoriesce da una frana che lascia intuire dall'altra parte un grosso ambiente. Il più magro fu spinto a forza nella strettoia, fino a che la sua voce da strozzata fu sentita rimbombare felice nei grandi spazi al di là. Quando poi vedemmo la sua luce spuntare sopra le nostre teste, buttammo la corda.

     Da un lato di quel salone (un pozzo ascendente), il meandro continua sicuro, alto mediamente una quindicina di metri, dove si procede in una spaccata senza soste tesa in un'unica luminosa direzione, 60° Nord: verso il Gaché.

     Andrea e Marco si fiondarono su per il meandro, mentre noi tre (Serge, Mauro ed io) restavamo a risistemare l'armo e a guardare nel salone. Di lì a poco ci lanciammo all'inseguimento, acqua sul fondo ed aria sempre decisa in faccia. Quando li incontrammo di nuovo in discesa, dissero di essersi fermati sotto un saltino a buca da lettere, valutato cinque o sei metri.

     Gran voglia di uscire. La buona volontà dei presenti si espresse col rilievo delle arrampicate, e del primo tratto del meandro successivo. Durata: trenta ore (RG)

 

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Cronache dell'assalto: ott.-nov. 1986

 


     Giudizio e grandi imprese sono imminenti. (Aragorn)

     Dal primo atto della tragedia:

PIAGGIA BELLA RITROVATA

di W.C. Network

Dedicato a:

- Werner Heisenberg e Giovanni Badino

- L'argano Valentino e tutti gli altri che ci hanno sempre creduto

- Gli scopritori e in particolare Maria

1 ° QUADRO

Coro

(saltellando)

Gaché glacé haché

cacher gager gazer (1)

ça gaze...

Prof

Gaché (Raymond)

dagli occhi azzurri

vendevi De Soto (2) a Paris

trovando il Gaché

scopristi il perché

del tuo nome.

Sul mulo

dovevi salire a Pi-Bi

Coro

Per l'enfisema

di cui poi morì

Prof

Rimase così

il tuo nome attaccato

a quel buco lassù

che quando scendeva

sempre più giù

scendevi anche tu

senza mulo

ma col Gi-Esse-Pi

Coro

A Pi-Bi

Prof

Ma no!

Coro

Ma sì

 

2° QUADRO

Prof

ma l'acqua scendeva

al Pis (3) colorata di verde

dunque niente Pi-Bi

Coro

Sentenziò il prof (futuro) che

dunque

non conosceva il futuro

e neanche il possibile

che c'è nelle cose

Prof

Diffluenza, cattura...

Eraldo, Willy per favore

ma quando mai

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Coro

Erano i favolosi cinquanta

Cartesio regnava

Valletta comandava

il Lingotto sfornava

le seicento

Tutto

tendeva diritto al suo

necessario e prevedibile

unico destino

che sicurezza ragazzi

che bella cosa la mutua!

Prof

E voi credete che l'acqua

e la forza di gravità

facessero eccezione?

 

3° QUADRO

Il VISCONTE

Ma allora a che prò

scoprir gli Effe-O (4)?

Prof

Ancora attendevo

le biforcazioni

di Prigogine

Un Effe-O:

Fala pi cürta

se 'l pus a fa l'acqua dal Pis

l'aria a la fa per daré

(scorreggia)

Voilà the connection

Pis-Pus-Pas (5)

Prof (rivolto

al pubblico)

Io non credea

che loico fussi

Coro

Infatti la scienza

è l'arte di collegare tra loro

le cose giuste.

Sempre doloroso è il congedo

dall'assoluto

ma insostenibile è davvero

la leggerezza dell'essere

sotterraneo

Il Visconte

Caro il mio prof

Prof

 

(accasciandosi

 

con un soffio)

Evacuationsraum (6)!

(BD)

(1) Gaché, ghiacciato, tagliato con l'ascia/nascondere scommettere, gasare.

(2) Auto di lusso.

(3) Pis dell'Ellero, nota risorgenza carsica.

(4) F.O. = Freatici Obliqui, popolo sotterraneo nemico dei perbenisti V.V. (=Verrical Vadosi): v. Grotte n°40.

(5) Vecchio nome di Piaggia Bella.

(6) Spazio di evacuazione. Definizione di cavità carsica data da G. Kyrie in THEORETISCHE SPÄLEOLOGIE, Vienna, 1923.

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     Ora banferò un po', non per avanzare pretese ad un trono che si vuole vacante, ma solo per non permettere che il nostro pontificatore in germoglio abbia vita eccessivamente facile alla successione. Inoltre so, perché ho sbirciato, che in altre parti di questo medesimo articolo lui ha già pontificato molto, molto di più. (UL)

 

     Individualista l'approccio, poche punte di pochi uomini a risolvere un problema decennale. Fortuna, certo anche, ma il fronte Gaché segue a ruota il fronte F5 che segue quello O3, parallelo a quello Filologa, che precede quello Nevado, Alverman, il frontino aperto in Canin nell'estate e molti altri ancora. Approccio diverso naturalmente da quello di chi si occupa per anni della stessa grotta, della stessa frana. Solo una questione di scelte: la nostra è fatta. (UL)

L'inizio

     Il giorno 5.10.86 Badino, Serra e Truffo vanno ad attrezzare le prime parti del Gaché per evitare di dover successivamente portare tutto su da Carnino. Il programma è di portare circa trecento metri di corde dentro e di frazionare il P. 135 che, in vuoto com'è, rallenterà la risalita di squadre un po' numerose; riescono nel primo incarico mentre nel secondo si rassegnano ad un semplice frazionamento nella primissima parte del pozzo, che continua ad avere un salto di più di cento metri.

     La squadra sciita di cui parla il testo è la squadra dei fanatici integralisti esplorativi che si va formando nell'ambito torinese.

     Il fenomeno fisico cui si allude più avanti (il bang sonico di una corda) è in realtà ben noto: si tratta solo di pensarci per tempo.

     È in corso la campagna sull'F5, la stagione ormai avanzata sta facendo crescere in modo insopportabile le probabilità di salire con le auto al Colle dei Signori e lì lasciarle tutto l'inverno.

     Quel venerdì io ho voglia di andare in grotta, e ne ho anche il tempo; non così però la squadra sciita che sta martellando di settimana in settimana l'F5, e vuole una domenica a luce naturale. Ohimè, mi dico, e io che volevo diventare sciita, chi mi inizierà se quando io sono disponibile voi cedete al demone meridiano e non andate nelle grotte? Su su mi dice Maria da dentro il suo chador, noi non andiamo ma tu col Serra ed il Truffo puoi andare lo stesso; non in F5, è ovvio, mi dice (e tutti approvano) ma nella prima parte di una grottina più lontana, così inizi a portarci le corde e ad armarla per noi, sicché quando ci parrà opportuno andare, ci troveremo grandemente avvantaggiati ed entrerai nei nostri cuori.

     Felice accolgo il nome della grottina, Gaché, e l'incarico ulteriore di rompere in tre tronconi da 45 un P.135. Andiamo.

     Raggiungerla, diciamocelo, è cosa che richiede più di cinque minuti, scenderne i primi pozzi invece richiede circa quelli: l'arresto è sul P.135, ad un centinaio di metri di profondità. Il pozzo è in vuoto, splendido, forse il più bello del Marguareis noto; ma ridacchia mentre io scendo su un armo nuovo fiammante, lungo una corda di soli ottanta metri (spezzo a -40 e a -80, indi esco, programma il grosso fesso che è in me). Ai quaranta le pareti sono lontane e DAVVERO lisce: dalle tenebre sottostanti sento delle risatine: "adesso lo fa, lo fa" dice una fessura all'altra. "Chissà cosa", mi dico e urlo "sgancia!" al Serra che in cima al pozzo sta tenendo il capo della corda su cui sono. "L'ha fatto, l'ha fatto, che fisico scemo", sento che dicono intorno mentre la corda comincia a sibilare accanto a me, sospeso al centro del pozzo. Sibila perché tutta l'energia potenziale iniziale della corda si sta trasferendo alla parte in caduta, che diventa sempre più corta, sotto forma di cinetica. Quando la corda si distende tutta il capo supera la velocità del suono e ne deriva un terrorizzante tuono: rimango appeso come uno scemo a cercar di capire chi ha minato la corda.

     Poi continuo la discesa, cercando ove metter spit: macché, arrivo in fondo alla corda (il capo si è sfrangiato ed il nodino di blocco si è fuso nell'esperimento appena descritto). Passo un'oretta sconfortante ad agitarmi sulla corda lanciando un cliff-hanger verso una lama a qual-

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che metro da me. Niente, incredibile, non riesco a raggiungere le pareti; ne mi va meglio lungo il pozzo, che risalgo fermandomi spesso a lanciare cliff e martello verso remote fessure. Fraziono sì, ma ai -18, furibondo; mi avessero detto che in un P.80 non sarei riuscito a toccare le pareti avrei riso per mezz'ora, eppure è vero. Scende poi Serra, e mette un altro chiodo ai -28: usciamo felici dell'aiuto dato agli sciiti. (GB)

 

     La prima discesa in Gaché trova notevoli ostacoli per essere effettuata. Una volta gli esploratori cambiano idea in Torino, un'altra in Capanna; la terza volta ai primi di novembre capita l'incidente all'Omber, in Lombardia. L'Italia speleologica (non gli sciiti) è a Costacciaro e per qualche tesa ora sembra che il recupero sarà di competenza di una squadra formata a Torino. Con un vero prodigio riusciamo a montarne su una in grado di iniziare ad operare e, nell'attesa, per non sbagliarci, cerchiamo di richiamare le squadre esplorative sperse qua e là. Con quelle del Gaché e dei Narti il lavoro riesce benissimo. Marziano, trovato in zona, si lancia verso la capanna ed intercetta inesorabilmente gli esploratori. Quando un paio (!) d'ore dopo essi danno il "pronti" da Carnino l'allarme è cessato, ma è morta anche la discesa in grotta. Colpa di questi lombardi che pur di ostacolare il compito ineluttabile si spaccano le gambe in grotta.

     Una salita veloce fino alla Capanna sulla neve dura, entrare è imperativo dopo la finta della scorsa settimana. Vaccheggiamo un paio d'ore per far passare il pomeriggio di sole. Con Stefano sono abbarbicato sulla Capanna per fabbricare con le nostre mani operose l'intercapedine tra i due rifugi. Riccardo e Armando intendono entrare in PB, direzione Narti; Stefano,

L'entrata di Essebue, il secondo ingresso del Gaché.

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     Valentina ed io siamo diretti in Gaché. Una punta senza illusioni in cui comunque sarà utile parlare forte, molto forte, non si sa mai, gli altri due potrebbero anche non essere troppo lontani. Una voce affannata dal basso, Marziano sta attraversando di corsa Pian Cardone gridando qualcosa che non riusciamo a capire. Poche parole al suo arrivo - Incidente all'Omber -, poche parole mentre rifabbrichiamo gli zaini e lungo la discesa. Altre notizie a Carnino dalle pupe di Imperia - gamba rotta a -500 -. Poi lungo la strada Giuliano sdrammatizza tutto; una lunga attesa al Mongioie, non sgradita, concluderà la serata. Forse i servizi di cattura del 1° gruppo funzionano anche troppo. (UL)

 

Il passaggio

     Finalmente nei giorni 8-9 novembre la squadra (Cirillo, Dematteis, Lovera) riesce ad entrare. Completano l'armo fino ai -400, ove in corrispondenza dell'arrivo dell'Essebue (vedi Grotte 84) finiscono i pozzi ed inizia una zona di traversi strani su approfondimenti, su vari livelli. È questa la zona candidata a dare rami che entrino in PB che da lì dista 5-700 metri su un dislivello di un centinaio.

     Prevediamo però che soprattutto nelle prime parti ci sarà un lavoro lungo e difficile di traversi in artificiale su pozzi, così come ci era sembrato quando, tre anni fa, avevamo scoperto questa diramazione. Macché, i tre sciiti filtrano con eleganza in alto e si trovano in ambienti che da fossili e tettonici presto divengono attivi, percorsi da una violentissima, quasi insopportabile corrente d'aria. Seguono meandri, sale franose, bypass in condottine, pozzetti per quasi trecento metri, in direzione 240° PB.

     Speriamo che anche il lettore più sprovveduto capirà il racconto di MD nel quale lo zio Essebue (di famigerata fama) bofonchia col giovane ed agile Gascé sul dove sia la Via giusta verso la grande mère PB.

     Buongiorno zio, era un po' che non ti trovavo sveglio.

     Già, dall'ultima volta che sono venuti gli speleologi.

     Ma no, guarda che gli speleologi da quando ti sei addormentato sono tornati ancora, sono scesi a cercarti, ma tu dormivi.

     Che strano, anni fa, quando mi hanno svegliato l'ultima volta, mi dissero che non sarebbero tornati più a visitarmi.

     Ma loro ti chiamano Essebue solo fino qui, zio, più oltre chiamano tutto Gaché, come me.

     Sarà, sono strana gente, è vero che cercano ancora la Via?

     Sì zio.

     E dove la cercano adesso?

     Te l'ho detto, zio, la cercano da te, solo che ti chiamano diversamente.

     Si sono fatti furbi, chissà perché tu gli piaci tanto.

     Ma zio, non mi ascolti quando parlo, è che qui sotto danno a tutto il mio nome, e poi se dormi sempre cosa vuoi sapere.

     Va bene ho capito, scusami. Ma dimmi, sai quando torneranno?

     Certo, sono già qui, non li vedi?

     Sentivo solo qualche rumore, pensavo fosse l'acqua, oppure una pietra, oramai sono vecchio, non ci vedo più bene, e poi sono così piccoli, gli esseri viventi dei miei tempi erano molto più grossi.

     Consolati zio, tra poco li vedrai anche tu, vengono a trovare te. A proposito zio, è ancora aperta la Via?

     Certo, non senti l'aria che va avanti e indietro? ma scommettiamo che non la trovano!

     Sì che la trovano, adesso che sei sveglio il tuo respiro è molto più forte, io scommetto che la trovano.

     Adesso li vedo, sono tre, ridicolo, si perderanno di sicuro.

     Sei un vecchio disfattista e brontolone, guarda di trattarli bene, lo sai che alla Grande Mère

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gli speleologi piacciono molto, se non li lasci arrivare si arrabbierà certamente.

     E tu sei un giovane sciocco se pensi che io possa ostacolarli o aiutarli a mio piacere, solo il Visconte può ogni tanto aprire o chiudere qualche porta, le grotte come noi sono perfettamente immobili, almeno rispetto ai tempi degli umani.

     E il Visconte dov'è?

     È in vacanza sulla Costa Azzurra, e adesso lasciami in pace che voglio guardare bene questi tre.

(MD)

 

     Cambiare la corda sul 135, terminare l'armo e cominciare a gironzolare in zona. Questi i compiti di Agostino, Maria e miei quando finalmente ci decidemmo ad entrare. Ingresso notturno. Come dividere una squadra di tre? Agostino scende un pozzone, quello da cui erano partiti Patrizia e Stefano nell'83. Una 16 e una 50 non bastano a toccarne il fondo. Gli altri a rovistare tra i vari livelli della forra che sprofonda, credo, per una ventina di metri. Subito troviamo le scritte di Patrizia. Un grosso pozzo sbarra la strada, ma è visibile la prosecuzione della spaccatura tagliare verticalmente la parete opposta. Inutile scendere, impossibile traversare, occorre scavalcarlo. Ci alziamo filtrando nei diversi livelli, attraversando frane, alla sommità le tracce della condotta originaria sono evidentissime.

     Qui scopro di non ricordare nulla del percorso che ci aveva portati, Giovanni e me, provenienti da Essebue a sbattere dentro un'impenetrabile frana concrezionata. Quindi ci troviamo a camminare in gallerie, poi a strisciare in un paio di punti, indi in condotte, con il sospetto pesante, ma non la certezza, di essere sul nuovo.

     Scavalcando un pozzo, quello delle scritte di Patrizia, capiamo di essere sul nuovo. Galleria, un po' di condotte, una sala in frana sotto di noi, pericoloso scendere. Lo facciamo con qualche dubbio solo perché siamo stupidi e senza corde. Segue un meandro concrezionato; ha un "a monte" che seguiamo per un poco (ancora da vedere). L'"a valle" continua sinuoso, poi stringe decisamente e prende una frana. Attimi di incertezza, poi parte la caccia al passaggio; le concrezioni soffocano la sommità del meandro finché risalendo un piccolo arrivo d'acqua giungiamo in una saletta; ancora una fessura in salita per giungere nuovamente sulle condotte.

     Un po' di galleria, una sala in frana, poi ancora condotte, avanti così per quasi trecento metri fermandoci in un pozzo di qualche metro che si mangia tutta l'aria. Torniamo perché Agostino è solo da sei ore. Bisognerà mettere delle trappole per impedire che torni a Pordenone oppure trattenerlo con delle esche, chissà.

     Nel ritorno valutiamo di aver percorso 200 m, un po' per prudenza, un po' per scaramanzia, un po' per non esagerare e molto perché la ferita del Nevado è ancora aperta. (UL)

 

     Una sala, da cui parte una condotta, sulla sinistra un pozzo che succhia tutta l'aria, davanti una condotta fangosa che di aria non ne porta. Porta invece Maria che dopo un tot mi urla dalla base del pozzo che più avanti le vie si unificano. (UL)

 

     All'Aretino, in risalita, un pensiero allegro: due corde pendono e ricordando Essebue salgo su per il Gaché. (UL)

 

Da Piaggiabella

     In piena e rigorosa indipendenza, anche se con una remota unità di azione, un'altra squadra torinese opera per la giunzione: non ha però come scopo tanto questa quanto piuttosto il completamento del lavoro di portare le gallerie di PB direttamente sotto il Gaché.

     Questa linea era stata adottata da chi aveva forzato la Gola del Visconte per rendere più semplice il ritrovamento della via giusta in Gaché, ma per costoro era una scelta tattica, limitata, per rafforzare la linea fondamentale di entrare in PB da nuovi ingressi.

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Sistema di Piaggia Bella - Pianta schematica

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     Per Gobetti, invece, quella di risalire TUTTI gli affluenti di PB è la scelta esplorativa fondamentale, l'estensione del Labirinto da dentro il Labirinto. Di fatto ne è stato espropriato poche volte, una delle quali fu appunto il Lady Fortuna. Quella di proseguire nelle risalite da PB è sì la prosecuzione ad oltranza della linea decisa alla Gola, ma ancor più del più vasto approccio esplorativo che Andrea porta avanti da quindici anni.

     Si aggiunga che nessuno era molto sicuro che non fosse meglio insistere ancora dal basso o passare decisamente alla fase successiva, e si capirà l'atmosfera di incertezza, di indipendenza, fra le due esiguissime squadre. C'è però spazio per entrambe. Il gioco è sottile: l'una lavora su un ramo che sicuramente c'è, i Narti, ma in condizioni esplorative estremamente svantaggiose, in risalita. L'altra non ha, a priori, un ramo sul quale applicare tutto lo sforzo e rischia di perdersi nel cercarlo: ma, se lo trova, in un baleno sarà in PB.

     Ci preme far notare che sono impostazioni incerte e qualitativamente diverse, per questo poco suscettibili di sfociare in gara; tant'è che questi individui condividono rifugio, cibo, ciucche ed entusiasmi.

     L'atmosfera peggiora quando quelli del Ballaur trovano i rami nuovi (Gallerie del Pescatore) ed iniziano a veleggiare verso PB mentre la squadra Narti è riuscita a fare il rilievo della zona esplorata ad agosto ma non ad andare avanti. Il tentativo, sacrosanto, di questi per rimanere in gioco si trova a mescolarsi con quello che fanno numerosi mosconi che vorrebbero partecipare al meno novecento e fa esplodere una fiera dei fraintendimenti; la storia del Gaché è molto grande ma sembra concentrarsi tutta in dieci giorni.

 

     Dato che la brutta stagione si stava inoltrando, eravamo decisi a tentare la congiunzione entro tempi brevi. Organizzammo quindi la seconda punta Sir Biss ed io. La nostra intenzione era di affrontare l'ultima arrampicata al fondo dei Narti. Era ormai la terza volta che cercavamo di andarci, dopo aver fallito gli altri due tentativi per il brutto tempo e per una chiamata di soccorso. Il 22 novembre finalmente entrammo in Piaggia Bella.

     La punta si preannunciò più dura del previsto, perché eravamo solo in due, carichi di pesanti sacchi pieni di corde e carburo. In realtà secondo i nostri calcoli mancavano poco più di cento metri di dislivello per portarsi alla quota delle ipotetiche gallerie del Gaché, ma tra l'ipotesi e la certezza c'è un abisso.

     In sei ore giungemmo al campo, una tenda composta di teli termici, mollette e cordini, ubicata presso il sifone dei Piedi Umidi. Dopo una sosta di un paio d'ore ripartimmo per il meandro, situato a poche decine di metri di distanza. Comincia subito abbastanza deciso, anche se non troppo alto, con un bel ruscelletto sul fondo. Dalle concrezioni presenti sulle pareti si intuisce che è un ambiente relativamente antico.

     Giunti al limite dell'esplorazione 1983, dopo una serie di risalite fatte da Marantonio, vi è un cambiamento di morfologia ed il meandro diventa alto quasi 20 metri. Lo si percorre in opposizione, a media altezza, fino ad uno slargo che è l'unico posto comodo dove si può sostare in piedi. Da questo luogo, dove si conclude il rilievo precedente, si risale in verticale. La spaccata è sempre più al limite, sino ad un passaggio chiave che è l'unico punto percorribile su tutta la sezione. Dopo altri 50 metri si arriva alla saletta terminale, sotto un salto valutabile intorno ai cinque o sei metri. Sulla parete destra una scritta: Narti 15/8/1986.

     A causa della difficoltà dell'arrampicata, che avremmo potuto fare solo in artificiale, e del poco tempo che ci rimaneva a disposizione, tornammo indietro rilevando; proponendoci di tornare il più presto possibile. Intanto poco distante si esplorava nel Gaché, lungo la via che avrebbe portato alla congiunzione col Meandro dei Narti. (RP)

 

     Il fine settimana successivo, 22/23 novembre, le previsioni meteorologiche sono assolutamente sfavorevoli. Le sfidano alcuni montando quella che potrebbe essere la squadra giunzione (Badino, Cirillo, Dematteis, Lovera, Sconfienza) cui si aggiunge la Vallardi che li accompagna sino alla base del P. 135.

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     Mentre i primi cinque proseguono lei esce alle 23 del sabato con tempo cattivo e si perde: incredibilmente nonostante la quota, il tempo avverso ed il fatto che (al di là del duvet) non è adeguatamente coperta, riesce a sopravvivere camminando incessantemente per quattordici ore.

     Ignari della loro compagna che vaga nella notte gelida mezzo chilometro sopra di loro i cinque scendono rilevando, riarmando ed esplorando.

     La punta è decisissima ma si ferma per esaurimento di materiali a cinquecento metri dall'inizio dei rami. Ora la distanza da PB è dell'ordine delle decine di metri, meno dei margini d'errore dei rilievi.

 

     Si delineano subito due correnti: quella che decide davanti al TG1 che tempo farà e quella che va a vedere in cima al Ballaur la situazione meteorologica del Ballaur. Vince la seconda, al punto tale che dalla prima si registreranno poi illustri defezioni. Si determina l'assoluta inattendibilità delle previsioni: al momento si è verificato sole fisso (previsto uragano) e bufera (alta pressione su tutta l'Europa). (UL)

 

     ....comunque, grazie Gaché.

Io, al Gaché, c'ero andata solo per provare il "pozzone", consapevole che sarebbe già stato chiedere a me stessa il massimo. Invece è successo che, una volta uscita, stanca, ma felice d'avercela fatta, per i motivi più semplici e naturali del mondo (un repentino cambiamento del tempo), mi sono persa.

     Ho scoperto così che perdersi è facilissimo, un po' più difficile è voler vivere ad ogni costo. E io lo volevo, l'ho voluto con tutta me stessa, pur intuendo che, quella notte, sarebbe stata molto lunga e fredda. Non so bene, ancora, in virtù di cosa ce l'ho fatta e, ora, sento di dover e poter solo ringraziare.

     Grazie, innanzi tutto, a mio padre che ho sentito e "visto" vicino a me per le 13-14 ore nelle quali ho girovagato per Cian Balaur e dintorni. Grazie per tutti i racconti sulla Dama Bianca, grazie per avermi insegnato, più ancora che le tecniche di sopravvivenza, ad amare così fortemente la vita da non voler mollare mai, neanche quando la disperazione inizia a prendere il sopravvento, neanche quando i volti di persone amate e non, conosciute e non, incominciano ad apparire e svanire nella nebbia, nella neve, neanche quando mi pareva di non farcela più a rispettare il limite massimo che m'ero data di un "tot" di minuti di riposo e poi di nuovo in piedi, nonostante il foulard sul volto fosse gelato e muoversi costasse dolore e fatica.

     Grazie per avermi insegnato che la montagna si può amare anche nella disperazione.

     Grazie a tutti voi, "amici di grotta", che con le vostre apparizioni al mio fianco non mi avete fatto sentire sola mentre continuavo, ostinatamente, a ripercorrere i miei passi sulla neve gelata.

     Un grazie particolare ad Ube che, per primo, ho incontrato alla Capanna: grazie per il tè bollente che mi hai preparato prima ancora di cambiarti, e grazie, soprattutto, per il tuo sguardo, "specchio" nel quale, finalmente, ho visto che era finita, finita davvero, ed ero viva!

     Grazie alla montagna, grazie al magico Marguareis ed ai suoi, forse, ancor più magici "signori" che, per motivi ancora ignoti, non hanno voluto ch'io rimanessi lassù.

     Grazie, infine, Gaché, per questa "prova" e per questa seconda vita che, mio malgrado, mi è stata regalata. (LV)

 

     Non ricordo un'altra punta di esplorazione-rilievo così efficiente. Per buona parte della grotta si è rilevato in tre: Giovanni agli strumenti, io al taccuino e uno degli altri tre a turno con la rondella. Il flusso di informazioni trasmesso dalla grotta alla carta era impressionante e faticavo a tenere il ritmo della squadra, la quale peraltro non faticava affatto a stare a ruota agli apripista, che attrezzavano i pochi saltini.

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Alla base del P 45, a circa -100

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     Il risultato mi ha sbalordito: 100 puntate (cento!) per spezzettare i quasi seicento metri di grotta nuova, e sulla carta millimetrata la rivelazione che le topografie del Gaché e dei Narti erano ormai praticamente sovrapposte. (SS)

 

     Mi dicono di scrivere un bell'articolo sulla seconda punta di quest'autunno in Gaché, deve essere bello perché se no lo cestinano, e devo scriverlo perché se no un pauroso vuoto incomberà sull'articolo: così dicono.

     Ma io non so cosa scrivere, né di bello né di brutto, così le mie notti sono visitate da incubi popolati da redattori esigenti, per quelle poche ore che riesco a dormire, perché il vuoto incombe.

     Cosa scrivere?

     Potrei forse scrivere di come si esplora in 5: 3 rilevano, 2 esplorano.

     I primi due iniziano esplorando zone già note, ma che la loro labile memoria non ricorda più bene: il primo dei due dovrebbe conoscere la strada, quindi avanza perdendosi sovente, il secondo seguendo tappezza la roccia di frecce, perché i rilevatori a seguito possano viaggiare velocemente.

     Il primo dei rilevatori, a volte con un capo della rotella metrica, a volte senza, cerca le frecce lasciate dal secondo degli esploratori su indicazione del primo e le indica a gran voce agli altri due.

     Il secondo rilevatore usa con perizia l'eclimetro e la bussola e legge i numeri dati dalla rotella, li detta al terzo che scrive sul taccuino, aggiungendo sezioni quando serve.

     Già questo è sicuramente interessante, mancano però delle conseguenze e delle considerazioni.

     Allora scriverò ancora sulle conseguenze: le conseguenze sono semplici e ovvie. Succede infatti che la squadra che rileva supera quella che esplora, si perde, così la squadra esplorativa passa di nuovo in testa e così via. Fino a quando si arriva in zone nuove, dove la squadra che esplora, divenuta di 3 persone, inizia la vera esplorazione tra dubbi, pozzi e esitazioni, così la squadra che rileva, di 2 componenti, la supera ancora.

     Poi dovrò scrivere le considerazioni: tutto ciò è bello ed efficiente, la squadra di rilevatori ha messo grigio su grigio, cioè ha scritto sul taccuino, 100 puntate, ed è arrivata al limite dell'esplorazione contemporaneamente agli esploratori, i quali a loro volta hanno ripercorso brillantemente 300 metri di gallerie già esplorate e 300 metri di nuove, il tutto in breve tempo.

     Naturalmente essere calpestati da una squadra di rilievo lanciata a velocità stellare è un po' inquietante, anzi mette angoscia. Ma è utilissimo per diventare esploratori molto più veloci.

     E poi? E adesso cosa scrivo?

     Esimia redazione permette una domanda, ma risponda la pura verità: il vuoto incombe ancora? (MD)

 

     Ancora avanti, abbandonata la condotta, stiamo avanzando in un meandro altissimo, molto ripido, interrotto da saltini di pochi metri che però vogliono ugualmente due spit e quei maiali del rilievo dietro stanno correndo. Solo due corde e l'ultima è la mia 50 da 8 mm, quella che i salaci, che sempre abbondano da queste parti, chiamano "la stringa". La penultima è lunga pochi metri, quanto il salto che ci troviamo di fronte, ma a questo siamo abituati da tempo. Ci sono rimasti anche due spit, due spit per due corde, un meandro liscio come solo i meandri sanno essere se cerchi un attacco naturale. Quando Giovanni da dietro, completato l'inventario dei materiali, urla un irreale "Arma senza spittare". Sarà difficile se non si è portato placchette adesive. Il primo spit è andato e sotto c'è un altro salto, articolato che chiede tutto il restante dei nostri materiali. Alla sua base quindi sarà comunque finita l'esplorazione. Scendo solo perché quella corda non può davvero sopportare molte persone con un simile armo. Alla base riparte il meandro, questa volta sormontato dalla condotta che l'ha originato, facile seguirla per un paio di svolte ampie fino ad una saletta dove si perde in una fessura obliqua,

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tettonica, transitabile ma non agevole. Più comodo filtrare nel meandro fino alla base, dove trovo la medesima frattura e un'altra strettoia, apparentemente più comoda. Di qui inizierà l'esplorazione della successiva punta. (UL)

 

     Labassa era solo il penultimo treno per Yuma. (UL)

 

Ostacoli

     Nella settimana che precede il 30 novembre si assiste ad un rapido aumento di interesse per quella grotta dimenticata. C'è un momento in cui gli interessati, torinesi e no, sembrano divenire davvero tanti. Viene portata avanti una campagna di demotivazione che però, nel mucchio, colpisce indirettamente anche gente come Carrieri che per questa storia ha lavorato come pochi altri.

     Al venerdì nella bufera che sta iniziando salgono su al rifugio gli elementi della punta precedente, più Bertorelli, Pesci, Segir, Vigna. A valle sono ancora Sconfienza ed una squadra per i Narti (Bianchini, Gobetti, Guiffrey, Lucchesi, Marantonio, Pavia). Al mattino c'è tormenta, ma Sconfienza sale lo stesso, col suo cane. Poche ore dopo in sei (Badino, Cirillo, Lovera, Sconfienza, Segir, Vigna) salgono nella bufera, formidabilmente attrezzati nel caso si trovassero a vagare sino all'indomani chissà dove. Contro ogni logica trovano il Gaché, ad una decina di minuti dalla discesa della notte.

 

     L'atmosfera in cui ci troviamo a preparare l'ultima punta è sgradevole.

     Intanto si forma la coda per partecipare alla discesa di giunzione: dentro e fuori del GSP, naturalmente. Facciamo attrito e parte dei mosconi non decollano neppure per andare sul nuovo merdone.

     D'altra parte si crea un clima sgradevole perché vecchi attriti fra un gruppetto e l'altro vengono amplificati da malelingue e malintesi. Ne risulta che quella che era una campagna della quale non fregava nulla a nessuno diviene non solo attraentissima ma ci si sforza pure di farla diventare gara.

     Al tempo del Fighiera-Corchia i mettibene e le incomprensioni l'avevano fatta diventare una gara fra i fighieraici (noi) e i fiorentini; ora è il turno del Gsp "GSP" e del gruppetto di Andrea e compagni.

     Mah! A forza di malintesi e sentito dire decidiamo di prendere una linea e di portarla alla fine: facciamo quel che ci tocca, senza aspettarci nulla da nessuno, cercando di essere il minor numero possibile. Poi, chi ci sarà ci sarà. Gli scazzi si spegneranno: intanto agiamo senza vedere e pensare più a nulla. (GB)

 

     Arriviamo a Camino venerdì notte. C'è la macchina di Andrea. Prevediamo, sbagliando, di trovarlo alla Capanna. Bufera da metà Mastrelle, salita difficile, arranchiamo contro vento usandolo per orientarci, seguendo i relitti delle scalfitture lasciate sulla neve ghiacciata la settimana precedente. Trovare la Capanna, per caso, è un gradito regalo. (UL)

 

     Il vento arrivava da Nord, risaliva la Vall'Ellero, premeva nel turbine di nebbia il Colle del Pas, piombava nella conca di Piaggiabella, scuoteva il rifugio e continuava giù per la piana del Solai, sibilava sulla Filologa; si tuffava giù per le Mastrelle, si allungava ancora turbinante neve fino a Camino, schiacciava gli speleologi lì in attesa, al riparo.

     Bufera. Giampiero e gli imperiesi rinunciano a salire a Labassa, Jojo e Cathy a raggiungerci alla Capanna per il Gaché. Della squadra che deve salire da Camino per i Narti e al Gaché solo Stefano decide di varcare il cattivo tempo e sale arrivando sconvolto ed atteso alla ca-

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panna, accompagnato dal solo cane, bianco di neve.

     Gli schieramenti ora sono completi: c'è solo da attendere un paio d'ore perché lui si rimetta dallo scavalcamento della muraglia eretta dalla montagna, poi si partirà.

     I dubbi che genera il muggito del vento non sono seri. (GB)

 

     Lo dovevo ad Annie. E anche a me. In settimana avrebbe cambiato padrone e non avrei più visto quel cane.

     L'avevo conosciuta proprio su quel sentiero, proprio con quella neve, un anno prima. Era terrorizzata perché scivolava sui nevai e l'avevo trasportata, quasi di peso, fino in cima alle Mastrelle. Da allora mi si era affezionata. E io a lei.

     Quella mattina a Carnino, sotto una nevicata fitta, sapevo che non sarei stato solo a salire: lei mi avrebbe seguito ovunque. Le Mastrelle erano un incubo, la bufera sbatteva a terra, sulla neve ormai gelata. Il mio sguardo incrociava quello di Annie e coglievo la paura insinuarsi nella sua cieca fiducia.

     Nel piano Solai ero sfiatato e ci siamo accucciati sotto un pietrone, mentre io le strofinavo le zampe congelate e lei mi leccava riconoscente. (SS)

 

     È bello camminare coprendosi la faccia sferzata da vento e neve nella nebbia verso una zona nella quale bisognerà indovinare dov'è il Gaché.

     Bello. Fa freddo, freddo, e soprattutto non ci si vede nulla. Meo, in fondo alla fila continua ad avanzare registrando gli azimuth della bussola per il ritorno, nel caso il tempo continui

La partenza del P 134.

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così bestiale anche dopo.

     Quando dopo un'oretta intuiamo che la Cresta dell'Infinito è finita ci buttiamo a destra in cerca dell'abisso. Macché.

     Ci sventagliamo con cautela, la sera è imminente e la visibilità limitata a una ventina di metri. Nulla.

     Ci troviamo di colpo su un colletto, forse è quello di Essebue. Tiriamo giù su bussola 240°, la direzione principale dell'Essebue-Gaché: scendiamo parecchio, troppo mi sembra, e ci troviamo su delle paretine. Nulla. Iniziamo, ognuno per suo conto, a disperare di trovare l'ingresso.

     Improvvisa mi sorge l'impressione che l'ingresso sia in alto, a destra, tanto fortemente che mi ricorda quando, passato il Khayyam, il Corchia mi era entrato nei sogni e mi aveva detto che dovevo continuare a salire per trovare il Campo Base fiorentino.

     Mi separo dagli altri e risalgo veloce sulla neve gelata; follia separarsi, mi dice la prudenza. Pochi minuti e di colpo a sinistra emergono paretine di un canalino a rafforzarmi la sensazione che il Gaché sia davanti a me in alto. Continuo, velocissimo.

     Un dosso e davanti a me si spalanca l'inconfondibile dolina: alzo le braccia al cielo, scarico lo zaino (imprudenza!) e ridiscendo cauto cercando di lasciare tracce per ritornare indietro.

     Urlo nella nebbia,! trovato, trovato!. Passa qualche tempo e poi ecco gli altri emergere in fila indiana, tutti e cinque.

     Pochi minuti dopo siamo tutti dentro, al riparo a cambiarci, calmi, al di là delle ultime muraglie. Fuori è scesa la notte. (GB)

 

     È stato da pazzi cercare l'ingresso del Gaché in quella bufera. Adesso posso confessarlo: ho avuto veramente paura là sulla cresta, quando ci siamo persi nella tormenta.

     Sull'orlo di paretine sconosciute, il foulard sulla faccia ormai trasformato in una dolorosa celata d'armatura, ho cominciato a trasferire la mia energia dall'obiettivo originario, "trovare Gaché", ad un'altra meta, più meschina forse, ma anche più umana: "ritrovare il rifugio", ovvero salvare la pelle! (SS)

 

     Pensiero polemico: occorre verniciare a colore differente i mosconi per distinguere le specie occasionali dai perpetui profittatori delle esplorazioni altrui.

     Infatti si è resa pressante l'esigenza di comprendere cosa spinge taluni speleologi a credere che in occasione di giunzioni o punte importanti gli esploratori che fino ad allora hanno gestito le operazioni debbano necessariamente essere aiutati. Questo fatto genera abitualmente alcune tonnellate di antipaticissime polemiche nel corso delle quali gli scambi di piacevolezze si sprecano.

     Dato che non sempre è possibile affidarsi ad una bufera per portare al ragionevole il numero dei partecipanti, sarebbe opportuno provvedere diversamente per fare in modo che certe punte non assomiglino troppo ad evacuazioni di massa. (UL)

 

 

Anc no la vi et am la fort

anc mo n'aic dreit ni n.om fes tort;

quan no la vei, be m'en deport;

no.m pretz un jau:

qu'ie.n sai gensor e belazor, e que mais vau

No sai lo luec ves on esta,

si es en pueg es on en pia;

non aus dire lo tori que m'a abans m'en cau;

e peza.m be quar sai rema, per aitan vau.

 

Non l'ho mai vista e l'amo tanto,

e mai n'ebbi ingiuria o premio;

se non la vedo poco ci bado;

niente m'importa:

che ne so una più bella e gentile e che più vale

Non so il luogo nel quale vive,

se è collina oppure pianura;

non oso dire il torto che mi fa

e anzi taccio;

mi spiace molto che qui rimanga, perciò io vado.

(GP)

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Touch-down

     I sei si cambiano lasciando i materiali ben dentro per poter uscire attrezzati anche se la bufera chiuderà l'ingresso. La discesa è una delle solite in cui nei tempi morti o si beve thè o si migliorano armi. Per arrivare al limite di cinque giorni prima occorrono sei o sette ore; poi altre tre, tese, in un meandro fattosi altissimo e stretto. Quattro pozzetti: l'ultimo, di sette metri cade in una delle più remote regioni di PB, il Meandro dei Narti. Sono le ore 3.00 del 30.11.86.

     Itaca.

     C'è qualcuno, non dico chi, che già sta rimbambendo prima di diventare pontificatore: pensate un po', va a scendere il Gaché, centinaia e centinaia di metri di corda, e non si porta appresso il discensore.

     Non portarsi i bloccanti si può capire: intende uscire da PB. Già Andrea, a suo tempo ('76) aveva minacciato di far la giunzione Fighiera-Corchia scendendo il primo in doppia, mentre ancora era nelle primissime fasi di esplorazione, e aveva così creato uno dei giochi fighieraici: calcolare in fondo a quale pozzo cieco sarebbe morto di stenti. Meinz, dicono i più.

     Senza bloccanti al Gaché tuttavia, dico io, è comprensibile. Ma senza discensore! Che volesse arrivare a PB salendo? Per fortuna nella squadra c'era qualcuno bravissimo (la modestia mi impedisce di dirne il nome) che usando una tecnica descritta nel Manuale per gli allievi del corso GSP è sceso usando solo qualche moschettone. (GB)

 

     Sfondare porte aperte. 700 metri di gallerie e pozzi che aspettavano solo che qualcuno si degnasse di percorrerle, completamente prive di ostacoli seri, rarissime le incertezze. Molti invece i punti che ci mostrano di essere transitabili solo per loro decisione e non certo per nostra abilità. Si prosegue diritti, mai un masso di più, mai una fessura troppo stretta. (UL)

 

     Una sola incertezza riguardante le parti conclusive. È la fessura che aveva costituito il nostro limite. Ero lì giunto dubbioso e solitario seguendo un meandro sul suo soffitto e la condotta che ne era la sommità a quel punto decideva di svanire lasciando il posto a quella spaccatura obliqua, transitabile certo, ma dopo? Poche dita più stretta e non saremmo qui a dire amenità sugli approcci individuali. Un bagno di gioventù mentre abbandonando i paramenti mi infilo nella strettoia: subito banale. Stefano sotto di qualche metro sta facendo altrettanto ma il livello alto sembra migliore. Al di là di nuovo la condotta, non enorme ma prosegue fino ad un pozzo. Giungono tutti gli altri e con loro anche i miei bloccanti abbandonati ed anche questo è un film già visto. (UL)

 

     Ube sta tirando questa avanzata verso PB

     Ancora un pozzo, ancora di cinque o sei metri, con noi non c'è corda ma abbiamo due sacchette d'armo per spittare mentre gli altri ci raggiungono.

     Il meandro è alto, articolato. Supero Ube e scendo un paio di metri oltre fino a trovare un punto buono per armare Quando inizio a forare lui mi chiede se è il caso di metterne uno anche lì dov'è lui, a pochi metri da me. No, qui ci sono due naturali per doppiare il chiodo, rispondo. Lui si mette a dormire.

     Spitto con cura e lentamente, non c'è fretta, Meo e gli altri con le corde non sono ancora arrivati.

     Ogni tanto sbircio il saltino, pochi metri, nessun segno è visibile, là sotto. Bello spit. Bello. Meo ancora non c'è e i due attacchi naturali, decido, dopotutto sono brutti; abbiamo ancora ventidue spit, non è grave sprecarne uno. La corda, quella sì, può diventare un problema, ne

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abbiamo solo più cinquanta metri ma dov'è PB? Sbircio sotto. Mah!

     Ube dorme. Metti un altro spit, va! mi dico.

     Parete opposta, comincio a forare. Mancavano dieci metri e già ne abbiamo scesi trenta o quaranta. Che il Gaché fosse venti metri meno profondo potrei anche crederci. Che ci siano errori grossi sulla quota del sifone dei Piedi Umidi non ci credo. Sul rilievo dei Narti? Neppure. Va là, mi dico, sian pure venti di meno non deve proprio mancare nulla, la corda basterà.

     Toc, toc.

     Fisso l'altro spit e intanto arriva Meo che mi dà la corda, l'unica; lego, tutto a posto, gli offro di scendere.

     Scendi tu, dice.

     Discensore, scendo sulla corda giravoltando.

     È ad un metro dal fondo che, a sinistra, vedo biancheggiare una scarburata, una normalissima scarburata.

     E, sopra, c'è una scritta:

     NARTI 15.8.86.

     Non eravamo in Gaché?

     Anche, anche.

     Atterro, spengo la luce e mi inchino profondamente, nell'oscurità. È tornata la strana, nota indifferenza. Mi rialzo, riaccendo e dò il libera a Meo, poi mi accoccolo a terra con la macchina foto in mano.

     Meo atterra, mi guarda accoccolato, alza lo sguardo e vede: NARTI 15.8.86. Flash. Reprime un grido, mi rialzo, ci stringiamo in silenzio, poi lui va a mettersi dinanzi la scritta, io ritorno a terra con la macchina foto in mano. Libera! Arriva Walter Cosa c'è? continua, diciamo, ed è vero, va avanti sino alle remote Porte di Ferro. Libera! arriva Ube, che c'è? Meo si scosta, vede la scritta, flash!

     Arriva anche Agostino mentre ora sono in tre a coprire la scritta. Flash! Che c'è, grida Sgunfia iniziando a scendere; è tutto nero qui, tutto nero, scendi, gli risponde qualcuno. A metà altezza si ferma e ci dice che ha capito, che non è mica scemo. Flash!

     Capire potrà anche aver capito ma da questo a dedurre che non è scemo il passo è lungo, come il percorso da Carnino al Gaché nella tormenta. È scemo.

     Foto ricordo, foto, foto.

     Quiete. Era dal '54 che si cercava di arrivare qui.

     A quale poeta la dedichiamo? Intanto è un poeta? Discutiamo, quieti.

     Sì, è un poeta. Ma quale? Tu Fu, Dante Alighieri?

     Potrebbe essere un troubadour, dico mentre il thè si scalda. Sì urla Ube, eccolo, è quello del "Farò un verso di puro nulla" Guilhem de Peitiau, il primo dei troubadour.

     Lui, la giunzione è sua.

     E poi abbiamo in sospeso Jean Francois Pittet, avevamo pensato di dedicargli il Nevado Ruiz ma avevamo atteso per vedere come andava a finire poi abbiam visto che era indegno di JF. Ma la mitica galleria che dal Gaché doveva andare a PB, no, ne è degna. L'intero ramo dunque sia del pescatore, anche se JF non è riuscito ad insegnarci a pescare con la mosca, e non siamo riusciti ad andarlo a trovare nella sua casa nel Jura, e mai più lo faremo.

     Faccio la solita scritta "in queste regioni si conclude la via dell'abisso dell'alto Ballaur dedicata a Guilhem de Peitiau, poeta provenzale". Ma questa volta non ci sono né sigle né monogrammi perché la storia é molto, troppo grossa, per firmarla. (GB)

 

     "Solo la compagnia è quella che è, e non c'è neppure la speranza che migliori la prossima volta". È una delle ultime frasi dell'articolo sulle Porte di Ferro. Molte le analogie: i compari, sempre gli stessi, anche se questa volta sono più numerosi; simile la sensazione di compiere una formalità, avevamo anche i rilievi delle due parti ormai praticamente sovrapposti, gli ultimi quattro pozzi potevano essere ognuno quello della giunzione. Questo ha diluito l'attesa nella delusione di non trovare segni e nella soddisfazione di vedere il meandro continuare altissimo, inarrestabile nel successivo salto. Inevitabile trovare prima o poi la scritta "Narti 15/8/86" lasciata da

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Marco e gli altri. Inevitabile che Giovanni fotografi la soddisfazione nelle facce da stupidi che man mano scendevano quell'ultimo pozzo, inevitabile studiare quale poeta meritasse la dedica, inevitabile far affiorare dalla memoria Guilhem de Peitiau. Inevitabile la solita dedica "In queste regioni si conclude...".

     "Questa volta è di nuovo un po' seria" dice Giovanni prima di risalire. Intelligente invece battezzare la via che ci ha portato "Il Pescatore" perché anche lui trascorse qualche ora del suo tempo a cercare una via che unisse i due buconi. E credo che questo non porterà polemiche e anzi forse servirà a farne tacere qualcuna. (UL)

 

     Non è la prima volta che lo noto: il momento culminante della vicenda fisica - ovvero la discesa sui Narti - non coincide con il momento più alto della vicenda emotiva.

     Emozioni forti ci sono state prima, quando i rilievi del Gaché e dei Narti si sono sovrapposti, nella bufera in cresta o nel superare la spaccatura che sembrava volerci fermare. Poi ritorna il senso della formalità o meglio dell'inevitabile. Era l'ultima corda: i Narti "dovevano" essere là sotto.

     La gioia sulla giunzione è quasi di maniera, come un rito, con la solita scritta di Giovanni, il solito poeta, i soliti autoscatti.

     Invece rieccola all'esterno, la marea che sale, accarezzando la roccia che ormai non ci nasconde più "quel" segreto, ma pare volercene subito indicare cento altri, oppure immaginando

Meo e Ube vedono la scritta "Narti 15-8-86".

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con quali parole riuscirai a dirlo a Marziano, appena arriverai a un telefono.

     Un anno fa mi era successo sottoterra, ma mi trovavo in un santuario. Questa volta ho pianto di gioia sulle Mastrelle.

     "To travel is better than to arrive". (SS)

 

Tutti uscimmo a stento

     Nessuno uscirà da PB perché tutti i materiali di sopravvivenza sono all'accesso alto e le condizioni del tempo possono essere tremende. I sei risalgono disarmando e rilevando l'ultima parte. Ci vogliono sei ore per ritornare all'Aretino (-410) dove due si staccano e risalgono a dare notizie ed annuncio di ritardo. Gli ultimi quattro fermano il disarmo sopra i grandi pozzi, a -70. Escono alle sei di sera. Il tempo fortunatamente è bello.

     La salita è quieta, lenta. C'è vago nervosismo perché è più lenta di quel che consiglia il fatto che ignoriamo le condizioni meteorologiche all'esterno e che dunque ci conviene uscire in pieno giorno. Un nervosismo che a tratti fa dimenticare la storia che ci lasciamo dietro.

     Per qualche motivo mi sembra assolutamente indispensabile essere l'ultimo a risalire, che l'oscurità si richiuda dietro di me: sento che non devo superare nessuno, per nessun motivo, chissà perché.

     Disarmo quieto, allungo a raggiungere gli altri solo il paio di volte che mi vengo a trovare col sacco pieno, per cederlo. Voglio star da solo: una Itaca che mi spingeva su strane rotte dal '73 è raggiunta e voglio ripensare i mari attraversati. E sono un po' triste. (GB)

 

     Tutti noi abbiamo visto cose diverse; sentite Segir:

     Gaché. E uno di quei nomi che vi restano impressi nella mente, attirano la vostra attenzione ogni qual volta lo vedete comparire in qualche articolo o ne sentite parlare dagli amici.

     Ripensavo a queste cose quando, finita la serie di pozzi a raffica, mi addentravo con gli altri cinque nel lunghissimo meandro che ci avrebbe condotti in P.B. L'aria gelata, che perennemente ti fa il solletico al naso, non ti consente di soffermarti troppo a guardare il paesaggio; i passaggi tra i massi, a volte degni di un labirinto greco, mettono in risalto l'abilità dei primi esploratori Ubaldo, Maria e Agostino.

     Le cose vanno abbastanza regolarmente fino al Meandro dei Narti, punto di congiunzione con P.B.; quindi, tra un po' di commozione generale dettata dal ricordo di tanti amici che avrebbero voluto gustare con noi questi momenti, riprendiamo la strada del ritorno.

     Purtroppo questa è in salita e salendo si fatica e si suda; naturale quindi che l'invito dell'amico Meo ad usare la pompetta per racimolare acqua da bere venga accolto con piacere e sconsideratezza; risultato: dopo circa mezz'ora compaiono forti bruciori allo stomaco che ve li raccomando (almeno avessi avuto un po' di bicarbonato...). Naturalmente guai a fermarsi, lo stratega ha fretta e vuol rispettare i tempi (forse vuole annunciare la notizia al mondo speleologico col telegiornale della sera).

     Comunque lo scrivente arriva in qualche modo alla base dei pozzi con gli altri. Arrivo sotto il 135; Stefano ha appena rotto il pedale; parto e dopo qualche decina di metri mi succede la stessa cosa (maledizione dei fisici verso di noi?) e, dopo accorciamento del medesimo, mi accorgo che salgo veramente molto piano. Sento gli incitamenti dello stratega che dopo un po' diventano urli di rabbia: il suo P.C. da polso gli ha ricordato che stiamo andando fuori tempo massimo per la cena al Mongioie e l'annuncio al mondo.

     Gli altri sono rassegnati, lui no: per me avanzare di soli 30 cm alla volta è una sofferenza ma è inutile protestare. Ad un certo punto mi chiudo in me stesso, penso solo all'ambiente che mi circonda e ai pozzi che si susseguono.

     Il ricordo della mia prima discesa al Fighiera è quanto mai presente; pensate che anche allora ero solo con lo stratega e che, trovando il sottoscritto qualche difficoltà nella risalita,

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era stato superato dal nostro e lasciato a meditare di come può essere bella una grotta vista da uno che non ha fretta. (WS)

 

     Una risalita quasi silenziosa per permettere alla mente di assaporare pienamente quanto è successo e solo il fantasma della bufera abbandonata all'ingresso può velare la calma appagante di questo ritorno.

     Per mezzogiorno saremo tutti fuori. Ancora una serie di punte perfette, massima efficienza per massimi risultati. Bene, anche col maltempo potremo svaccarci alla Capanna prima della cena al Mongioie. Tutto perfetto. Siamo solo un po' lenti. "Walter passa di qui, no non lì, più alto". Incastrato. "Stefano tira, io spingo, ecco...". Troppo lenti, di questo passo saltiamo la cena. C'è di peggio, uscendo col buio rischiamo anche di non trovare la Capanna se c'è bufera. È già successo in tempi recenti. "Walter potresti mica darti una botta?". Poi un pozzo, due ore trascorse a costruire thè, a camminare per scaldarsi inveendo contro quella divinità con il codino arricciato. Quindi un cielo stellato 13 ore dopo la partenza dal fondo.

     Il Mongioie, già chiuso ci viene aperto per l'occasione. Lì nell'ordine, le telefonate a Marziano, a Giulio, a Giorgetto, a Piergiorgio, la cena. (UL)

 

     Uno schianto appeso in un pozzo da cinquanta e una caduta - anche solo di mezzo metro - costituiscono sempre una scena da brivido, di quelle che ti accorciano l'esistenza di una decina d'anni. Qualche attimo d'incoscienza, poi realizzo di essere ancora appeso alla corda vivo; vedo la staffa spezzata e sento la faccia insanguinata per la frustata della maniglia.

     Da lì è solo una tortura uscire dal pozzo praticamente a braccia e dalla grotta con una staffa rabberciata. (SS)

 

     Agostino è il Jolly di fine stagione; è caduto a Torino giusto in tempo per gustare la giunzione ed esserne protagonista. Sempre silenzioso, se gli chiederete se preferisce tornare in rifugio o proseguire, vi risponderà "Tornate indietro" incamminandosi verso la grotta. Gli sono stati offerti oro e donne per restare a Torino, inutilmente. (UL)

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     Non è facile trasferire sulla carta le impressioni di uno speleologo di una piccola provincia "orientale", che un giorno si è visto improvvisamente calare in quella "gabbia di matti" (come si dice dalle mie parti) che è il GSP. Quella della giunzione di due "realtà in precedenza separate" non sarà forse una punta che passerà alla storia (sic!) delle grandi esplorazioni, ma ha saputo acquistare quel sottile e particolare fascino delle cose che si dimenticano difficilmente (piccola parentesi patetica: già mi immagino la scena di quando dei vecchietti sdentati e malfermi racconteranno ai nipoti: "ai miei tempi, si partiva con la tormenta per andare a fare 24 ore in Gaché...").

     E che dire poi del Gaché, dei suoi splendidi pozzi, dei suoi un po' meno splendidi stillicidi, dei suoi meandri che lasciano passare quella stessa gelida corrente d'aria che ci ha guidato fino ad una scritta nera su di una parete? E che dire del momento in cui sei persone risero dopo aver letto quella scritta, dopo una ricerca che durava ormai da due generazioni? Niente. Queste sono emozioni che non si possono comunicare per iscritto. A noi non resta che raccontare agli altri ciò che è avvenuto, cercando di spiegare come è avvenuto; ma possiamo rendere solo una pallida idea di ciò che abbiamo provato, a chi non ha mai provato.

     Ma, per fortuna, la maggior parte delle persone che leggeranno queste righe hanno sicuramente già vissuto situazioni simili, e comprenderanno senz'altro ciò che spinge alcuni esseri umani, forse non molto più dementi di tutti gli altri, ad insistere, e a continuare a cercare gratificazioni in modi ed in luoghi che di gratificante hanno ben poco.

     Qualcuno meglio di me racconterà come si sono svolte le operazioni, cose senz'altro utili e necessarie, ma che io sono poco avvezzo a scrivere. Dirò invece dell'amicizia che mi lega al GSP, un'amicizia nata da quelle poche, ma buone, esperienze marguareisiane che ho avuto modo di vivere nel periodo della mia permanenza in quel di Torino, e che, per quanto breve, mi ha reso possibile conoscere una speleologia con un qualcosa in più, fatta, oltre che con il fisico, anche con la testa; ed i risultati ottenuti altro non sono se non le prove di quanto sia produttivo il ragionare su ciò che si fa e su ciò che si ha occasione di vedere.

     A questo punto, chiudo il mio piccolo intervento, augurandomi che non risulti né troppo retorico né troppo tedioso, sebbene mi renda conto che le cose in esso contenute siano già state sentite e risentite centinaia di volte, e forse poco adatte a quanti si definiscono "addetti ai lavori". Ma con esse intendo comunque ringraziare tutti coloro che mi hanno mostrato quella piccola parte di universo che giace nascosta sotto la montagna chiamata Marguareis. (AC)

 

     Che poi fosse una fottuta segreteria telefonica a dirmi che Piaggia Bella ed il Gaché si erano finalmente uniti per sempre, era cosa difficilmente prevedibile, per quanto omogenea alla mia visione del mondo ed in particolare di quel mondo.

     "La storia personale non conta nulla" dice Don Juan, ma noi oltre quella non riusciamo ad andare, e con quella continuiamo a cercare di renderci interessanti. (PD)

 

     È stata fatta la giunzione con PB: ne sono felice, veramente, anche se non ero presente. È un risultato importante perché è stato ottenuto dal Gruppo; il Gaché era stato disceso negli ultimi anni da singoli individui che "ci provavano" senza un impegno collettivo da parte del GSP. Ora ci saranno in questo abisso altre cose da vedere, e così in tutte le altre grotte dimenticate da anni. (WZ)

 

     La settimana dopo in sei (Chiri, Pastorini, Toninelli, Tosi, Truffo, Vigna) recuperano i cinque sacchi di materiali, riportandoli a valle.

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Complesso di Piaggia Bella - sezione schematica

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Fait ai lo vers, no sai de cui

Ho fatto il canto, non so su chi

(GP)

Dopo Itaca

     Il pazientissimo lettore non crederà che UL abbia già finito di pontificare. Sentite qui:

 

     Ed era pure ora che uscisse qualcosa. Atmosfera da rottura di incantesimo e quelli che in seguito alle vicende Labassa erano diventati brocchi tornano ad essere esploratori e le tecniche individualistiche suicide tornano vincenti, e in una speleologia estremamente scarsa di stimoli non è poco. Pochi sono i fronti in cui si combatte, la situazione è di per se statica, le persone abili da anni sono imprigionate sui medesimi problemi perché ad ogni parziale successo corrispondono nuove questioni da risolvere. Ne consegue una speleologia statica parca di novità, poco diffusa e di scarsissime capacita attrattive. Bene, ora se alcuni di quei pochi esploratori, anziché cercare di aumentare i fronti, di essere forza trainante, si limitano ad intervenire, invitati o no, richiesti o no, graditi o no, sui problemi già risolti o in fase avanzata avremo di conseguenza soffocato ulteriormente un'attività ormai focalizzata su pochissimi obiettivi. (UL)

 

Considerazioni a margine di una giunzione

     Del risultato tecnico e delle sue tante sfaccettature storico-emotive se n'è parlato molto, non solo sul nostro bollettino. Forse sarebbe il caso fare qui qualche considerazione e qualche bilancio, più inter nos, una volta tanto sull'onda della soddisfazione e non delle sterili polemiche.

     Si era parlato, dopo un'estate non prodiga di risultati per l'attività del gruppo, di crisi profonda del GSP, di scarso impegno generale, di gruppettismo, di involuzione esplorativa. Personalmente avevo un po' osteggiato questa interpretazione, se non altro indirettamente con il mio compiaciuto racconto dell'Operazione O-3. Il mio intento era distinguere la crisi di risultati dalla crisi di impegno. Pur non negando del tutto la seconda, mi pareva errato considerarne la prima come diretta conseguenza, piuttosto che frutto di casualità e fortuna.

     La dimostrazione è venuta esemplare dal grandioso risultato di quest'inverno, ma - soprattutto - dal fatto che nulla è cambiato nel frattempo dalla strategia e dal background che hanno generato i non-risultati estivi, sia nel bene che nel male.

     Nel male è rimasta la cronica assenza dai campi di battaglia di molta gente importante per l'attività esplorativa del gruppo, il fatto che il peso di esplorazioni impegnative come quella in discesa dal Gaché e in risalita dai Narti sia ricaduto sulle spalle di pochi, non ultima la pessima abitudine di cercare di dissuadere gli altri dal fare ciò di cui noi non abbiamo voglia.

     Di buono c'è stato e c'è una dimostrazione di forza ed efficienza - laddove serve - che in questo momento ha pochi eguali in Italia, c'è un indubbio perfezionamento esplorativo, la ormai raggiunta padronanza da parte della squadra da punta di operare energicamente a discrete profondità e tranquillamente oltre le venti ore, la concretezza di esplorare pressoché costantemente con la musette da rilievo a tracolla che ha sfornato fiumi di dati e disegni.

     Che due o tre persone debbano gestirsi da sole un'esplorazione può non essere un problema, avendo verificato che quelle persone di fatto sono in grado di farlo e con profitto: immaginate quanti gruppetti di tre il GSP può fornire e quanti fronti potrebbe impegnare con risultati anche migliori.

     In una punta e mezzo si è riarmato il Gaché, nelle restanti due punte e mezzo si sono esplorati e topografati i settecento metri di gallerie che ci separavano dalla Gola e si è disarmato per intero la cavità. Il tutto senza spedizioni oceaniche, bensì con squadre di due, tre, quattro e sei partecipanti (300 ore uomo, come ama quantizzare l'Idiota Imperiale). Il rendimento risultato/sforzo prodotto mi pare si commenti da sé.

     Queste ultime riflessioni mi sembrano estratte dall'articolo su O3 dell'ultimo bollettino: e non è casuale! La stessa determinazione ed efficienza di O3 ha portato con un pizzico in più

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di pazzia e incoscienza al Gaché. Nulla è cambiato. Tranne il risultato.

     Prendiamo tutti quanti da questa bella storia ciò che essa ha da insegnarci che con un poco più di decisione e convinzione individuale non ci è precluso alcun obiettivo, pur senza dovere muovere armate. Basta muoverci. Se siamo individualisti, non perseguiamo inutili omogeneità, ma sfruttiamo a pieno l'iniziativa di ciascuno. A patto che chi decide di affrontare un rompicapo, lo sappia e lo voglia fare sino in fondo.

     E se poi i risultati non verranno, pazienza. Ma verranno!

"When you're no longer thinking ahead, each

footstep isn't just a means to an end but a

unique event itself" (Robert M Pirsig)

(SS)

 

Ma quant'è profonda PB?

Scena: Museo di Paleontologia

Visitatore al cicerone, indicando lo scheletro di un dinosauro:

"Quanti anni ha quella bestia?"

"Cento milioni di anni e sei mesi"

"Accidenti, che precisione! Ma come fate a saperlo?"

"Semplice, quando mi hanno assunto qui, sei mesi fa, mi han detto che aveva cento milioni di anni. Ora dunque ne ha cento milioni e sei mesi".

     Questa barzelletta fa ridere tutti, ma nessuno ride del fatto che esattamente lo stesso ragionamento viene applicato alla misura delle grotte, per una ignoranza che è difficilmente sopportabile in chi vanta le caratteristiche di scienza della speleologia.

     Ecco dunque grotte topografate con precisioni dell'ordine dell'uno o due per cento che vengono dichiarate con un errore totale minore dell'un per mille (-1208 il Corchia, e così il Cucco, il Gortani ...)

     La quota d'ingresso del Gaché è dichiarata 2525, e ragionevolmente sarà quella, più o meno una decina di metri. Essebue da una poligonale esterna risulta essere un metro più basso con una incertezza dell'ordine di un paio di metri. Dunque, per quel che ne sappiamo, é alla stessa quota. La quota dei sifoni di PB picchia sui 1640 (1642 ufficialmente), con la ragionevole incertezza di una decina di metri. In questi sifoni si è immerso un sifonista che dice di esser sceso quaranta metri. E' noto che i sifonisti si lasciano prendere dall'entusiasmo ma, trattandosi di un fuoriclasse come Fred, vien da credergli, più o meno.

     La profondità del sistema è dunque affetta da un errore massimo di più o meno venti metri. Dunque per uniformarci alle tradizioni diciamo 925 (non, per l'amor di Galileo, 923). Io, comunque dirò sempre "intorno ai novecentoventi". È più profonda del Cucco? Nessuno lo sa. Ora il Gortani è andato giù, e probabilmente è sceso significativamente sotto PB. Ne sarà entusiasta.

     Ho però avuto una idea: in classifica mettiamola dietro a questi due sublimi mondi, e poi occupiamoci di alzarla e di approfondirla: lo possiamo fare di quasi cinquecento metri, non è male. Perfino il Corchia Imperatore può essere superato. Deve essere nervosissimo.

     Lo sviluppo sino ad ora rilevato (coincidente, praticamente, con l'esplorato) è di 29,5 Km. (GB)

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F5 - Primo amore

di A. Eusebio, U. Lovera e S. Sconfienza


     È il terzo autunno consecutivo che mi trovo a raccontare gesta più o meno eroiche nell'Abisso Saracco ed è il terzo anno che si parla di nuove esplorazioni. Con la sola differenza che questa volta il merito è solo in minima parte "nostro" e pressoché la totalità spetta a un simpatico matto francese di nome Jo Lamboglia.

     Credo sia il miglior esploratore che io abbia incontrato e se rilevasse anche tutto ciò che esplora lo sarebbe di gran lunga. Fatto sta che grazie a un fiuto non indifferente e ad una ostinazione unica, risalendo tutto il risalibile e percorrendo tutto il percorribile, Jo-Jo ha fatto esplodere l'amonte del Collettore Nord, esplorato nel 1985.

     Si tratta di un paio di chilometri (malcontati) di nuova grotta, di cui rilevati per ora (da noi) 800 metri, ovvero il collettore più uno dei vari meandri fossili che da esso si dipartono.

     L'importanza e le prospettive aperte da queste scoperte sono rilevanti: anzitutto esse conferiscono all'Abisso Saracco l'aspetto di sistema sotterraneo che prima era solo abbozzato; da poco più di una bella grotta verticale con stupende serie di pozzi, F5 si è trasformato nella via di accesso e nella chiave di volta del reticolo freatico che presumibilmente accomuna tutta la zona F.

     Lo fa prevedere l'allargarsi a macchia d'olio della griglia di meandri e condotte che confluiscono nel tratto di collettore (oltre mezzo chilometro) esplorato quest'anno. Alcune di queste vie hanno ormai avvicinato sensibilmente l'abisso Saracco a F3 (Abisso Volante, -339) e al Gouffre Joel (-130). È un reticolo che si inerpica dentro la montagna in direzione Navela-Cresta delle Galline.

     Utile lavoro invernale sarà quello di andare a percorrere in sci la zona di assorbimento di questo collettore alla ricerca dei suoi ingressi superiori, che oltretutto avvicinerebbero moltissimo l'esplorazione di una regione sorprendentemente estesa.

S.S.

     Le informazioni erano molto precise, Jo aveva risalito la serie di pozzetti del Collettore Nord sotto i quali l'altro anno ci eravamo fermati percorrendo in seguito un chilometro di nuove gallerie. Un chilometro è tanto e noi tutti un po' dubbiosi sorridiamo all'idea dipanandoci lungo la grotta, sottovalutando così le parti alte del Collettore; al fondo ci arriviamo soltanto in due, Nino ed il sottoscritto. Qui si trova una bella sala che per ora rappresenta il limite massimo raggiunto finché non si vorrà forzare una strettoia in acqua nemmeno troppo difficile; l'idea giunti qui è di fare il rilievo e di esplorare alcune gallerie secondarie che JoJo non aveva ancora percorso. L'aria è forte, l'acqua intorno ai 2-3 litri al secondo, e i meandri da percorrere sono veramente lunghi e marci e solo dopo otto ore siamo alla "sala finale". Bella, ampia con un laghetto; gli ambienti sono complessi, l'impressione generale che se ne ha è che da esplorare ce ne sarà ancora per parecchio.

     Un ramo laterale in leggera risalita ci conduce ad un bivio, a destra una condotta di una trentina di metri, con eccentriche, chiude su concrezioni e frana, a sinistra una serie di strettoie ci porta in un meandro e alla base di due grandi pozzi gemelli ascendenti separati da un setto di roccia. Poi comincia la parte più triste, il rilievo, nel meandro inoltre ci perdiamo e siamo costretti ad acrobazie per ritrovare la via giusta, poi decidiamo di interrompere, e dopo un'oretta ci congiungiamo, stanchi, con Stefano e Maria e soltanto dopo molte ore siamo finalmente fuori.

A.E.

     Dunque si riparla di F5 e se ne riparla seriamente. Stupiti vero? Non lo sareste tanto se la vostra redazione vi censurasse gli articoli. E fanno tre (gli anni consecutivi in cui sul numero autunnale di "Grotte" leggete che siamo bravi e che esploriamo a -500 tutte le settimane). E neppure stavolta ci è toccato armare. Ci ha pensato Jo Lamboglia che cessata l'infatuazione per il Joel e l'entusiasmo per F3 è passato all'amore per F5. Comodo certo, ma ha anche

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Abisso F5, rami nuovi 1986 - rilievo

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i suoi inconvenienti. Storia dunque che ha inizio ad ottobre con la notizia che Jo ha armato la grotta. - Bene bene - si dicono certuni - non sarà il caso di andare a dare un'occhiata dato che niente niente un reseau ci aspetta da un anno e gli altri fondi sono inviolati da molto assai tempo?

     Dei due discorsi, il primo (quello del Collettore Nord) lo farà qualcun altro; io non l'ho neanche visto. Il secondo mi spetta.

     Si basa su ipotesi ragionevoli: considerato che l'unico ramo visto ha dato più di un Km di gallerie inesplorate è logico e razionale andare a vedere anche gli altri, soprattutto in vista del fatto che di loro sappiamo che 1) entrambi si sviluppano in meandro, 2) entrambi hanno aria forte, 3) entrambi chiudono in sifone e notoriamente queste ultime due cose non vanno tanto d'accordo. Se si aggiunge che sono di esplorazione vecchiotta, si dicono gli arguti "non sarà che con qualche traversotto su un pozzo o scavalcando qualche ringiovanimento facciamo fesso quello stupido sifone?". Ed è così che mentre Poppi, Nino, Stefano e Maria veleggiano verso il Collettore Nord, Meo, Franco e il seriamente vostro procedono verso il fondo di -450.

     Parte alla base del P.155 dopo un po' di sfasciumi con un gran P.50 alla cui base un P.18 conduce in meandro. Ridicolo, ecco il termine. Ridicolo. Alto poco e largo meno va avanti per troppo allargandosi solo in occasione di arrivi fino al punto in cui la condotta sfondata che sempre ci ha accompagnato vigile sulle nostre teste decide di immergersi in un piccolo sifone lasciandoci lì a guardarci come fessi e a sentire l'aria fischiare in una fessura di poche dita. Tentiamo anche qualcosa su per gli arrivi, ma non vi dico come, perché ormai è trascorso del tempo e mi è passata la paura. Ah dimenticavo, il tutto più il ritorno nel consueto festival di fango. All'altro fondo quindi e decisissimi lo affrontiamo nel corso della stessa punta. Vi state annoiando vero? Ditelo alla redazione.

     Il fondo dei 507 lo abbordiamo da un ramo laterale, dato che quello ufficiale sappiamo essere verticale e senza storie. Così dopo una serie di pozzi e un tratto di meandro comodo giungiamo attraverso un altro salto al salone di frana in cui si congiunge la via principale. Di lì la strada è unica, un breve tratto concrezionato e una zona di casino. La via normale vuole che ci si immerga in un meandrone che dopo qualche pozzo termina come al solito su un sifone. Si vedono però delle condotte grandi, una in particolare se seguita porta ad una sala dove ne incrocia un'altra e pochi metri dopo sprofonda in un baratro. Tutto nero con rumore di stillicidio. Boh. Torniamo in perfetta coincidenza per intersecarci con l'altra squadra sul 155.

     Ulteriore punta con Giovanni, principe dei redattori, Maria e Valentina. Le pupe a scendere ai 507, gli altri a chiarire il casino. Ed è così che giunti alla famosa condotta e infilatici in una fessura dopo pochi metri giungiamo in galleria. Impieghiamo mezz'ora a riconoscerla.

     Vi ricordate la grossa galleria posta alla sommità delle risalite fatte lo scorso anno con GiPi Carrieri? Ecco, quella. E vi ricordate la galleria da cui parte il meandro con le scritte CMS 79? Sempre quella. E la galleria da cui parte l'altro meandro che sceso parzialmente conduce alla via per il collettore Nord? Ancora quella.

     Sceso parzialmente ho detto. Infatti qui l'altra sorpresa: scorgiamo delle luci, sono Maria e Vale che alle prese con pesanti difficoltà con piantaspit e simili oggetti stanno scendendo il ramo dei -507.

     Ovvero se ci fossimo degnati di esplorarlo per intero ci saremmo accorti che i due meandri sono in realtà il medesimo. A nostra consolazione il fatto che la nuova via fa risparmiare circa un'ora sul percorso verso il Collettore Nord. Per fare qualcosa di utile andiamo a rilevare il ramo in cui non sappiamo ancora come sono comparse le famose scritte CMS 79. Uscita. Che noia. Per chi volesse protestare, l'indirizzo della redazione è lo stesso del GSP.

     Altra punta, l'ultima della serie, ma allora non lo sapevamo ancora. Come si divide una squadra di quattro persone? Otello con me, Maria e Stefano al Collettore Nord. Solo rilievo, perché nel frattempo Jo è corso in tutte le direzioni ed a noi non resta che la topo. In particolare al ramo CMS Jo ha trovato la via di discesa dei francesi: un traverso esposto, quindi risalita in frana fino ad una grossa condotta di 3 m x 2, poi un 100 m di gallerie comode fino

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ad un grosso pozzo ascendente. Tentiamo di tutto in arrampicata libera, assicurata, artificiale. Avanzano cose da risalire a martellatore ma resta il sospetto che il risultato sarebbe una giunzione dal basso con F33. Questo è tutto. Poco dopo Jo disarmerà la grotta recuperando così il materiale imprigionato da mesi.

     Eh sì, fortuna comunque che Grotte ha il miglior serto di penne, come sostiene "Speleologia", dell'esplorazione italiana.

U.L.

 

     La cronaca di cui a me spetta il racconto si limita a due umili punte di rilievo a cui volontariamente mi sono assoggettato per cominciare a mettere ordine nella messe di esplorato.

     Persa la bussola (quella mentale) la prima volta, cercando di seguire le tracce lasciate da Jo praticamente ovunque e in ogni direzione, torniamo qualche settimana dopo un po' più decisi e consci di ciò che ci aspetta.

     Dei quattro presenti (Ube, Otello, Maria e chi scrive) sono gli ultimi due di corvée. L'imperativo è topografare il più possibile e con discreta sopportazione e buona dose di rassegnazione svolgiamo egregiamente il nostro compito per 7-8 ore e un totale di 450 m di rilievo.

     Il risultato è la topografia completa del collettore principale (insieme al tratto già misurato da Poppi) e di uno dei bei meandri fossili superiori. La implacabile carta millimetrata rivela come la direzione di questo meandro, apparentemente divergente rispetto all'attivo, finisca in realtà per riconvergere sopra di esso, dopo varie evoluzioni.

S.S.

 

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Ricerche biospeleologiche 1986

A. Casale


     Un buon anno biospeleologico è stato il 1986, e non solo per le ricerche "sul terreno": dal 6 all'11 ottobre, in concomitanza con il Congresso Nazionale dell'Unione Zoologica Italiana, Valerio Sbordoni ha pensato bene di organizzare a Roma il Simposio Internazionale della Societé de Biospéléologie (che ha sede presso il Laboratoire Souterrain del C.N.R.S. di Moulis). Un'ottima occasione per ascoltare alcune interessanti relazioni e comunicazioni, ma anche per rivedere numerosi amici d'oltralpe difficilmente radunabili in un'unica sede. Dal 23 al 25 aprile si è svolto, nella casa della Speleologia di Costacciaro (Perugia), l'annuale corso di terzo livello organizzato dalla SSI, dedicato questa volta alla Biospeleologia, durante il quale il sottoscritto, incastrato (si fa per dire) da Carlo Balbiano, ha tentato di far comprendere il verbo della Scienza agli allievi convenuti (non molto numerosi, ma interessati), con l'aiuto di ottimi amici (fra cui Augusto Vigna), a loro volta incastrati per l'occasione. Il tutto in un clima molto amichevole, con proiezioni di filmati e diapositive, ottime mangiate e una piacevolissima gita finale alla grotta di Monte Cucco. Un gravissimo lutto ha invece colpito la Biospeleologia e la Zoologia più in generale, con la scomparsa improvvisa soli 44 anni, di Paolo Brignoli, preside della Facoltà di Scienze dell'Università dell' Aquila, notissimo specialista a livello mondiale di Ragni, e particolarmente di Araneidi cavernicoli. A questo gruppo egli aveva dedicato un grande numero di eccellenti lavori, fra cui importanti monografie sui Ragni cavernicoli italiani e molte descrizioni di specie nuove delle grotte piemontesi.

Alpi occidentali

     Pur nella cronica mancanza di tempo per "voler far tutto", ho tentato di visitare o di rivisitare nel 1986 alcune cavità carenti dal punto di vista di dati faunistici, in vista di una possibile, ma ancora lontana, integrazione a tutto il Piemonte del censimento iniziato con la "Fauna cavernicola delle Alpi Liguri" recentemente comparsa, a cura di Marco Bologna e Augusto Vigna Taglianti.

     Ho così raccolto materiale, il 17 maggio, nella grotta di Tassere n. 2630 Pi (VC), in bassa Val Sessera: sono risultati presenti il Carabide Sphodropsis ghilianii caprai Bin. (non raccolto in una precedente visita) e l'Isopode Triconiscide specializzato Alpioniscus feneriensis Parona, già noto di questa cavità (Martinotti, 1968, Elenco sistematico e geografico della fauna cavernicola del Piemonte e della Valle d' Aosta).

     Con lo stesso scopo mi sono recato in maggio, con P.M. Giachino, nelle faggete della Val Grana e della Val Maira, per sondare con scavi ed esche interrate l'"ambiente sotterraneo superficiale" di quelle zone, ambiente che sta rivelando, anche in Piemonte, una fauna ricca ed interessante, ritenuta un tempo esclusiva delle grotte (v. Grotte n. 89, p. 32). Le esche, controllate in agosto, sono state deludenti, rivelando il solito Sphodropsis ghilianii: ma non bisogna mai disperare!

     Ho pure fatto una rapida puntata, ancora in agosto, sul M. Antoroto, per una panoramica sulla zona di ingresso della Ciuaiera e dell'abisso di Perabruna, altre aree delle quali poco o nulla si sa da un punto di vista biospeleologico. Alla base dello scivolo d'ingresso della seconda grotta ho raccolto alcuni Diplopodi: anche qui occorrerà tornare con più tempo e mezzi.

     Infine, le solite visite di routine in grotte e sotterranei artificiali delle zone di Vernante, di Garessio (per chi fosse interessato, la grotta "Gazzano" è stata chiusa da un muro di cemento sotto il quale filtra a malapena il ruscello), di Limone e Limonetto. In agosto sono salito alla Capanna Morgantini con Angelo Morisi per rivisitare alcune grotticelle di alta quota (Duvalius pecoudi, ecc.) e mi sono recato alle grotte delle Camoscere inf. e sup. (Alta Val Pesio), ritrovando la bella Agostinia launoi Gestro (Col. Carabidi), Troglohyphantes rupicapra Brignoli (Araneidi) e altro materiale interessante. A titolo di cronaca, debbo anche segnalare la vana ricerca, per ben due volte, della Grotta della Sesta presso Vievola, in Val Roja. C'ero stato nel 1972 con Vigna, ed oggi alcune cose sono cambiate: la grotta infatti si apre sopra un viadotto della ferrovia Cuneo-Nizza, a quel tempo non ancora riattivata. Oggi c'è una stradina

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che porta al viadotto, ma i sentieri che portavano alla grotta sono scomparsi. L'unico commento che mi viene ora spontaneo, ripensando alla bellezza del "nostro" Marguareis e dell'alta Val Pesio, è questo: quale mente folle o criminale può meditare di far passare, come si è sentito dire recentemente, lungo la Val Pesio e sotto le Carsene un'autostrada e un tunnel per farci risparmiare qualche quarto d'ora per andare da Cuneo alla Liguria? La risposta probabilmente è semplice: sarà qualcuno che nel 1987, "anno dell'ambiente" (sic!), verrà a strombazzarci che lui, sì, è un fautore dell'ecologia (è roba che si mangia?), ma che il "progresso" richiede certi sacrifici...!

Alpi orientali

     Dal 28 maggio al 1° giugno si è svolto a Udine il Congresso Nazionale della Società Italiana di Biogeografia. Alla consueta banda del Museo Regionale di Scienze Naturali si è unito anche Angelo Morisi di Cuneo, con la sua Land Rover, e pur senza venir meno agli "obblighi" congressuali abbiamo fatto qualche ricerca sul terreno al Monte Grappa, durante l'andata, e abbiamo visitato in Friuli-Venezia Glulia due grotte molto interessanti faunisticamente: la grotta di Taipana in Carnia, piccola cavità quasi introvabile (non ricordavo più i punti di riferimento nel bosco, dopo alcuni anni dall'ultima visita) con interessanti reperti di Coleotteri Batiscini, Pseudoscorpioni, Gasteropodi, Ragni, ecc., e la bella "grotta Regina" sul Carso di Gorizia, cavità chiusa e protetta dagli speleologi locali per evitare i soliti vandalismi sulle belle concrezioni, rese ancor più pregevoli dagli ambienti non troppo vasti. Nella grotta si può inoltre osservare la fauna cavernicola tipica della zona, fra cui Orotrechus globulipennis Müll. e Antisphodrus cavicola Schaum fra i Coleotteri, interessanti Araneidi, Diplopodi, ecc

     Mentre il sottoscritto rientrava a fine congresso, Giachino faceva ancora qualche giorno di ricerca sul Cansiglio e nella grotta dì Costalta in Valsugana.

Sardegna

     All'inizio di novembre sono ritornato con Giachino in Sardegna, per cercare di completare alcune ricerche iniziate l'anno scorso (v. Grotte n. 89). Facendo base a Cala Gonone, abbiamo rivisitato la grotta "Urennore" o grotta Pisanu, la grotta "di scavi Taramelli" presso San Giovanni Su Anzu, la parte iniziale di Su Bentu e la classica "Sa Edera", sul Supramonte di Urzulei. A proposito di quest'ultima, è da segnalare che il comune suddetto, non contento del progetto di ampliare e di continuare la strada verso la Codula di Luna e di rendere turistica Su Palu (progetto contro cui hanno preso posizione molti gruppi speleologici italiani, fra cui il GSP, e numerose associazioni ed enti culturali della Sardegna), sta costruendo una sorta di superstrada sul Supramonte, bella diritta e forse, in futuro, asfaltata. Peccato che gli sbancamenti stiano interessando una delle ultime zone intatte della Sardegna, e che, nell'arco di una intera giornata, gli unici utenti della superstrada fossimo noi e qualche pastore con il suo gregge. Abbiamo invece trovato (ovviamente nell'unica giornata di diluvio universale) la grotta di Su Palu, visitata in parte, e con ... qualche difficoltà, dato che il messo comunale ci aveva dato solo una delle due chiavi necessarie per aprire il cancello d'ingresso. I reperti, in tutte le grotte, sono stati interessanti, ma non eccezionali per l'estrema siccità che ormai sta interessando, in gran parte dell'Europa meridionale (ho notizie in merito anche ai piovosissimi Pirenei), pure le entomofaune ipogee.

     In compenso, altre due specie ritenute fino ad oggi "strettamente cavernicole" sono comparse in superficie, con esche interrate (Ovobathysciola majori presso Su Anzu) o poste fra roccioni all'aperto (Actenipus pippiai lungo la costa di Cala Gonone: questo interessante Carabide Sfodrino era noto di sole tre grotte del Dorgalese).

Ecuador

     Due parole in breve su un bellissimo viaggio che ho avuto modo di fare tra la fine di marzo e l'inizio di aprile in questo meraviglioso paese sudamericano, con gli amici Cavazzuti, Vigna Taglianti e Olmi, tre "vecchi" biospeleologi piemontesi oggi in parte emigrati (Vigna a Roma, Olmi a Viterbo). Le ricerche, finanziate dal Ministero della Pubblica Istruzione su invito di Gio-

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vanni Onore, astigiano ora docente di Zoologia all'Università di Quito, erano rivolte allo studio di ecosistemi forestali e montani, e quindi non riguardavano le grotte. Girovagando tuttavia dai ghiacciai del Cotopaxi a 5000 m fino alle acque del Rio Napo nel bacino amazzonico, abbiamo raccolto notizie su molte grotte, calate nella foresta nebulare e pluviale, e ricoperte dai basalti delle eruzioni vulcaniche degli ultimi millenni, lungo le pendici andine sul versante orientale, nelle zone di Baeza e Archidona (Provincia del Napo). Alcuni speleologi francesi ci stanno lavorando, e stanno laggiù un anno (dove troveranno il tempo e i soldi? ...). Dal punto di vista biospeleologico, le notizie sono promettenti: sono già comparsi pesci, granchi e scorpioni ciechi e depigmentati, provando che anche da quelle parti è presente una fauna cavernicola non meno interessante di quella nota di altri sistemi sotterranei tropicali, quali quelli del Chiapas, in Messico.

Spagna meridionale e Marocco

     In luglio, come di consueto, partenza con famiglia al completo per le vacanze, e una volta tanto niente Grecia e Turchia: da qualche anno avevo infatti in mente un viaggio nell'Atlante, una delle poche zone del Mediterraneo in cui non avevo ancora cacciato il naso.

     Lungo il viaggio d'andata, breve sosta nel Massiccio della Sainte-Beaume, alle spalle della Costa Azzurra, vera gruviera ricchissima di abissi, grotte e pozzetti: in uno di questi ultimi ho raccolto alcuni Duvalius raymondi Delar., tipico dei massicci calcarei della Provenza.

     Nella Spagna meridionale abbiamo visitato alcune zone interessanti da un punto di vista biospeleologico. In particolare, la Mola del Cadì, presso Tortosa, dove, fra splendide pinete e pascoli frequentati da tori bradi non troppo raccomandabili, abbiamo cercato invano la Co-

L'ingresso della grotta Ifri el Kaid, presso Aït M'hammed, Alto Atlante, Marocco (foto A. Casale).

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va Yerret e la grotta "forat del Rastre", e dopo un'intera giornata abbiamo finalmente trovato una terza grotta, la Cova Cambra, bella e vasta cavità dove si trova (come nelle due precedenti) lo splendido Carabide trechino endemico Paraphaenops breuilianus Jeann., associato ad altra fauna interessante.

     Rapida visita anche alla Cova Janet, presso Llaveria (Tarragona), piccola grotta difficile da trovare ma normalmente provvista di una ricca fauna endemica. Pure qui tuttavia, l'estrema siccità aveva fatto sentire i suoi effetti: solo polvere anche nelle zone più interne della grotta, e, al posto della fauna cavernicola, null'altro che formiche! Molto più ad Ovest, a Nord di Gibilterra presso Ronda, abbiamo visitato (già sulla via del ritorno) la Cueva de la pileta, un'altra grotta nota ai biospeleologi per la presenza dello Sfodrino Antisphodrus ledereri. E questa volta abbiamo dovuto fare i conti con un altro problema che perseguita chi si reca a fare speleologia in Spagna: per l'insana abitudine dei nostri progenitori iberici di dipingere le pareti di tutte le grotte in cui si trovavano a bivaccare, anche la Cueva de la Pileta è diventata turistica, con tanto di biglietteria e di cancello. Quindi niente ricerche, ma la solita visita incolonnati, fra turisti poliglotti e polimorfi, con guida loquace in testa.

     Situazione diversa in Marocco, dove c'è ancora posto per chi odia la civiltà dei consumi (credo si chiami così perché ti consuma a poco a poco). Dopo lo sbarco a Melilla, "enclave" spagnola in Marocco, ci siamo diretti al bellissimo massiccio del Djebel Tazzeka, a Sud di Taza, vasto "polje" calcareo che inghiotte le poche acque di superficie in sistemi sotterranei di vaste dimensioni. Approfittando di alcune strutture, ormai fatiscenti, costruite un tempo dai Francesi per utilizzare le acque della Daia Chiker a scopo idroelettrico, sono sceso nel primo pozzo della grotta che porta lo stesso nome: reperti interessanti, ma nessuna traccia dell'Antoinella groubei Ant., Trechino cavernicolo descritto di questa grotta. Epica è stata invece la discesa nel pozzo della grotta di "Sidi Mejbeur", trovata e descritta dagli speleologi svizzeri anni addietro: la salita alla grotta si è svolta in mezzo ad una banda di almeno trenta ragazzetti urlanti, accorsi dalle case e dai pascoli dei dintorni, i quali, non contenti dei doni elargiti (fra un passo e l'altro, tanto per potersi muovere), hanno concluso la giornata fregando tutto quel che hanno potuto dal camper. A chi è abituato ai Turchi, che sono curiosissimi ma di norma molto ospitali senza mai chiedere nulla, posso garantire che un'esperienza in Marocco (o almeno in alcune zone del paese) è talora sconvolgente: dall'alba al tramonto sei circondato da gente che chiede tutto e non offre, ovviamente, nulla, se non a pagamento. La situazione è molto migliore, per mie esperienze personali, in Algeria e Tunisia.

     Molto meglio si sta fra i Berberi dell'Alto Atlante, alle porte del Sahara: qui, nelle zone di Ait m'hammed (Azilal), a circa 2000 m, si aprono numerose grotte, generalmente attive, che raccolgono le acque delle montagne circostanti, alte fino a 3690 m. Con l'aiuto di un'ottima guida locale, ne ho visitate due: l'Ifri Taassmert, dove sono andato avanti da solo alcune centinaia di metri con l'acqua fino alla pancia, raccogliendo sulle pareti alcuni Trechus e Bembidion; e l'Ifri El Kaïd, grotta di vaste dimensioni esplorata e descritta, anche da un punto di vista biospeleologico, dagli Spagnoli e successivamente dagli Svizzeri. La grotta ospita una numerosissima colonia di Pipistrelli, e sull'abbondante guano pullulano lo Sfodrino endemico Pristonychus cadilhaci e Choleva, Dipluri, Araneidi, ecc. Nessuna traccia invece del Trechino rarissimo Subilsia senenti Esp., noto in pochissimi esemplari solo di due grotte di questa zona. Nel complesso comunque un'ottima esperienza: ho attraversato, fra l'altro, nel medio Atlante un altopiano calcareo di 50 Km, dove i pastori segnalano numerose grotte, a mia conoscenza mai segnalate ufficialmente. Un mio consiglio a chi volesse andarci: non fatelo in luglio, come ho fatto io. Lo stare a 40°C all'ombra, dal mattino alla sera, non è proprio l'ideale per farsi venir la voglia di cercare grotte. I 30-35°C della Spagna, della Grecia e della Turchia mi sono sembrati, al confronto, un paradiso.

     In compenso, abbiamo concluso il viaggio con un avventuroso rientro lungo l'autostrada della Provenza avvolta per chilometri dalle fiamme di quel gigantesco incendio che ha spazzato via, in pochi giorni, uno dei più bei paesaggi d'Europa, oltre a paesi e vite umane: chi l'ha visto, può comprendere la richiesta avanzata da alcuni sindaci al governo francese per l'istituzione della pena di morte ai piromani.