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GROTTE

anno 33, n. 104 - settembre-dicembre 1990

gruppo speleologico piemontese - cai-uget

 

sommario

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Quella punta a Labassa

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Le possibili dinamiche

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Considerazioni

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L'intervento

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Sergio Acquarone

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Aldo Avanzini

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Roberto Guiffrey

22

Marino Mercati

22

Luigi Ramella

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Mauro Scagliarini

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Stefano Sconfienza

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Flavio Tesi

27

Paolo Valle

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Ringraziamenti

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Libero

33

Scovola

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Al Minotauro di Labassa

 

 

Supplemento a CAI-UGET Notizie n. 6 del mese di luglio 1991

Spedizione in abbonamento postale Gruppo III

Pubblicità inferiore al 70%.

Direttore responsabile: Leo Ussello

(autorizz. Trib. Saluzzo n. 64/73, 13.10.73)

 

Redazione:

Giovanni Badino, Giampiero Carrieri, Marziano Di Maio,

 

Laura Ochner, Riccardo Pavia, Loredana Valente

 

Foto di copertina di B. Vigna (Gallerie principali dell'Arma del Lupo sup.)

Bozzetti di Simonetta Carlevaro

Stampa: LITOMASTER,

Via Sant'Antonio da Padova 12

 

 

Stampato con il contributo della Regione Piemonte (Legge regionale 69/81)

Spedito ai soci SSI con il contributo di questa Società

 

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     La mattina del 9 dicembre 1990 all'uscita dalla Grotta Labassa, nella Gola della Chiusetta sul Marguareis, Aldo Avanzini, Sergio Acquarone, Roberto Guiffrey, Marino Mercati, Luigi Ramella, Stefano Sconfienza, Mauro Scagliarini, Flavio Tesi e Paolo Valle sono stati travolti irreparabilmente da due valanghe. Tre giorni di ricerca, con centinaia di uomini e mezzi, ci hanno permesso di ritrovare solo i loro corpi senza vita.

     Questo bollettino è dedicato a loro, alla passione che li ha sospinti fino all'ultimo.

     Nella prima parte si narrerà di questa tragedia, dalla testimonianza dei sopravvissuti alla ricostruzione della dinamica e alle inevitabili considerazioni.

     La seconda parte, di carattere esplorativo, è anch'essa per loro, alle ultime grotte che abbiamo esplorato insieme e che ora percorreremo nel loro ricordo.

     Un grazie di cuore a tutti quelli che hanno partecipato in vari modi ai soccorsi e che sono stati vicini a noi e alle famiglie in questo tragico momento.

 

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Quella punta a Labassa

Claudio Oddoni


     Forte è l'attrazione della grotta. Sarà semplicemente legata alla natura dell'uomo in continua ricerca di conoscenze. Fatto sta che ogni volta attendiamo il giorno della partenza con grande trepidazione, preparandoci scrupolosamente ad affrontare un viaggio che si presenta sempre pieno di emozioni.

Finalmente è

Venerdì 7 dicembre 1990 ore 13,30

     Sto suonando il campanello di casa Sconfienza, dopo pochi istanti appare sorridente Stefano, così inizia la nostra avventura.

Ci lasciamo la città alle spalle e via a tutta birra chiacchierando allegramente verso la meta. Una rapida sosta a Garessio per prendere un caffè e fare rifornimento di carburante; c'è la possibilità che i nostri amici siano puntuali...

     Infatti eccoci puntualissimi all'appuntamento: incredibile, non ci sono. Saranno in ritardo? Scopriamo invece che sono partiti con un leggero anticipo, li rincorriamo delusi, per una volta tanto che siamo puntuali... Li raggiungiamo, sono in sei, alcuni di loro non li conosco, un rapido giro di convenevoli e siamo pronti ad affrontare la marcia di avvicinamento. La neve caduta due settimane prima è dura, quindi non rende il cammino particolarmente faticoso.

     Dopo circa due ore siamo tutti quanti (8 persone) all'ingresso della grotta, ci cambiamo, prepariamo i sacchi tubolari e iniziamo la discesa verso il campo base.

Ore 0-1 di sabato 8

     Siamo nella galleria che ci separa per pochi metri dal campo base, finalmente sotto i nostri occhi la tanto attesa meta.

Grandi bagordi a suon di tortellini, the,... e poi la nanna.

Ore 10-11 circa

     È ora di muoversi, otto brave massaie cavernicole si preparano una rapida colazione e rassettano tutto l'interno del tendone!!!: oggi forse arriva qualcuno... e via verso il Minotauro.

Ore 13 circa

     Arriviamo ad un bivio, quindi ci dividiamo in due squadre. La prima, composta da Ramella (Bob), Paolo, Andrea e Alessandro, scende un pozzo da 30 metri e continua risalendo il fiume; la seconda, con Stefano, Marino (Guru), Sergio ed io, va verso una risalita.

     Sale Stefano, io faccio sicura, poi via via saliamo tutti.

     La grotta prosegue su un'ampia galleria inclinata, la risaliamo tutta. Continua sempre nel largo, tralasciamo un bivio per procedere fino ad un sifone di fango che ci impedisce di proseguire; la corrente d'aria ci invita ad insistere fino a quando stufi di scavare nel fango molle torniamo al bivio.

     Altra risalita, galleria più piccola che improvvisamente restringe ad un punto tale da diventare impraticabile. Si intravede nella volta della galleria una finestra dalla quale scende un piccolo stillicidio. Rileviamo.

Ore 18,30-19 circa

     Come degli orologi perfettamente sincronizzati le due squadre si ricompongono; ci raccontiamo brevemente cosa abbiamo fatto, diamo gli appunti del rilievo a Bob e ci dirigiamo verso il campo.

Ore 21 circa

     Siamo rientrati tutti. Lo chef ci cucina un ottimo minestrone di verdura.

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Ore 21,30-22 circa

     Arriva Aldo Avanzini da solo. Dice testualmente "I torinesi mi hanno fatto il pacco". Chi sono i torinesi che ti hanno tirato il bidone? chiediamo noi ridendo. Risponde: Mauro, Flavio, Armando Pozzi (Roberto Guiffrey, ndr).

Ore 22,30-23 circa

     Aldo decide di uscire e parte da solo.

Domenica 9 ore 6 ÷ 7

     Fervono i preparativi, si torna a casa. Sono il primo a lasciare la base seguito a ruota da Stefano, e via via tutti gli altri.

Ore 10-11

     Superata la Diaclasi si sente una forte corrente d'aria; la grotta ha invertito. Ci guardiamo increduli: sicuramente fuori nevica!!!

Consumiamo un pasto a base di arachidi, pistacchi, cioccolata e via velocemente. Questa volta Stefano ed io chiudiamo la fila.

Ore 12 circa

     Ho appena superato l'ultima strettoia, Stefano è a ruota. Pochi metri mi separano dall'ingresso, intravvedo una luce fioca, dopo qualche istante raggiungo l'ingresso della cavità, fuori nevica forte!!!

Tre persone (Sergio, Andrea ed Alessandro) si stanno preparando per affrontare la lunga marcia nella bufera. Paolo è all'esterno col discensore già montato, ci dà un'ultima raccomandazione: "Sbrigatevi, nevica forte", e scende per raggiungere Guru e Bob che sono già giù.

Ore 12,10 circa

     Stiamo ultimando la preparazione degli zaini, improvvisamente echeggia lontano un rumore simile ad un colpo di fucile, poi subito un altro dopo pochi istanti.

Stefano smette di fare lo zaino, si affaccia verso l'esterno e poi dice: "Queste sono valanghe, muoviamoci".

Ore 12,20 circa

     Ci apprestiamo a lasciare la grotta, parte Sergio seguito da Andrea, Alessandro, io ed infine Stefano. I primi due raggiungono il pianoro sottostante, si fermano e via via arriviamo tutti. Un fatto anomalo ci lascia interdetti: nel tragitto appena percorso non abbiamo visto le tracce dei nostri tre amici (Bob, Guru e Paolo) usciti poco prima di noi. Abbiamo commentato: "Saranno passati poco più in alto o poco più in basso".

     Proseguire in quella neve così alta è molto faticoso, formiamo una fila, apre pista Sergio, seguono Stefano, io, Andrea ed Alessandro.

     Ci incamminiamo in religioso silenzio cercando la linea immaginaria del sentiero sepolto sotto una coltre di neve. Arriviamo al punto in cui due grossi massi che sembrano degli enormi pupazzi di neve ci impediscono di continuare per quella strada.

     Siamo appena all'imboccatura della gola della Chiusetta ed è almeno mezz'ora che siamo nella tormenta. L'unica cosa da fare è scendere verso il centro della gola, girando attorno al masso.

     Scendiamo tutti. Proseguiamo compatti per qualche metro, poi Stefano decide di risalire verso il presunto sentiero, Sergio continua ad avanzare faticosamente nel centro della gola. Io seguo Stefano, dietro di me ci sono Alessandro ed Andrea.

     Imprevisto: faccio pochi passi seguendo la traccia di Stefano ed affondo improvvisamente nella neve fino alle ascelle. Andrea e Alessandro mi prestano soccorso. Uno mi aiuta a levarmi lo zaino, l'altro a tirarmi fuori.

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     Nel frattempo Stefano ha abbandonato l'idea di salire e si sta dirigendo verso Sergio.

     Riprendiamo la marcia, raggiungiamo il punto in cui Stefano ha iniziato la discesa.

     Ora loro sono visibilmente vicini e procedono in fila indiana a pochi passi da un arbusto, unica pianta della zona.

     Nevica sempre forte e anche il vento è aumentato.

Proprio nell'attimo in cui muoviamo il primo passo verso di loro sentiamo la terra sparire sotto i piedi: un enorme ammasso di neve si stacca silenziosamente a pochi passi da noi e travolge Sergio e Stefano che si trovano al centro della gola.

     Allibiti ed increduli ai nostri stessi occhi raggiungiamo il più velocemente possibile l'arbusto, unico valido punto di riferimento.

     Iniziamo una frenetica ricerca scavando nella neve con le mani, e con alcuni rami staccati dall'arbusto sondiamo la zona circostante, senza riuscire ad individuare la loro posizione.

     Passano interminabili momenti di speranza. Il freddo è pungente e iniziamo a sentirci intorpiditi, decidiamo a questo punto di ritornare sui nostri passi poiché la possibilità di scendere a valle ormai è pura utopia e ugualmente, per oggi, la speranza di ritrovarli.

Ore 17,30 circa

     Siamo tutti e tre (Alessandro, Andrea ed io) all'ingresso della grotta, il tempo non intende migliorare e per di più è già buio.

     Ci sistemiamo in una nicchia e facciamo il punto della situazione.

Lunedì 10, ore 7 circa

     Una fioca luce giunge dall'esterno. Il tempo non è assolutamente migliorato. L'attesa continua.

Ore 8,30

     Un rumore improvviso ci fa sussultare: "I soccorsi?" ci precipitiamo all'imboccatura, amara sorpresa, fuori nevica e tira vento.

     Torniamo ai nostri giacigli, altri echi ci mettono in allarme più volte.

Ore 12 circa

     Non nevica più!!! Discutiamo se tentare una sortita. Un boato improvviso ci fa cambiare idea.

Ore 13,30 - 14

     Sentiamo un rumore in costante avvicinamento. Gridiamo "Un elicottero!!", ci guardiamo negli occhi e diciamo: "Ma figurati se sono già qua". Dopo una attesa spasmodica durata qualche istante lo vediamo, riconosco Meo che dall'interno fa dei segnali che non comprendo, e poi se ne va.

     Pochi minuti dopo lo stesso è sopra all'ingresso della grotta, agganciato al cavo d'acciaio di un argano un soccorritore ci raggiunge e provvede al nostro recupero.

     Alla piazzola d'atterraggio ci attende con ansia una piccola folla. Chiedo notizie degli altri e non ottengo alcuna risposta, solo un sacco di domande.

     Scopro amaramente che all'appello mancano, oltre a Stefano e Sergio, anche Bob, Paolo, Guru ed Aldo.

     Qualche ora dopo mi giunge una domanda agghiacciante: "Flavio, Mauro, Armando (Roberto Guiffrey), li avete visti?" Purtroppo la risposta è una sola: NO!!!.

     ... È passato ormai un mese ed io sono qui a convivere con il ricordo di quei terribili momenti. Sono convinto più che mai che devo la vita solo ad un incredibile colpo di fortuna e mi sono riproposto, appena possibile, di continuare il "lavoro" iniziato quel giorno.

 

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Le possibili dinamiche

 


     Lo scopo di questo articolo è la descrizione delle più probabili modalità con cui si è svolta la tragedia della Chiusetta.

     Riferiamo i fatti dei quali siamo a conoscenza per via diretta, commentandoli in corsivo con osservazioni e con possibili ricostruzioni per quegli aspetti non basati su certezze.

     Vogliamo cercare di rivivere le scelte fatte dai nostri compagni in modo che quanto è accaduto finisca per far parte, per quanto è possibile, dell'esperienza di ciascuno di noi, per ridurre, per quanto possibile, la probabilità che, ripresentandosi situazioni del genere, finiscano in tragedia.

     I dati di cui disponiamo per ricostruire cosa sia successo sono le testimonianze dei sopravvissuti, le risultanze del recupero e le fotografie di uno dei travolti: su Guiffrey era stata infatti trovata una macchina fotografica con mezzo rullino impressionato che ci ha mostrato scene immediatamente precedenti gli incidenti.

     Venerdì 7 dicembre, approfittando della festività dell'indomani, entra a Labassa con tempo splendido una nutrita squadra di speleologi liguri e piemontesi: Sergio Acquarone, Andrea Bixio, Alessandro Maifredi, Marino Mercati, Claudio Oddoni, Luigi Ramella, Stefano Sconfienza e Paolo Valle. L'obiettivo è raggiungere il campo base interno per poi esplorare gallerie situate nelle regioni di probabile congiunzione con Piaggia Bella. Verranno coadiuvati da una seconda squadra che li dovrebbe raggiungere il giorno successivo e che stando agli accordi dovrebbe essere composta di Aldo Avanzini, Roberto Guiffrey, Mauro Scagliarini e Flavio Tesi.

     Sono attrezzati con piccozza e ramponi, per fronteggiare le difficoltà che la neve vecchia ormai ghiacciata potrebbe porre, soprattutto sul pendio ripido sotto l'ingresso della grotta. La prima squadra ha con sé sacchi a pelo per bivaccare due notti, viveri e fornelli.

     Il bollettino meteorologico aveva annunciato l'arrivo di una perturbazione ma la cosa non era stata presa molto sul serio, viste le numerose volte in cui il tempo in peggioramento era rimasto invece bellissimo: il Marguareis, gran montagna vicina al mare, ha un po' un clima tutto suo. Però nella serata di sabato il maltempo è arrivato: alle 19 sulla zona è iniziato infatti a nevicare senza interruzione, tutta la notte ed il giorno successivo.

     Alla domenica pomeriggio però la situazione vista a valle, dove sono arrivati la sera prima Giampiero Carrieri, Marco Marantonio e Riccardo Pavia, appare preoccupante e quindi essi decidono di dare un preallarme che alla sera si trasforma in allarme: l'intervento scatta la mattina di lunedì.

     All'inizio le informazioni erano assai scarse. Per parecchie ore abbiamo avuto incertezze addirittura su chi e quanti fossero i dispersi, perché non era affatto chiaro chi e quando fosse andato in grotta. Soprattutto non ci era chiaro dove fossero Guiffrey, Scagliarini e Tesi. La testimonianza dei gestori dell'albergo Mongioie ce li segnalava svogliati, dopo un abbondante pranzo, fermi lì alle tre del pomeriggio di sabato. Non essendo alcuno dei tre particolarmente fanatico ci sembrava impossibile che fossero entrati in grotta ormai di notte e con il cattivo tempo.

     La prima delle foto scattate da Guiffrey (non riprodotta su questo bollettino) mostra le montagne sopra Carnino. Dalla posizione del sole se ne deduce che sono circa le 16 del sabato, il tempo è bello. È ragionevole dunque ipotizzare che un paio d'ore dopo i tre siano entrati in grotta, poco prima che iniziasse la nevicata.

     Verso le 21.30-22, Avanzini sta raggiungendo gli altri al campo base interno; un'ora dopo lascia il gruppo e riparte verso l'uscita.

     A quell'ora gli altri tre non dovevano essere ormai gran che lontani dal campo base, che peraltro non raggiungeranno. Non è chiara l'attività di questa squadra nelle circa dodici ore successive. Lo scenario più probabile è che i tre incontrino Aldo in salita nelle primissime ore del mattino: il giro l'han fatto, lui sta uscendo e decidono di accompagnarlo anche solo per andarsene poi tutti insieme. In un caso come questo si ha cura di salire in modo da uscire col sole,

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sfruttando le soste per dormire. Si può dunque ritenere ragionevole che essi siano arrivati all'ingresso alla luce del giorno, abbastanza riposati.

     Fuori nevica, forte.

     Guiffrey lì scatta due foto (foto 1), praticamente identiche che mostrano l'ingresso di Labassa visto da dentro in un momento imprecisato di domenica mattina.

     Era chiaro che era nevicato moltissimo, tanto da indurre Roberto a documentarlo. A quel punto decidono probabilmente di aspettare gli altri forse nella speranza che la nevicata cali di intensità: scelta molto ragionevole.

     Conferma di questo tempo speso all'ingresso sta nel fatto che questi quattro verranno trovati più equipaggiati da esterno degli altri.

     Verso le 7.30 la squadra rimasta al campo interno lo lascia e inizia la risalita. L'ultimo momento in cui è al completo è a circa un'ora dall'uscita, cioè circa alle 11 di domenica. L'uscita avviene in due gruppetti: a Ramella, Guru e Valle (poco prima delle 12) seguono a 15-30 minuti Oddoni, Maifredi, Bixio, Acquarone e Sconfienza.

     In quei momenti a valle la nevicata si attenua, come ci hanno segnalato coloro che erano a Viozene. Anche le foto alla Chiusetta mostrano una nevicata non intensa ma con vento teso: possiamo dunque dedurre che Ramella, Mercati e Valle incontrano all'ingresso Avanzini, Tesi, Scagliarini e Guiffrey all'incirca in corrispondenza di questa relativa schiarita.

Foto 1

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Foto 2 e 3

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     Il tempo è estremamente instabile e dunque decidono di cominciare ad andarsene senza aspettare l'uscita degli ultimi cinque: fuori infatti avranno saputo da quelli appena usciti che anche la retroguardia è vicinissima. Non si tolgono i vestiti da grotta, solo alcuni aggiungono il duvet sopra tutto.

     Del resto è ovvio: non fa freddo, cammineranno in neve alta e dunque si bagneranno parecchio.

     La situazione nella quale vanno a ficcarsi è prevedibilmente faticosa a causa della neve alta ma non durerà a lungo: il tempo di percorrere il tratto sino a Carnino, senza neve, è circa un'ora.

     È soprattutto meglio andare giù in fretta sinché dura la schiarita per poter valutare il punto considerato pericoloso del percorso, la regione fra la Chiusetta ed il piede delle Mastrelle. È quella infatti la zona valanghiva e, nella nostra tradizione, praticamente solo quella.

     Si aspettano un viaggio piuttosto impegnativo: lo si deduce dal fatto che due di loro mettono i ramponi (praticamente inutili in quella neve, ma forse temono passaggi impegnativi sul pendio sottostante la grotta o più oltre), dalle foto di Guiffrey (che ne scatta cinque dell'uscita di Scagliarini, come se fosse cosa assai notevole) e infine dal fatto che il fotografo non riesce mai ad inquadrare il gruppo intero perché in sostanza stanno divallando rapidamente, tanto che troveremo alcuni ancora coi discensori in vita e tutti con gli imbraghi.

     La foto 2 è una di quelle che inquadrano Scagliarini in uscita: ha sfondato la neve, è lui il primo ad avventurarsi fuori. Al fianco ha la corda in più che in grotta aveva deciso di aggiungere alla corda fissa esterna per poter scendere un ulteriore pezzo del pendio.

     È anche logico che esca per primo sia perché è uno di quelli che aspettavano pronti all'ingresso, sia perché è il più esperto in tema di neve.

     Lo segue immediatamente Guiffrey che lo fotografa dall'alto sul pendio sottostante (foto 3).

Foto 4

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     Come appare dall'immagine non si affonda molto nella neve: altre volte ci si è ritirati dal Marguareis in condizioni analoghe o peggiori.

     È solo ora che sappiamo che le condizioni di stabilità del manto nevoso nel suo complesso in quel momento erano allucinanti per la rapidità della precipitazione, per lo stato farinoso e soprattutto per l'azione di accumulo del vento. In quelle ore, in realtà, Carnino era irraggiungibile.

     La successiva foto 4, scattata in direzione della grotta, ci mostra la discesa dal pendio di Labassa: a Guiffrey segue Tesi, poi quasi certamente Avanzini, mentre gli altri finiscono i preparativi all'imbocco.

     La visibilità è discreta, probabilmente più che una fase di nevicata è una fase nella quale il vento sta spostando neve già caduta.

     La successiva foto 5 inquadra Tesi: si vede che anche più giù, lungo il pendio che raccorda lo scivolo di imbocco al piano della Chiusetta, la neve è alta ma non altissima; lui ha ancora il discensore.

     Ora è probabile che Scagliarini, Guiffrey, Tesi si fermino, o rallentino, per riunirsi agli altri dato che ormai sono arrivati in zona ritenuta tranquilla, cioè nel piano della Chiusetta. Qui si vengono a trovare in neve più alta, ma in ogni caso, anche se i loro timori aumentano, il deterrente di risalire sino alla grotta non è da poco. I sopravvissuti lo faranno, con forti dubbi, sotto la spinta di quel che gli era capitato sotto gli occhi.

     Tesi ha raggiunto Guiffrey e, visto che stanno aspettando, gli prende la macchina e lo fotografa (foto 6). Probabilmente in quegli istanti arriva anche Avanzini che sorpassa rapidamente i tre fermi a far foto (foto 7, l'ultima della sequenza) e dopo di lui Mercati, Ramella e Valle.

Foto 5

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Foto 6

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     Quest'ultimo ha la notizia rassicurante che anche gli altri sono all'uscita: già pronto per andarsene, sulla corda di discesa, ha incontrato Maifredi ed Oddoni che arrivavano alla saletta di ingresso, ed ha detto loro di far presto. Scagliarini, Tesi e Guiffrey finiscono per trovarsi a chiudere la prima fila; sono ormai alla strettoia del pianoro, all'inizio della gola della Chiusetta.

     La neve lì, accumulata dal vento, è più alta che nel tratto in piano precedente, l'avanzata si fa più faticosa e dunque la fila di speleologi diventa più serrata.

     Avanzini che fa da apri pista si viene a trovare ad un metro dal grosso masso che sbarra la gola: la neve deve essere molto alta e lui avanza con difficoltà. Un paio di metri dietro di lui c'è Mercati, e insieme con lui gli altri cinque, fermi, in fila, uno contro lo zaino dell'altro.

     La valanga viene giù, con ogni probabilità, dal pendio della destra orografica, batte alle loro spalle, avanza lungo la gola e li sommerge da dietro sotto un metro di neve. Rimangono sepolti sul posto, quasi uno sull'altro, senza essere spostati.

     La valanga induce probabilmente anche lo scarico della paretina che li sovrasta a sinistra facendo sì che il punto con minor neve finisca per essere un metro a destra della squadra travolta.

     Il rombo è probabilmente quello che viene sentito e commentato anche dalla seconda squadra che si sta cambiando ancora all'ingresso della grotta: l'interpretazione che ne viene data è quella di affrettarsi perché stanno cominciando a cadere valanghe.

Foto 7

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     La sorte della seconda squadra è ora, in qualche modo, segnata. Da un Iato i più esperti sono stati travolti con la prima squadra subito prima di entrare in quella che ritenevano la zona pericolosa. Poi la piccola separazione fra le due squadre fa si che la seconda ora non sappia cosa è successo alla prima, e quindi essa andrà avanti convinta di avere sette persone davanti.

Non ci sono tracce, ma questo non li insospettisce: non ne trovano già dalla base della corda (dove c'erano certamente) e con visibilità che va peggiorando questo è ovviamente interpretato come una cancellazione da parte del vento o che gli altri abbiano preso un cammino parallelo. La certezza di avere gli altri davanti preclude alla seconda squadra, in pratica, la possibilità di decidere di rinunciare e tornare alla grotta; non fosse altro perché altrimenti gli altri, non vedendoli arrivare a Carnino, si sentirebbero in dovere di tornare indietro a cercarli. Si è formata una trappola micidiale: loro, meno esperti, sono costretti ad andare avanti sino ad entrare nelle zone di massimo pericolo.

     La seconda squadra parte e scende sfidando un tempo e una visibilità che vanno peggiorando; nella gola la neve è molto alta a causa della valanga farinosa appena caduta. Riescono a superare anche la zona del masso dove sono sepolti i compagni e avanzano ancora per qualche decina di metri.

     Un caso fortuito fa sì che si distanzino, assumendo una configurazione di sicurezza che limiterà le perdite.

Acquarone e Sconfienza entrano nel primo canalone, estremamente carico di neve. Pochi passi e vengono sommersi da una nuova valanga, che risparmia però Oddoni, Maifredi e Bixio arretrati di una ventina di metri.

     I sopravvissuti li cercano, a lungo, disperatamente, nella neve in cui ormai nuotano; ma è inutile e devono rinunciare. A questo punto i sopravvissuti sono ancora convinti di avere davanti a loro i sette più esperti. Potrebbero decidere una azione disperata e tentare di raggiungerli verso Carnino; ma è finalmente diventato chiaro che sarebbe un suicidio.

     Anche fermarsi, del resto, non è da meno perché i versanti si stanno ricaricando di neve, e dunque i tre si ritirano per tentare di ritornare in grotta. Li sfiorano altre due valanghe ma quando è ormai calato il buio riescono a raggiungere l'imbocco. Verranno recuperati circa venti ore dopo.

 

 


Considerazioni

 


     La nevicata avvenuta dalle 19 di sabato 7 dicembre alle 12 di domenica, pur senza essere eccezionale, è stata senz'altro fuori dalla norma sia per l'altezza del manto nevoso, sia per la stagione (le grosse cadute avvengono in genere nel cuore dell'inverno e in primavera). Le ispezioni fatte con l'elicottero nei giorni successivi ci hanno mostrato valanghe cadute anche in posti insoliti.

     Lo stato mentale con cui i nostri compagni hanno lasciato la grotta poteva essere di tensione, ma non di consapevolezza di andare ad affrontare una minaccia incombente. Questo è innanzi tutto confermato dal fatto che non hanno preso alcuna delle precauzioni possibili per ridurre i rischi, o per lo meno non l'hanno adottata per il tratto che porta all'inizio della gola della Chiusetta; si può pensare che sarebbero poi entrati sull'avviso di pericolo dalla fine del pianoro in poi, sul tratto ripido a mezzacosta che corre sulla sinistra della gola e va fino ai piedi delle Mastrelle.

     Del resto, la quantità di neve incontrata nella discesa della grotta sino al pianoro non era enorme, a giudicare dalle foto; probabilmente la situazione sottovento aveva contribuito a far caricare meno il pendio iniziale, ed un manto spesso è stato poi trovato dove operava anche l'apporto del vento e cioè sul pianoro. La partenza ed il tratto iniziale ripido non erano dunque

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stati disturbati più di tanto dall'altezza della neve, che soltanto sul piano è apparsa nella sua preoccupante consistenza. Qui i componenti della prima squadra, prima distanziati per effetto della discesa a turno sulla corda, si sono riuniti ed erano tutti insieme al fondo del pianoro dove forse stavano concertando il da farsi. Quanto a quelli della seconda squadra, le loro facoltà decisionali erano semplificate dal fatto che avevano compagni davanti e che bisognava solo seguirli.

     Il discorso sulle precauzioni da prendere per ridurre i rischi in situazioni del genere non è breve, dato che si articola sulla complessa combinazione di vari fattori, tra cui principalmente l'orografia e la morfologia, la qualità della neve e la conoscenza del terreno. La precauzione più spontanea ed elementare (forse l'unica che applichiamo) è di tenersi a qualche decina di metri uno dall'altro (la cosiddetta distanza di sicurezza): la valanga in tal caso lascia facilmente fuori qualcuno. Quanto alla speranza che i sopravvissuti riescano a salvare i travolti è illusoria; intanto perché localizzare sotto la neve un corpo che è stato spostato da dov'era è impresa quasi impossibile (valga l'esempio della seconda valanga della Chiusetta) e anche insistendo molto ed avendo fortuna (può accadere, se lo spazio di ricerca non è ampio), gli sforzi rischiano di essere inutili e i tempi di ritrovamento comunque troppo lunghi. Un travolto può morire immediatamente per il trauma, o in pochissimi minuti per asfissia causata dall'ostruzione delle vie respiratorie (la neve polverosa viene facilmente inalata dal sepolto) o provocata dalla carenza d'aria entro la massa nevosa. Se si superano queste evenienze può poi cominciare ad agire il freddo, in tempi tanto più brevi quanto più la temperatura è bassa ed il soggetto poco coperto, con perdita di calore, assopimento e quindi morte insensibile. Ad ogni modo, nel caso che un travolto sia estratto ancora vivo, deve essere immediatamente medicalizzato e cioè trasportato senza indugio con l'elicottero all'ospedale.

     Altre precauzioni (peraltro fuori dalle concezioni dell'attrezzatura speleologica) sono di portarsi un cordino da valanga (lungo e rosso, che ci si trascina dietro e che in caso di valanga può restare anche solo per un pezzetto in superficie e favorire il ritrovamento), o meglio ancora un localizzatore a impulsi radio o ARVA. Ovviamente, localizzato il sepolto, bisogna poi estrarlo, a tale scopo è indispensabile una pala leggera apposita: scavare infatti con le mani o con mezzi di fortuna (rami, sci, ecc.) in neve alta è praticamente impossibile.

     Un consiglio che si dà nell'attraversamento di tratti pericolosi è quello di tenere lo zaino su una sola spalla o in modo tale da potersene liberare facilmente se travolti, per non essere appesantiti od ostacolati nei movimenti, per rimanere a galla. Si consiglia invece di tenere lo zaino se è leggero (non è il caso degli speleologi!) perché riduce le botte o la perdita di calore e può essere usato per riparare la faccia, non respirare neve e fare anzi un po' di camera d'aria. Nel nostro caso, che abbiamo sempre a che fare con zaini molto pesanti dobbiamo riuscire a liberarcene. Nessuno l'ha fatto perché nessuno si considerava in zona di pericolo.

     La copertura su di loro era di oltre un metro di neve fresca, sono stati trovati in posizione distesa ed il carico era tale che alcuni non sono riusciti nemmeno a richiamare a sé le braccia.

     L'aver tenuto la distanza di sicurezza avrebbe portato ad un bilancio meno pesante? Forse sì, visto che i sette del primo gruppo sono stati sorpresi in mucchio e sepolti quasi uno sull'altro, la presenza di anche un solo superstite avrebbe messo sull'avviso la seconda squadra e quindi impedito "quel" secondo incidente.

     In ogni caso nessuna illusione di salvare i travolti; a parte la mancanza dell'attrezzatura idonea per localizzarli ed estrarli, non vi sarebbe stata la possibilità di un trasporto attraverso la gola della Chiusetta verso Carnino.

     È indubbio comunque che nei sopravvissuti intervengano delle reazioni immediate e disperate che purtroppo portano solo a dei gesti istintivi di salvataggio senza alcuna considerazione della propria vita o del cosa fare "poi".

     Ecco dunque le nostre conclusioni. L'interpretazione dominante, già dai giorni delle ricerche a Viozene, era che i nostri amici avessero compiuto un'imprudenza. Ora, vagliati gli elementi delle dinamiche, i particolari delle foto e le testimonianze, siamo convinti che hanno avuto comportamenti sì rischiosi ma abbastanza ragionevoli. Hanno fatto scelte che chiunque di noi, compresi i più esperti, avrebbe con ogni probabilità fatto. Erano scelte sbagliate, ma loro non potevano saperlo: molte altre volte scelte analoghe in situazioni analoghe sono andate benissimo.

 

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L'intervento

Attilio Eusebio


     Il capitolo che segue analizza sinteticamente gli aspetti tecnici dell'intervento di soccorso, soffermandosi di volta in volta sugli elementi valutati più importanti e sulle scelte più delicate che si sono dovute prendere nel corso delle operazioni.

     Va premesso che scelte, valutazioni e considerazioni che seguiranno sono filtrate dalla mentalità di soccorritori speleologi (sebbene si sia trattato sostanzialmente di un incidente di tipo "alpinistico"); comunque, quale sia stata la condotta nei soccorsi, di fatto essa è ininfluente poiché le possibilità concrete di ridurre le perdite erano già minime a pochi minuti dall'incidente.

Domenica 9 dicembre: l'allarme e l'impossibilità di intervento

     L'allarme vero e proprio arriva domenica nel primo pomeriggio: G. Carrieri, a Viozene dal sabato pomeriggio con altri due (R. Pavia e M. Marantonio), avverte intanto il delegato speleo (A. Eusebio) della situazione estremamente critica, venutasi a creare a seguito della forte nevicata. Le informazioni in nostro possesso in quel momento riferivano che un numero imprecisato di speleo (imperiesi, genovesi e torinesi) a Labassa da due giorni doveva uscire in mattinata e ritornare a Carnino e di lì a casa.

     Alle 15 circa, non avendo notizie e stante la situazione di pericolo, i presenti ritengono (giustamente) di avvertire il soccorso, informandolo della situazione locale, in quanto a seguito della nevicata Viozene e tutta l'alta Val Tanaro sono bloccate. Nelle stesse ore a Torino la neve raggiunge i 25-30 cm. In queste condizioni e con la nevicata che ancora perdura (e le previsioni non sono buone) è impossibile intervenire concretamente e si decide di attendere. Del resto a Torino eravamo relativamente tranquilli: ognuno di noi era infatti convinto che con quella nevicata i "nostri" si sarebbero fermati all'ingresso aspettando i soccorsi.

     In ogni caso, Marantonio e Pavia raggiungono con gli sci Carnino con generi di conforto nell'eventualità che la squadra faccia ritorno da Labassa. Date le condizioni di innevamento impiegheranno oltre 5 ore, giungendo solo in serata e facendosi ospitare dalla famiglia che gestisce il telefono pubblico.

     In serata, mentre non vi sono novità e perdura il maltempo, si decide di prepararsi ad intervenire. Si pensa di salire, tempo permettendo, con l'elicottero al mattino successivo per recuperare gli sfortunati colleghi rimasti bloccati all'ingresso (questa era infatti l'ipotesi su cui ci muovevamo). Si prepara il materiale (radio, un minimo di corde e materiale da armo) e si allarma la sala operativa di Savigliano per predisporre l'intervento via elicottero. Parallelamente si attiva anche il capo della Delegazione del soccorso alpino di Mondovì Gino Ghiazza, ed i suoi volontari. L'idea generale continua appunto ad essere che i nostri sfortunati amici siano a patire il freddo all'ingresso della grotta, ma in assenza di informazioni non bisogna escludere la possibilità di un incidente speleologico; questo è dunque il filo conduttore che ci fa muovere in questa prima fase.

     Queste valutazioni ci fanno predisporre un programma che prevede un primo intervento ricognitivo con quattro tecnici, che sappiano sciare e siano in grado di fronteggiare qualunque circostanza. Questi sarebbero stati trasportati dall'elicottero, a gruppi di due, ed avrebbero riferito sulle condizioni generali; ad essi si sarebbe aggiunta una eventuale squadra se fosse stato necessario l'intervento.

     L'appuntamento quindi è rimandato al mattino.

Lunedì 10 dicembre: si recuperano tre superstiti

 

     Ore 7. Alle prime luci il tempo è incerto, le possibilità di volare con gli elicotteri sono ridotte, e raggiungere a piedi la zona dell'ingresso è improponibile per il rischio elevatissimo di valanghe. Nelle ventiquattro ore precedenti sono caduti da 80 a 120 cm di neve, fortemente ventata, ed il manto nevoso è quanto mai instabile.

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     La possibilità di essere elitrasportati da Mondovì e/o da Savigliano è legata a schiarite, al momento non prevedibili; in queste condizioni, si valuta di far partire comunque due volontari con destinazione Mondovì (Vigna e Curti) e due con destinazione Garessio (Badino e Bertorelli), per salire su un elicottero che partirà da dove potrà; le condizioni del manto nevoso fanno escludere in modo assoluto l'intervento via terra.

     Verso le ore 13 il tempo migliora leggermente; dopo alcuni recuperi di infortunati gravi ed interventi in altre zone, l'elicottero riesce a decollare da Mondovì e a raggiungere la piana della Chiusetta. A bordo, Vigna scorge all'ingresso di Labassa tre dei componenti la punta, che vengono recuperati. Vi sono soltanto loro. Degli altri, sei sono dispersi tra l'ingresso della grotta e le auto (di due si viene a sapere che sono stati travolti da una valanga), dei tre rimanenti non si sa nulla. Le ricerche proseguono con l'elicottero per tutto il giorno senza risultati.

     A seguito di queste notizie la mobilitazione diviene generale, l'incidente assume tutta la sua gravità e le squadre di soccorso alpine si attivano. Viene finalmente riaperta in modo definitivo la strada da Viozene a Carnino. La gestione generale delle operazioni passa nelle mani del delegato alpino Gino Ghiazza.

     Dal pomeriggio fino a notte fonda tecnici alpini e speleo, cinofili e cani da valanga raggiungono Viozene, stabilendo la base operativa all'albergo Mongioie. Qui saremo ospitati in più di settanta, trattati benissimo, per oltre due giorni.

     In serata si fa un programma per il giorno dopo. Pur trattandosi di un incidente di tipo "alpinistico", una parte delle operazioni è comunque di nostra competenza; inoltre tecnici speleo di provata esperienza vengono affiancati a quelli alpini per compiti specifici.

     Sulla base delle notizie in nostro possesso infatti la situazione era quanto mai indefinita, e presentava alcune variabili che andavano verificate: la prima banale riguardava gli ultimi tre speleologi, svaniti nel nulla e mai incontrati dai superstiti: esisteva quindi la possibilità che si trovassero rintanati per loro scelta più o meno obbligata in qualche grotta (al Buco delle Mastrelle si pensava). Inoltre si dovevano cercare e trovare gli altri. Due erano stati visti scomparire sotto la valanga agli inizi della strettoia della gola, ma degli altri non si sapeva nulla; potevano anche essersi rifugiati in qualche anfratto, ma dove?

     Ragionevolmente non dovevano essere andati tanto lontani, le ricerche quindi sarebbero iniziate dalla base della corda che arma la discesa dall'ingresso di Labassa. Qui e nella gola sarebbero stati concentrati cani da valanga, spalatori, vedette e sondatori. Tutto ciò sarebbe stato eseguito garantendo le condizioni di sicurezza per i soccorritori, essendo tuttora la zona esposta a rischio di valanghe.

     L'impegno dei soccorritori speleo pertanto si concentra sulla verifica dell'ipotesi di ripiegamento al Buco delle Mastrelle, sulla collaborazione fattiva con gli "alpini" (ottima in tutti i sensi) e sulla ingrata "gestione" di familiari ed amici accorsi in gran numero. Stante le condizioni del tempo la squadra destinata alla verifica in grotta ha con se materiale per resistere quattro giorni; se infatti può essere certa la salita in elicottero, altrettanto non si può dire del ritorno, e di scendere a piedi non se ne parla: l'unica, in questo caso, è aspettare.

     In nottata si tenta una sortita con gli sci, giungendo poco dopo la "porcilaia" della Valera: proseguire oltre è troppo rischioso. Qualcuno di questa squadra pare abbia sentito voci.

Martedì 11 dicembre: stressante attesa di poter intervenire

     Alle ore 6-7 nevica, di intervento con elicotteri neanche a parlarne; sul posto vi sono oltre settanta tecnici, cani da valanga del CNSAS venuti dal Piemonte e dalla Valle d'Aosta, quello della Guardia di Finanza di Limone, varie autorità e molti giornalisti. L'unica possibilità è l'attesa (lunga e stressante); si tenta nuovamente una sortita con gli sci verso mezzogiorno per verificare le voci sentite nella notte, ma senza risultati. Nel primo pomeriggio inizia a schiarire e dopo alcuni tentativi riesce a salire solo l'elicottero della Prefettura di Nizza (Francia), raggiungendo Viozene poco prima dell'imbrunire. Un solo giro per verificare la situazione, ma nulla è cambiato: nella gola ed in tutto il vallone di Carnino non vi sono segni di vita. L'elicottero viene posteggiato e presidiato per la notte, l'indomani se servirà sarà già sul posto.

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     Alla sera le ipotesi alternative perdono credibilità ed il non poter intervenire, collegato alla generale convinzione di tragedia, rende l'aria dell'albergo Mongioie irrespirabile. Si decide per l'allontanamento garbato di giornalisti e familiari.

Mercoledì 12 dicembre: si recuperano finalmente i travolti

     Si riesce a volare, dalla pianura giungono due elicotteri e si iniziano le operazioni. Dopo poco i francesi rientrano a Nizza e l'intervento prosegue come concordato due giorni prima.

     Dopo una verifica generale delle condizioni del manto nevoso, sono trasportati alla Chiusetta con l'elicottero cani da valanga, cinofili, tecnici alpini ed alcuni di noi a dare manforte (Badino, Pastor, Sasso). Altri quattro (Carrieri, Marantonio, Pavia e Giovine) sono depositati al Buco delle Mastrelle per verificare l'attendibilità delle nostre ipotesi, senza nessun risultato.

     Verso le 11 avviene per mezzo dei cani il ritrovamento delle prime salme e gli ulteriori recuperi si compiranno in poco più di due frenetiche ore. Interrotte le altre ricerche, si fanno rientrare più tecnici possibile per il costante pericolo di valanghe. Alle 15 l'intervento è di fatto concluso ed i corpi dei nove travolti sono trasportati con l'elicottero al cimitero di Ormea.

     In serata tutti i volontari rientrano alle proprie abitazioni.

Un intervento svolto bene, malgrado tutto

     Alcune considerazioni risultano d'obbligo su questa tragedia che per un verso o per l'altro ci ha segnati tutti: l'intervento, seppure di tipo "alpinistico", ci ha visti coinvolti come tecnici sotto tutti gli aspetti, da sondatori a vedette, e così via. L'intesa, anche tecnica, con gli "alpini" è stata ottima e, dopo un chiarimento iniziale, non vi sono mai stati conflitti di competenze.

     Errori significativi sulla gestione dell'incidente non ne sono stati commessi, e quelli veniali che ognuno di noi può aver fatto non hanno né influito sui risultati (del resto già definiti), né soprattutto sulla incolumità dei soccorritori che hanno operato.

     A noi tutti, l'aver vissuto questo incidente (nostro malgrado, come si può ben capire), è servito, dal semplice neovolontario al delegato. E stata una esperienza nella quale abbiamo verificato i nostri moduli e le procedure, ed abbiamo fatto esperienza generale di collaborazione e di gestione di un incidente con altre delegazioni.

     In generale quindi l'intervento è stato svolto molto bene, anche se malelingue tendono a ricoprire di fango l'intero operato: tutti i volontari hanno lavorato benissimo, rispettando i ruoli e gli incarichi che dovevano svolgere, senza limitazioni di tempo e con perfetta condivisione di vedute con la direzione.

 

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Sergio Acquarone

 


     Con vent'anni appena, Sergio non aveva ancora avuto tempo di avere un peso rilevante in seno al GSI, nel quale era entrato da pochi mesi con l'ultimo corso di speleologia.

     Era rimasto affascinato da questa che è diventata in breve una sua vera passione, tale da coinvolgerlo profondamente, da lasciargli molte prospettive di realizzarsi, da farlo impegnare con entusiasmo a partecipare all'attività sociale, ad integrarsi con serietà imparando il "mestiere" e dandosi da fare, ad accelerare i tempi del suo inserimento con slancio giovanile tuttavia controllato.

     Uno dei membri più esperti del GSI in queste cose, Gilberto Calandri, ce lo dipinge come un giovane che "sembrava fatto per la speleologia, per stare sui calcari", e con tutte le premesse per divenire in brevissimo tempo uno dei pilastri del Gruppo. Il grande rimpianto, fra gli altri, è proprio quello di aver perduto con lui un elemento di sicuro avvenire, uno di quelli che purtroppo i corsi ci danno in modo molto centellinato.

 

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Aldo Avanzini

 


     Con Aldo se ne è andato uno dei nostri maestri, uno di quelli che hanno dato alla nostra speleologia attuale alcune delle sue caratteristiche fondamentali.

     Inizia l'attività speleologica nel 1971 , già relativamente tardi essendo nato nel 1944 a Trieste. Comincia frequentando il GS Bolzaneto di Genova per poi spostare i suoi interessi più ad oriente, facendo attività soprattutto alla Spluga della Preta negli anni '74-76. E in quell'epoca che comincia a frequentare il GSP, soprattutto i "giovani " dell'epoca, Badino, Coral e Perello, formando con essi un sodalizio molto stretto. Nel '75 collabora con noi al corso, va al fondo della Preta con Danilo e successivamente appare al campo PB 75 come esterno. In quello stesso anno fonda a Genova il gruppo SIAL.

     All'inizio dell'anno successivo è l'animatore di una punta "storica": con Coral e Badino scende al Neil Moss, e vengono così trovate prosecuzioni alla sommità del pozzone: è l'esca che attirerà in zona la speleologia torinese. Un paio di mesi dopo infatti una grossa squadra è lì per proseguire, ma il tempo è brutto e la voglia poca: è proprio lui a suggerire in alternativa di dare un'occhiata sul Corchia. Inizia così la storia dell'abisso Fighiera, che vedrà Aldo protagonista sin dall'inizio, con la punta che arriva a -250 e con quelle immediatamente successive.

     Poi per più di un anno lo si vede pochissimo: la sua compagna, Erica Morganti, ex allieva del nostro corso, ha contratto una malattia irrimediabile e lui la assiste sino alla fine.

     Riappare ai primi del '78 e torna ad essere uno degli animatori delle esplorazioni in Fighiera. In quell'anno e nel successivo sarà socio effettivo del GSP.

Con Badino e Di Ciolo, all'epoca i suoi compagni fondamentali, fa fruttuose discese in altre cavità apuane, soprattutto all'abisso Ribaldone.

     Nel '79 è fra i protagonisti delle risalite dell'Olonese Volante, al fondo di Piaggia Bella: in particolare con Badino supera l'ultima barriera importante per arrivare alle Porte di Ferro, il pozzo Li Po.

     Nello stesso complesso collabora attivamente alle prime discese che impostano il superamento del fondo della Gola del Visconte. È presente anche in uscite che spaziano fuori dai soliti itinerari, come in occasione della discesa al Pozzo della Neve, nell'80.

     In quegli anni, in Fighiera, decide di preparare un bivacco fisso nelle gallerie che diverranno poi quelle di giunzione con l'abisso Farolfi.

     Alla fine dell'81 diviene capogruppo del Gruppo Piemonte Liguria del soccorso speleologico e lo rimarrà nei due anni successivi.

     In quegli anni prosegue l'attività principe al Fighiera, partecipando nell'83 alla giunzione col Corchia. Quella giunzione però è anche l'ultimo atto del quieto sogno esplorativo infinito, che chi esplorava là dentro, soprattutto Aldo, andava inseguendo: il territorio, prima quasi dimenticato, era entrato nell'interesse generale, si sarebbe riempito di speleo-escursionisti. Il rifiuto di rivelare dove fosse il Khayyam, rifiuto che aveva in Aldo uno dei teorici, era il finale di un capitolo esplorativo elitario di quel mondo.

     Successivamente è molto attivo anche al Marguareis: quell'anno partecipa alle esplorazioni che portano alla giunzione Gola del Visconte-PB, nell'84 alle punte alla sommità del Lady Fortuna. Poi prosegue con una attività che gli impegni di lavoro e l'assenza di problemi esplorativi adatti alla sua impostazione rendono più saltuaria. Di fatto è l'apparizione di Labassa che lo reintegra nel giro.

     È molto attivo nelle esplorazioni a Labassa negli anni dal 1986 al '90 sia nei rami a monte, verso Piaggia Bella, che in profondità, verso la risorgenza.

     Quella domenica è sceso là sotto benché non avesse nulla di preciso da fare, se non proseguire il suo processo di adattamento a quelle regioni sotterranee. Adattandosi nel modo come è vissuto, percorrendo senza fretta uno strano, tortuosissimo cammino, spesso in solitudine, sempre molto riservato.

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In alto "Armando" e Stefano, in basso Aldo, "Bob" e Mauro

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     È stato l'elitario per eccellenza, tanto che neppure sentiva la necessità di scrivere o di ammaestrare: l'ha fatto con pochi fortunati compagni che per un po' hanno vagato paralleli al suo sentiero.

     La sua ultima discesa è stata esemplare della sua impostazione: in solitudine, raggiungendo altri che esploravano, come infinite volte aveva fatto in Fighiera. La grotta, al solito, era una scusa, vagandoci le si adattava ed esplorava sé stesso.

 

 

 


Roberto Guiffrey (Armando)

 


     Uscito dal corso di speleologia del 1981, frequentato all'età di 20 anni, Roberto si distingue subito per le qualità speleologiche e il coraggio, ma anche per la modestia e la riservatezza: anche quando è divenuto un grande esploratore, ha operato per il piacere personale e totalmente privo dello stimolo di mostrare le sue capacità o di far sapere cosa aveva fatto.

     Nel campo estivo di quello stesso anno 1981, al Pian Ambrogi sul Marguareis, si sta esplorando l'abisso Pentothal appena trovato, e con una verticale di oltre 100 m. A causa di una frana instabile sul bordo di quel pozzo, nessuno dei "vecchi" presenti osa discenderlo. "Mi sono reso conto che con soli sette mesi di speleologia mi trovavo a dover vivere un momento esplorativo veramente importante, e non era questo il momento per tirarmi indietro". Con questi presupposti arma il terribile pozzo della Papessa, lo discende sfidando un masso grosso come un'automobile ("una Dyane di calcare", come gli piaceva citare), che cade sibilando mentre lui è lì appeso alla corda. Dopo quell'episodio viene soprannominato Armando Pozzi e per noi di Torino lui si chiamava così, anche se il soprannome che lui preferiva era Sir Biss.

     Naturalmente lo troviamo sempre in esplorazioni di notevole importanza. Tra l'altro, nel 1983 è presente alla giunzione tra Gola del Visconte e Piaggia Bella, scende al fondo del più impegnativo abisso marguareisiano, il Cappa, e partecipa anche all'esplorazione del Bacardi con i cuneesi. Tra le altre esplorazioni rilevanti cui prende parte negli anni successivi, vanno citati in questa sommaria rassegna la risalita del Pozzo Lady Fortuna e le Porte di Ferro a Piaggia Bella, il Nevado Ruiz e O-izza. Durante il campo di agosto 1986 di Pian della Tortilla (a Piaggia Bella) è uno dei protagonisti della punta "alla Baraonda" al Meandro dei Narti, esplorazione che conduce fino al punto dove viene fatta la giunzione con il Gaché. A settembre di quell'anno ha la ventura di vedere per primo la mitica "Sala delle acque che cantano", il luogo dove si incontrano tutte le acque del Marguareis. L'anno successivo trova un nuovo abisso in zona Navela (l'Aigle à l'Onions), esplora nel collettore Nord dell'F5, scende nell'abisso Pi-greco e nell'autunno partecipa alle esplorazioni dei nuovi rami dell'Abisso dell'Artesinera. Nel 1988 scende in A 11 e in O-freddo, nell'89 è protagonista in Molise a Cul di Bove dove si ferma poco sopra i 900 m di profondità. Ed infine l'ultima punta a Labassa, alla ricerca della tanto sognata giunzione con Piaggia Bella.

     A Roberto piacevano i viaggi. Quello più significativo è stato senza dubbio in Messico nel 1984, paese raggiunto attraversando l'Atlantico su un cabinato di 16 metri. Amava anche molto andare in moto (l'ultimo giro l'ha fatto in Irlanda) e questa grande passione rafforzava il suo profondo senso di libertà, che non lo rendeva mai schiavo delle circostanze. I suoi interessi erano sempre legati all'esplorazione e all'avventura, e la sua individualità spiccava in ogni situazione dove essi si manifestassero in modo particolare.

 

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Marino Mercati (Guru)

 


     Inizia l'attività col G.S. Imperiese nell'autunno 1972 non ancora quindicenne. Il primo campo alla C1, l'anno successivo, segna la sua storia speleologica, dedicata per quasi vent'anni alle ricerche sulle Alpi Liguri.

     Qui una quindicina di campi estivi ed ogni grossa esplorazione del G.S.I.; dal C1-Regioso, all'S2, a Libero, alle Mastrelle, a Labassa, reca la sua impronta, fatta di grandi capacità tecniche unite a forza e serenità (che per tanti anni lo hanno fatto apprezzare come volontario del Soccorso), non disgiunte da un impegno costante all'esterno, nelle attività di campagna più ingrate e faticose, nell'accanimento a ripassare al setaccio anche le zolle di calcare più dimenticate (basti per tutte la riscoperta dell'Abisso delle Frane). Quasi 1.000 uscite, anche fuori dalle Liguri, come in Toscana o in alcune spedizioni all'estero (Giordania, Tunisia, Corsica).

     Era un grande esploratore, completo, sempre pieno di entusiasmo. Silenzioso e riservato, in grotta cambiava: sfoderava la sua grinta ed entrava in sintonia con qualsiasi compagno. Non si tirava mai indietro, nei rilievi più rognosi, sempre primo nel forzare una fessura o nel tentare un pozzo esposto.

 

 

 


Luigi Ramella (Bob)

 


     Dopo alcune esperienze di speleologia individuale, la prima uscita di Luigi Ramella con il GSI è dell'estate 1972: questa data non rappresenta solo l'inizio di una ventina di anni di costante e sempre più entusiastica attività esplorativa, ma costituisce una vera svolta nella sua vita; da allora gran parte delle sue energie e della sua capacità, costantemente affinatasi nel corso degli anni, è dedicata alla speleologia ed al Gruppo. Una speleologia a tempo pieno, fatta sì di tante esplorazioni e di tanto lavoro a tavolino; ma soprattutto un modo totale, con la testa e con il cuore, d'intendere questa attività.

     Ramella esploratore e speleologo di punta: oltre 1.000 uscite, una ventina di campi estivi sul Mongioie e sul Marguareis, numerose spedizioni all'estero (Algeria, Marocco, Tunisia, Giordania, Austria, Corsica), soprattutto un grande trascinatore delle esplorazioni sulle amate Alpi Liguri: dall'S2, al Libero e Labassa, di cui era l'instancabile propulsore, come nella ricerca dei buchi più nascosti e dimenticati, ma che tante volte grazie al suo inesauribile ottimismo ed alle sue intuizioni avevano "pagato".

     Speleologia di punta, ma fatta anche per stare insieme con gli amici. Una disponibilità dimostrata per tanti anni nel Soccorso, anche negli ultimi episodi come al Veliko Sbrego.

     Ramella organizzatore: segretario efficientissimo del G.S.I. praticamente dalla sua entrata in Gruppo, 33 numeri del Bollettino del G.S.I. come redattore, nella costante ricerca di un miglior livello qualitativo, l'organizzatore del grandioso Congresso Internazionale sul Carso di Alta Montagna, per diversi anni Consigliere della Società Speleologica Italiana, responsabile del Centro Documentazione Grandi Cavità, "fondatore morale" della Biblioteca del G.S.I. (6.000 volumi) ed organizzatore dei relativi servizi, e l'elenco sarebbe ancora lungo...

     Ramella documentatore: Bob era davvero un grosso esperto della speleologia italiana e mondiale; competenza, applicazione, precisione ed entusiasmo si possono leggere nelle sue numerosissime pubblicazioni (oltre 150) spesso dedicate a classifiche, aggiornamenti dei grandi fatti esplorativi: per anni aveva curato in questo senso le rubriche su Speleologia, attualmente illustrava le novità sotterranee di casa nostra sulle riviste nazionali francese e belga. Più silenziosamente, ma altrettanto efficacemente forniva la sua esperienza e competenza a quanti, invero molti in Italia ed all'estero (con cui aveva una fitta rete di legami e contatti), chiedessero la sua collaborazione.

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"Guru"

 

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Mauro Scagliarini

 


     Frequentato il corso di speleologia del GSP del 1986 a 33 anni, Mauro si dedica subito con intensa passione a questa nuova attività cui è felice di essere approdato. Nel suo primo scritto per Grotte, occasionato da questa esperienza (boll. n. 90, "Il corso visto da un allievo"), ci dà una vivida immagine di sé stesso e di come vede la speleologia. Vi si definisce infatti un individualista che ha capito che la speleologia è un'attività molto più sociale e "umana" di tante altre, e uno speleosofo un po' romantico con il gusto dell'avventura, che fin da piccolo leggendo Viaggio al centro della terra di Jules Verne, sognava di andare in grotta. E conclude: A volte mi chiedo che mai sarò venuto a fare su questa Terra così terrestre, terrosa ed erosa? Sarò venuto per assolvere una missione o per fare una commissione? Andare in grotta comincia adesso, forse non è stato solo un corso, ma una VIA.

     Nei suoi rapporti con il Gruppo emergono senz'altro i problemi di conciliare il suo bisogno di socialità con l'individualismo: la sua partecipazione alla vita e agli impegni di gruppo conoscono momenti di dedizione e di attività proficua per lui e per il GSP, purché non manchi però il sostegno di determinati stimoli e sollecitazioni, la carica di adeguati appagamenti e riconoscimenti, lo stimolo di sentirsi motivato.

     Ancor prima che il corso finisca, troviamo già Mauro a partecipare a Pasqua a sei giorni di battute con gli sci sul Mongioie e di esplorazioni in Piaggia Bella: il suo inserimento non può essere più rapido. Nell'estate dello stesso anno partecipa alle esplorazioni al Nevado Ruiz, alla punta alla Baraonda nel Meandro dei Narti, a Latte e Miele in Labassa, al campo estivo a PB. Ne riporta le sue impressioni in un articolo sul n. 91 del bollettino ("Amenità freatiche"), pieno di entusiasmo per i Narti e per O-izza (abisso fomentoso come piace a me).

     I suoi scritti ci danno appunto una efficace misura del suo carattere bonario e sensibile, un po' romantico come dice lui, ma deciso ed esigente, dalla verve umoristica sempre pronta, dalla sottile ironia. Di penna era dotato non poco, con una prosa stringata ed essenziale, vivace e acuta, matura come di chi ha letto molto, pronta ad approfittare con genialità di richiami storici e culturali.

     Nel 1987, anno in cui partecipa tra l'altro alle esplorazioni all'Arma delle Mastrelle e alle Porte di Ferro, racconta sul boll. 93 di un'esperienza che richiama singolarmente la situazione di quel tragico giorno della Chiusetta: una bufera di neve uscendo dall'Arma delle Mastrelle (del tipo Alpi Marittime, you know?), oltre mezzo metro di neve fresca, già scomparse le tracce di quelli che erano partiti dieci minuti prima, neve che sul ripido scivola in valanga, per ore ad affondare con gli stivali prima di arrivare gelati a Carnino...

     Nello stesso anno si entusiasma all'abisso Baygon, che amava chiamare Saigon, per vari motivi, o perché più semplicemente mi piace pensare a come impreca Martin Sheen in "Apocalipse Now", risvegliandosi dopo un incubo: "Saigon... Merda!". O forse a John Prine quando soavemente intona: "Saigon, honey, honey, honey".

     Nel 1988 è al fondo di O-Freddo; prova le emozioni delle discese integrali di gole e orridi. Di montagna era esperto, in condizioni estive e invernali. Nella vita faceva l'insegnante elementare e i suoi interessi erano molteplici (tra essi quelli musicali e la pesca). Nel GSP aveva tra l'altro svolto per un paio d'anni l'ingrata mansione di magazziniere, aveva fatto parte della redazione di Grotte, si occupava del calcolatore ed era istruttore del corso, oltre che volontario del Soccorso speleo.

 

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Stefano Sconfienza

 


     È strano scrivere di qualcuno quando poi ciò che si legge è anche la storia di molti di noi. Così, non è facile parlare di Stefano, di cosa ha rappresentato per ognuno, per il Gruppo e per la speleologia, e in poco spazio citare anche l'attività saliente svolta in quasi dieci anni.

     Era approdato in Gruppo nel 1982, con il corso; aveva già amici nell'ambiente e passare dal gruppo di quelli della "Piazza" a quelli del GSP non era stato per lui così traumatico come per molti altri; lì vi aveva trovato gente che conosceva, che aveva facilitato il difficile ingresso nella comunità speleologica.

     Forse anche per questo si ambienta, inizia subito una attività di punta e già da ex-allievo ci comunica su "Grotte" la sua voglia di speleologia: "... non appena ritorna in sé dalla fatica domenicale lo zombie sente di nuovo la voglia di infilarsi in un altro buco. Che sia già assuefazione?..". In ogni campagna di esplorazione era coinvolto, dalle Carsene all'Artesinera, era presente in modo determinante ed a volte soffrendo in silenzio.

     Il salto di qualità, da ex-allievo bravino ad esploratore, lo fa alla Gola del Visconte e forse per questo resterà legato in modo impenetrabile ed inscindibile a Piaggia Bella e alle sue grotte.

     Le buone doti di organizzatore, seppure legate al carattere difficile che lui stesso riconosceva ("... Come tutti sanno, io sono un magazziniere spacca-belino, permaloso e taccagno..."), ne fanno in poco tempo uno dei fulcri dell'attività. Nell'84 lo troviamo di nuovo nelle Carsene, poi in F5 (per quattro anni di fila); l'anno successivo all'Alvermann, in Austria. La sua crescita speleologica è di fatto anche quella di molti noi, i problemi emergenti ci coinvolgono alla grande e dal gioco "speleologico" ne nasce una disciplina di cui Stefano è uno dei migliori rappresentanti: dall'esplorazione del fondo di Piaggia Bella ci dirà "... qui l'esplorazione perde significato, ogni movimento è inutile. L'impressione è quella di un ingresso in un tempio, della pura contemplazione".

     Nell'86 vuole provare ad applicare i modelli marguareisiani in altre zone, ritorna così in Fighiera, palestra ideale, e nasce il ramo del Finis Africae; matura sempre più l'idea della speleologia fatta per capire prima che per esplorare: "... il grande sistema, la complessità fatta abisso affascina in modo inarrestabile una speleologia che sente il bisogno di capire ancora prima di esplorare...".

     Gli anni successivi sono all'insegna di questo messaggio a cui si cerca di associare un efficientismo che spesso a molti dà fastidio e che gli fa assumere atteggiamenti, comuni a molti di noi, di un certo snobbismo nei confronti di chi non pratica quel tipo di speleologia. Sull'esplorazione di O3 ci dice: "...Taluni forse non amano l'efficienza e l'essenzialità in speleologia, ma io sì... In quattro punte si è fatto tutto ciò che si poteva umanamente immaginare...".

La giunzione Piaggia Bella-Gaché rappresenta anche per lui un momento importante, dalla paura iniziale ("...Adesso posso davvero confessarlo: ho avuto veramente paura là sulla cresta, quando ci siamo persi nella tormenta...") alla gioia intima: "... rieccola all'esterno, la marea che sale, accarezza la roccia che ormai non ci nasconde più quel segreto ma pare subito volercene indicare cento altri... L'altra volta mi era successo sottoterra ma mi trovavo in un santuario. Questa volta ho pianto di gioia sulle Mastrelle...".

     Dopo le note liete vengono quelle atroci, è il 1987, anno dell'incidente in Corchia, e Stefano, direttore del corso, sente su di sé il peso della storia: "...Bisogna raccontarlo tutto questo incidente, fino in fondo. E tocca a me farlo. L'oscuro desiderio di espiare un'ignota colpa è ancora viva in me e non sarà nemmeno la sofferenza di queste righe ad estinguerlo. Quando osservi il volto della morte così da vicino non ritorni più lo stesso: i colori sembrano più sbiaditi, meno essenziali, gli angoli più smussati, le verità meno vere...".

     Questa botta di certo lo cambia, diviene più riflessivo e forse introverso ed iniziano ad evidenziarsi i due aspetti principali del suo carattere: quello "ufficiale" dell'ingegnere a tempo pieno, iperattivo e destinato a far carriera, e quello alternativo, che smessi i panni del dirigente ne faceva lo speleologo di punta e portavoce attento di quella speleologia di avanguardia di cui ci fregiamo: "... La speleologia d'esplorazione che ci vantiamo di praticare indugia continuamente tra il superbo compiacimento di sé ed il tentativo di uscire da questo isolamento...".

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     Su questa strada vengono le esplorazioni di O-Freddo, di A 11, della Scovola, e si innesta la diatriba tra esploratori itineranti e fanatici marguareisiani: "...Prevedere sulla carta una prosecuzione, ipotizzare e poi constatare l'esistenza di un collettore ipogeo: sono alcuni esempi di cosa possa dare un gigante come il Marguareis a chi abbia la costanza di tornarci decine di volte l'anno e dedicarvi le proprie energie non solo fisiche. Sarà anche provincialismo. Ma non è poi un cattivo affare...".

     Era divenuto una delle colonne portanti del Gruppo e del Soccorso e nell'ultimo periodo lo si vedeva attento a cercare di trasmettere la sua e forse la nostra speleologia ad altri, questa disciplina interiore gli stava salendo tanto da non fargli più considerare gli aspetti esterni, quelli che non dipendono da noi, così sull'incidente sfiorato ad O-Freddo ci dirà: "... Era una settimana che i preveggenti del tempo davano nevicate imminenti, ma si sa come voli alto la nostra considerazione delle previsioni..."; ed ancora: "... Come per tanti incidenti sfiorati quello che ci frega è l'eccessiva confidenza che molti di noi hanno con quella montagna...".

     Ci lascia un anno dopo questo scritto, a 31 anni.

Flavio

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Flavio Tesi

 


     Una qualità che balzava agli occhi di chiunque conoscesse Flavio era la sua disponibilità a qualunque tipo di esperienza, il suo interesse entusiasta per moltissime attività, quasi un fervore dinamico di vivere intensamente più momenti possibili del breve arco delle 24 ore giornaliere. Carattere simpatico, estroverso, si inseriva facilmente in gruppi di persone dagli interessi più vari.

     Nel 1984, a 21 anni è tra i soci fondatori di un gruppo speleologico a Pinerolo, la sua città: il GSA che stava prima per Anarchico e poi per Autonomo. Dopo aver frequentato nel 1985 il corso di speleologia del GSP insieme a vari altri pinerolesi, fonda e dirige il Gruppo Grotte Pinerolo, affiliato alla locale sezione del CAI. Comunque mantiene sempre stretti contatti con i torinesi.

     Grazie all'interesse e alla partecipazione dimostrati, è eletto membro effettivo del GSP e nel 1987 ne diviene direttore del corso insieme a Stefano Sconfienza. Entra a far parte del 1° Gruppo dell'allora Sezione Speleologica del Soccorso Alpino nel 1988; tra gli interventi, partecipa al recupero d'un ragazzo francese nell'incidente all'abisso Scarason. Con Elio Pesci frequenta nel 1989 il corso per tecnici del soccorso alpino al rifugio Monzino. Oltre all'attività in varie zone carsiche italiane (dal Piemonte alle Apuane e alla Sardegna), nell'estate 1990 è in Brasile con Badino e gli amici di Pordenone e Trieste per esplorazioni e ricerche nelle aree carsiche del Mato Grosso.

     All'impegno propriamente sportivo univa quello organizzativo, come la già citata direzione del corso del GSP, l'entrata a far parte dell'Esecutivo dello stesso su elezione dei membri del gruppo, la partecipazione all'AGSP in qualità di presidente del GG Pinerolo, le mansioni di consigliere eletto dai soci del CAI di Pinerolo.

     Numerosi altri interessi contornavano la sua passione per la speleologia. Prima fra tutte la moto, ma anche lo sci, la barca a vela (nel '90 aveva conseguito il brevetto di skipper), le Oktoberfest, e le cene pantagrueliche; tutte attività che mettevano in risalto la sua voglia di vivere, di viaggiare, di conoscere, il suo dinamismo e la sua allegria.

 

 

 


Paolo Valle

 


     Come per Sergio Acquarone, anche nel caso di Paolo si deve rimpiangere che non vi sia stato il tempo perché lui mostrasse quei risultati dei quali si sono appena potute scoprire le notevoli potenzialità, e di cui la speleologia e il suo Gruppo sarebbero venuti senz'altro a fruire.

     Animato da una grande passione per la montagna e per l'alpinismo, aveva poi iniziato anche a fare speleologia ed era entrato nel 1987 nel GS Alassino. Il suo grande entusiasmo per l'esplorazione l'aveva ben presto avvicinato al GSI, che nell'ultimo anno aveva frequentato assiduamente, integrandosi nell'attività in modo particolarmente determinato e convinto, tale da compiere un deciso salto di qualità e da far finalmente pronosticare proficui sviluppi futuri. Da pochissimo era anche entrato nel Soccorso.

     Gli amici imperiesi ce lo mostrano come un gentlemen, e Calandri ricorda che "la sua era una speleologia fatta serenamente, con naturalezza, con grande disponibilità e allegria, sui pozzi dei Caprosci come scavando nelle fessure soffianti dei Poggi".

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Paolo

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Ringraziamenti

 


     Desideriamo ringraziare innanzitutto coloro che in varia misura e per quanto di loro competenza si sono prodigati nell'organizzazione delle ricerche: in particolare Gino Ghiazza e i volontari della Delegazione CNSAS di Mondovì, la Direzione regionale del Soccorso Alpino Piemontese (Mauro Marucco), il Centro Operativo di Elisoccorso di Savigliano, i cinofili CNSAS piemontesi e valdostani, la Guardia di Finanza di Limone P., le Prefetture di Nizza e Cuneo, i Carabinieri di Ormea e Mondovì, il sindaco di Ormea, Gianni Boffredo e familiari dell'albergo Mongioie di Viozene, i valligiani di Carnino, Viozene e Ormea, i volontari della Delegazione Ligure CNSAS.

     Esprimiamo la nostra gratitudine a quelli che personalmente o in rappresentanza di vari organismi sono stati vicini a noi e alle famiglie in questo frangente: i Gruppi Speleologici AS Bresciana, AS Romana 86, Alassino, Alpi Marittime CAI Cuneo, Biellese CAI, Bolognese più USB, Bolzaneto CAI, Fiorentino, Geo CAI Bassano, Gonnosfanadiga, Gualdo Tadino, Ligure A. Issel, CAI Napoli, Padovano CAI, CAI Perugia, Reggio Emilia, CAI Roma, San Giusto, Sanmarinese, Savonese, Sette Comuni Asiago, Sparviere "A. Carretto", Stroncone, Vallenoce Trecchina, CAI Varese; il CMS Nice; i CS Cagliaritano e Etneo; i Circoli Spel. Friulano e Romano; i GSA Livornese e di Ravenna; i GG Milano, Novara, Treviso; la Commissione Grotte "E. Boegan", il Gruppo Puglia Grotte di Castellana, il Raggruppamento Escursionisti Speleologi Triestini; gli SC Forlì, Garfagnana, CAI Laveno Mombello, Oliena, Ribaldone, Sanremo; Speleologi Romani, Speleologi Santadesi, US Veronese. Il Comité Départemental des Alpes Maritimes di Nice, la SSI; le Federazioni Speleologiche Emilia-Romagna, Sarda, Toscana, Triestina; l'Ente Speleologico Regionale Lombardo, la Delegazione Spel. Ligure, la Commissione Interregionale Spel. CAI Toscana-Emilia Romagna. Il presidente Franco Garda a nome anche del CNSAS, le Delegazioni CNSAS di Biella (S. Gremmo), Lariana (G.A. Beltrami), Val d'Ossola (S. Rossi); i Gruppi del soccorso speleologico 4° Squadra di Terni (N. Conti), 5° Squadra Campania (J. Giulivo), 6° Veneto (G. Minciotti), 9° Lombardia (L. Nava). La Sezione CAI Savona, la Sottosezione Cral CRT CAI Torino, la Commissione Centrale CAI per la Speleologia, la Commissione TAM interregionale Piemonte-Valle d'Aosta CAI Torino-CAI UGET. Roberto Antonini, Claudia Apostolo, Mirko Appoloni, Mario Bandon, Guido Bartolo, Nevio e Fernanda Beoletto, Tullio e Norma Bernabei, Giorgio Bessega, Roberto Biagi, Mario Bianchetti, Gianpaolo Bianucci, Marisa Biscontin, Luciano Bosso, Maurizio Brunetta, Alberto Buzio, Giulio e Alberta Cappa, il signor Cappellano, Ernesto Casassa Carlet, Claudio Catellani, Enrico Chiomento, Cioffi, Agostino Cirillo, Beppe e Carla Dematteis, Dedé Depallens, Adriana Fara, Mariuccia e Luigi Fiore, Ivo Frattino, Alberto Gabutti e Carmen Drea, Furio Gagliardi, Uccio Garelli, Gervasutti, Andrea e Carla Gobetti, Daniela e Silvio Gori, Renzo Gozzi, Gianni Guidotti, Giorgio Guala, Gennaro e Loredana Imperio, Luca Imperio, Giovanni Laiolo, Jo Lamboglia e Cathy, Franco Lambri, Renaud Lämmli a nome di tutti gli speleologi francesi delle Alpes Maritimes, Felice Larocca, il Prefetto di Torino dr. Carlo Lessona "nel ricordo della collaborazione sempre offerta con prontezza e spirito di abnegazione, in difficili operazioni di soccorso anche fuori di questa regione", Alessandro Maifredi e famiglia, Marastoni, Franco Marchisio, Susi Martinuzzi, Nino Masciandaro, Sergio Matteoli, Franca Mazzer, Gianni e Maria Mecchia, Beppe Minciotti, Maurizio Monteleone e Anna Pedicone, Luigi Nava, F. Palimodde, Pino Palmisano, Lelo Pavanello, Claude Quas, Nicolas Radulesco, Guido Rossi, Giuseppe Sardu, Michele Sivelli, Patrizia Squassino, Bruno Steinberg e Paoletta, Susanna Uggeri, il Presidente del CAI-UGET Leo Ussello, Ugo Vacca, Lucia Vallardi, Paolo Velo, Paolo Verico, Mario Vianelli, Mauro Villone, Luigi di Cuneo (cognome non decifrato), i colleghi di Stefano dell'Iveco.

     Ci scusiamo con tutti coloro che sono stati involontariamente dimenticati.

     Ancora una volta grazie.

 

 

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Libero

U. Lovera


     È un giorno di settembre e il trattato di Viozene comincia a dare i suoi frutti. Una nutrita squadra ligurpiemontarda sta salendo lemme lemme dalla Colla del Signori in direzione dell'abisso Libero; la compongono alcuni tra i migliori fomentatori delle interminabili polemiche che hanno ravvivato la storia di questa grotta e i rapporti tra gruppi degli ultimi anni. Bertorelli, Gerbino, Lovera, Meda, Ramella e Sconfienza si avviano a continuare un'esplorazione che una squadra mista piemontoscoveneta aveva iniziato in epoca antecedente al Trattato.

     Molte foto appaiono su questo bollettino ma nessuna di quella punta, per cui cercherò di rimediare. Alle sei persone che camminano verso la grotta dedichiamo il primo scatto. Giornata di sole, fermata al C3 per raccontare lo stato dell'arte alla parte ligure della spedizione (clic); seguono venti minuti di barzellette cretine (clic). Ingresso: Bob mostra la celeberrima "pancera rosa" (clic); entriamo comodamente sgranati nella grotta raccontandoci gli ultimi scazzi. Comodamente in coda faccio il turista distinguendomi per una sapiente pisciata nell'unica pozza d'acqua disponibile per il thè (flash).

     Discesa lentissima, abbiamo parecchie cose da dirci; passiamo moltissimo tempo dentro a galattiche frane che per pura bontà d'animo hanno lasciato un varco al passaggio umano (flash, sguardo interdetto di speleologo, a scelta uno dei sei). Galleria inclinata, Ramella indica dove pochi mesi prima una frana acciaccò la caviglia di Enzo Ferro risparmiandone la testa (flash). Di nuovo dentro alla frana: ora è Stefano a mostrare una sbiaditissima freccia ai liguri increduli. Dopo poco la via si apre in una forra e una serie di pozzi ci porta, ad un'ora ignobile della notte, alla base di un ampio pozzo, in cui ci concediamo un thè e una gelida dormita (flash). -400.

     Siamo in un posto che corrisponde, diverse centinaia di metri più in alto, al colle che separa la Zona C dall'imbocco del Canalone dei Torinesi. Torniamo in basso: dalla sala partono una grossa galleria ascendente, appoggiata sull'impermeabile in direzione del Canalone dei Torinesi (l'arrivo di O-Freddo?) e un meandrino sfigatissimo trovato da Enrico (si, lui, il pirata veronese) mesi prima.

     Ora la sequenza è velocissima, scatta Stefano verso il meandrino, lo inseguo con intuito da sonnambulo lasciando gli altri nel dormiveglia. I primi ostacoli vengono abbattuti a martellate fino ad intersecare una galleria di un paio di metri di diametro in cui passeggia un corso d'acqua di qualche litro al secondo. La galleria strettoizza (arriva Valentina), poi fessurizza, altri ostacoli vengono cancellati e noi avanziamo sempre seguendo l'acqua in direzione Colla dei Signori, fino a un pozzo di una decina di metri non più arrampicabile.

     Segue un trionfale ritorno in cui rilevando trasformiamo il tutto in galleria ferroviaria, fino alla parte ligure della spedizione che sta risalendo un camino al fondo del ramo a monte.

     Nuova avanzata a sei e discesa del pozzo; qui le cose si complicano: subito forra stretta che viene scavalcata in alto fino a trovare una condotta di un metro e mezzo di diametro. Alla successiva discesa sul torrente segue lo stop definitivo di fronte ad un altro pozzo che blocca per il momento un'esplorazione che ha portato una mezza kilometrata scarsa di nuove gallerie alla grotta.

     Ora restano la risalita, l'uscita, la discesa, una bevuta alla Colla dei Signori e il ritorno verso Torino durante il quale veniamo scambiati da una pattuglia di Carabinieri per contrabbandieri d'armi e trattati come meritiamo. Quindi a nanna, è finita.

     È seguita una punta tutta imperiese che dopo il pozzo si è trovata di fronte una forra larga poche dita in cui svaniva tutta l'acqua. È necessaria una disostruzione energica.

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Abisso Libero (sezione)

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Abisso Libero (pianta)

 

 

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Scovola

D. Grossato


     Dopo le esplorazioni fatte durante il campo estivo (vedi il precedente bollettino 103), a loro volta seguite a quelle del 1989 (v. boll. 100), durante una punta il 9 settembre Vincenzo Martiello "Spazzola" e Andrea Colombo erano riusciti a superare la strettoia finale: il "merdandro" continuava ancora una decina di metri, dopo di che si arrivava su un pozzo di 15 m con forte rumore d'acqua sul fondo. Dopo averlo armato scendeva Andrea, che risaliva annunciando la presenza di un altro pozzo.

15 settembre: un'uscita sfortunata

     Siamo in 4: Ube Lovera ed io ad allargare ulteriormente la strettoia e ad andare avanti, e Andrea Manzelli e Donatella Bregolato con il compito di rifinire il lavoro per poi raggiungerci.

     In cima al Pis avviene un piccolo scambio di frasi. "Ube, abbiamo un solo discensore e siamo senza bloccanti". "Stai tranquillo, tanto gli altri ci raggiungono tra un po'". "Ma se per caso non arrivassero, come faremo a risalire?". "Non ti preoccupare Daniele, un modo lo troveremo".

     Ad essere sinceri bisogna ammettere che il modo per risalire senza bloccanti Ube l'ha poi scoperto... ma, se siete curiosi, è meglio che lo sentiate dalla sua viva voce!

     Di fatto sotto il Pis ritroviamo l'acqua e la seguiamo percorrendo una spaccatura piuttosto stretta e altissima. Dopo un po' l'acqua si infila in posti sempre più stretti; ci teniamo in alto e sbuchiamo, tra tonnellate di fango, a metà di un pozzo. Ne armiamo la partenza e poi io mi rifiuto di discenderlo senza bloccanti. Ube è perfettamente d'accordo con me e così torniamo indietro... ad attendere gli altri alla base del Pis, lanciando disperatissimi "gobio" ogni tanto. Ma Donatella e Andrea, rimasti con una sola luce (elettrica) in due, attendevano noi prima della strettoia! Alla fine Ube parte per raggiungere i due, facendo due bloccanti con materiale di fortuna su cui è meglio sorvolare; ridiscende poi portandomi i bloccanti. Tutto è bene quel che finisce bene.

L'esplorazione del 5 ottobre

     Per la prima volta in una grotta per i fatti nostri, "Spazzola" ed io arriviamo al termine delle esplorazioni precedenti e discendiamo quel pozzo di cui avevamo armato la partenza. Si rivelerà di circa 40 m, con alla base le solite tonnellate di fango. L'acqua (un rigagnolo) si infila in una frana a sinistra (volgendo le spalle alla corda), mentre a destra un piccolo scivolo di fango porta a un abbassamento della galleria che appare poi completamente ostruita; davanti a noi due giganteschi imbuti di fango, sul fondo dei quali si sente rumore d'acqua; alle spalle un'arrampicatina su frana non finisce da nessuna parte promettente. Importante: non c'è un filo d'aria!

     Uscendo notiamo, contenti, che la corda dell'ultimo pozzo non sfrega pericolosamente da nessuna parte.

L'ultima punta

     L'ultima volta che la Scovola ci ha visti è il 24 novembre. Partiamo al sabato Stefano Sconfienza, Marco Scofet, Donatella Bregolato, Beba Mazza ed io. Il ghiaccio ci accompagna dalla Chiusetta al rifugio Don Barbera. L'obiettivo è il disarmo totale: vi sono circa 350 metri di corde.

     Stefano e Marco ripartono per la Scovola già alla sera, mentre noi altri tre li seguiamo nella notte con una certa differenza di clima: sta nevicando e ci sono già 15 cm di neve. Strada facendo, neve e vento si intensificano e ci fanno smarrire irrimediabilmente nel pianoro della Scovola. Dopo più di due ore di delirio bianco, incazzatissimi, decidiamo di tornare al rifugio e impieghiamo altre due ore.

     Stefano e Marco usciranno di grotta verso le 14 di domenica, scavandosi un tunnel nella neve. Andatigli incontro, li troviamo a metà strada, e subito vengo a sapere che quella corda, che

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Buco di Pian della Scovola (sezione)

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Buco di Pian della Scovola (sezione da -300 e pianta)

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non sfregava pericolosamente, aveva completamente perso la calza consumata su una lama di roccia: Stefano si era trovato a veder scivolare davanti a sé la calza stessa, e a risalire con terrore un tratto sui trefoli ormai nudi e consunti e sistemati metà da un lato della lama e metà dall'altro...

     Durante questa allucinante risalita Stefano aveva scoperto a pochi metri dal fondo, salendo sulla corda, una finestra che dopo un po' porta su un ennesimo pozzo, da risalire, con aria non forte.

     Tentare di continuare di lì, oltre che completare il rilievo, è quanto resta da fare. Attualmente i 350 metri di corda sono in attesa alla base di un pozzo a -250. Torneremo certamente (almeno, io senz'altro), quando non ci sarà più neve.

 

 

 


Al Minotauro di Labassa

Alessandro Maifredi


     Quando qualche sera fa Claudio mi ha telefonato per chiedermi di scrivere qualcosa sull'incidente e su quanto svolto a Labassa da me, Andrea, Paolo e Bob nel Regno del Minotauro, devo dire che su di me si è aperta una nuvoletta con un punto interrogativo; non tanto per la richiesta più che giustificata e che comunque mi aspettavo, quanto per il fatto che di quelle quarantadue ore di grotta, di quelle maledette quattro ore nella neve e delle ventun ore passate uno accanto all'altro per tenerci caldo all'ingresso della grotta, mi sono rimaste solo delle sensazioni indescrivibili e delle immagini stampate davanti agli occhi come fotografie o fotogrammi di un film che più volte ho cercato di tradurre in parole ma con scarso risultato.

     Tutto comincia in uno splendido venerdì di dicembre: dopo un'ultima telefonata a Bob per confermare gli accordi, io e Andrea saltiamo sul primo treno che si scarica puntualmente ad Oneglia alle 13,42. Qualche minuto dopo finalmente Sergio (di cui mi aveva già parlato Bob) gentilmente ci offre un comodissimo passaggio fino a Viozene. Qui nel giro di una ventina di minuti arrivano Guru, Bob e Paolo, più tardi a Carnino ci raggiungono Stefano e Claudio.

     In cielo non si vede una nuvola, fa solo un gran freddo; quello che preoccupa Bob è la percorribilità del ghiaione sotto l'ingresso di Labassa: la neve caduta due settimane prima ed il freddo possono aver formato un lastrone di ghiaccio difficilmente superabile. Ad ogni buon conto ci portiamo i ramponi: tutt'al più si torna indietro.

     In circa due ore e mezza raggiungiamo l'ingresso: il sentiero, a parte la neve soffice in più punti, non presenta altre difficoltà.

     Verso le otto e venti siamo già tutti pronti a muoverci e cominciamo così a scendere nelle profonde viscere di Labassa.

     Siamo in otto, per cui non possiamo muoverci troppo speditamente, ma neanche ne abbiamo voglia; ci muoviamo con calma e man mano che ci avviciniamo al mitico "Capanno degli Arrapati" (così soprannominato da Bob) il pensiero di tutti corre al ricco piatto di "Turtlen" caldi che ci aspettano. C'è solo un piccolo problema: al capanno manca l'acqua; ci fermiamo così allo Scafoide e, mentre Paolo e Sergio scendono fino al Capanno degli Stonati per recuperare un'ultima tanica da 10 litri, noi stiamo ad ascoltare le complicate discussioni di Stefano, Guru e Bob sui legami di parentela dei protagonisti dei romanzi di fantascienza. Quando il freddo comincia a farsi sentire ci incamminiamo verso il campo, dove arriviamo verso mezzanotte e mezza. È veramente splendido e così ci complimentiamo tutti con Paolo e Sergio che insieme a Muddu lo hanno costruito.

     Ci spogliamo rapidamente per poi dedicarci, dentro al capanno, alle prelibate cibarie che come al solito non possono mancare e dopo il famigerato piatto di "turtlen" sprofondiamo nei sacchi a pelo. Più che un capanno sembra la sala prove di un'orchestra sinfonica con netta prevalenza di strumenti a fiato: inutile dire che per stanotte non si dorme. Verso le nove, al sorgere della acetilene, ci alziamo pigramente (non si può più dire infatti che ci svegliamo, visto

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che non ha dormito nessuno e chi lo ha fatto ha dormito poco e male). Dopo una rapida colazione ci incamminiamo velocemente verso il Grande Cocomero. Qui ci dividiamo in due gruppi: Sergio, Stefano, Guru e Claudio vanno al sifone di sabbia, mentre Andrea, Paolo, Bob ed io scendiamo fino al Regno del Minotauro.

     La nostra meta non è precisa, anche perché trovare la giunzione con Piaggia Bella non è così semplice come potrebbe sembrare; l'obiettivo diventa così alla fine quello di trovare almeno trecento metri di gallerie da rilevare per raggiungere i 14 km. Qualunque pertugio è ben accetto.

     Cominciamo a rilevare dal piccolo traverso che c'è poco prima del sifone terminale: appena a metà della parete opposta si vede infatti il canotto. Mentre Andrea, Bob ed io rileviamo, Paolo va in perlustrazione e poco dopo ci chiama per rilevare un ramo ascendente. Come tutto il Regno del Minotauro, anche quel ramo è di crollo e con roccia tra l'altro piuttosto marcia; così, ad un certo punto, mentre stiamo prendendo speditamente i dati (visto che Bob non ha intenzione, per il momento, di fare il disegno), sentiamo cadere dei pietroni e poi la voce di Paolo che ci tranquillizza subito, dicendo che va tutto bene: si è fatto un voletto di qualche metro e si è preso solo una gran paura: "il cervello, ci dice, in quei momenti funziona ad una velocità incredibile e ti vedi passare davanti tutta la vita". È una frase, questa, che mi sarà difficile dimenticare specialmente perché detta da Paolo in una occasione tanto particolare.

     Tornati indietro saliamo fino all'ingresso delle gallerie del Minotauro, nei pressi del quale esploriamo un piccolo pozzetto che si infogna rapidamente ma per lo meno è percorso da un rigagnolo d'acqua sufficiente per farci un ottimo thè caldo. Dopo esserci rifocillati a dovere riprendiamo il cammino nelle gallerie del Minotauro che dopo un centinaio di metri ci presentano un bel trivio; rileviamo per un bel po' il ramo di sinistra che sfonda più volte sul sottostante Fiume dei Mugugni. Ad un certo punto, dopo nove ore di esplorazione, stufi di rilevare, piantiamo due spit e scendiamo sul fiume.

     Tornando indietro incontriamo Stefano che decide di farci compagnia cantando con noi ogni tanto qualche strofa dell'azzeccatissima canzone sul Carburo.

     Verso le sette siamo di nuovo al campo e finalmente posso rilassarmi: dopo aver camminato tutto il giorno su cenge terrificanti e pietroni sdrucciolevoli, il 95% del mio sangue deve essere costituito da adrenalina.

     Questa sera ci aspetta razione doppia di tortellini con aggiunta di minestrone di verdura nonché biscotti e frutta a volontà.

     Mentre la discussione si sta animando, rapidamente scende a placarla dall'alto Aldo, che con la sua incredibile calma viene a salutarci. Dopo essersi rifocillato decide di andare a fare un giro a Latte e Miele, poi cambia idea e si prepara ad uscire.

     Verso le dieci assistiamo alla sofisticata tecnica di Paolo per placare il funesto russare di Bob, mandandogli rumorosi bacioni nelle orecchie. Quando finalmente riesce a domarlo possiamo addormentarci come ghiri e goderci otto ore di sonno profondo.

     Con la sveglia alle 6, alle 7,30 siamo già pronti ad uscire; decidiamo di farlo senza correre ma anche senza fermarci, così a depennare una galleria dietro l'altra: le gallerie Giuanin Magnana, lo Scafoide, la lunga strada dell'Ovest (che in uscita è dell'Est), le gallerie del Silenzio, la Ziaclasi (sì, perché, come dice Bob, dopo un po' di volte che la fai la Diaclasi diventa una figura famigliare, quasi una zia, o meglio una Ziaclasi; e poi la Diaclasi se la conosci la eviti, se la conosci non ti uccide) infine la via di Damasco dove Bob decide di raggiungere Guru per fumarsi una sigaretta.

     Quando arriviamo all'ingresso Bob e Guru sono già scesi, c'è solo Paolo pronto a scendere: "Sta nevicando e ne è già scesa un metro, mi dice, prendete gli zaini e venite giù senza cambiarvi, fate presto"; dopo un ultimo sguardo scende anche lui: è l'ultima volta che l'ho visto. Stefano invece ci suggerisce di cambiarci.

     Andrea, Claudio e soprattutto io che stavo già per scendere dietro a Paolo, dobbiamo sicuramente ringraziare Stefano che con il suo saggio consiglio di cambiarci ci ha fatto ritardare di quei pochi minuti, sufficienti per evitare la prima valanga; mi dispiace che la sua saggezza non sia bastata ad evitare a sé stesso ed a Sergio di essere travolti sotto i nostri occhi increduli da una seconda valanga.