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GROTTE

anno 21, n. 65 - genn.-aprile 1978

gruppo speleologico piemontese - cai-uget

 

SOMMARIO

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La parola al presidente

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Notiziario

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Attività di campagna

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In ricordo di Mario Sturani

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La grotta del ghiaccio

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21° Corso di speleologia

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L'abisso dell'Artesinera

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Divagazioni sulle tecniche

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Le imbracature in speleologia

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I venti anni di "Grotte"

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Pubblicazioni ricevute

 

 

 

Redazione:

Marziano Di Maio

(resp.)

 

Giovanni Badino

 

 

Giuliano Villa

 

 

 

 

Stampa: LITOMASTER

 

v. Sant'Antonio da Padova, 12

 

 

 

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la parola al presidente

     La cosa più importante da rilevare mi pare sia la notevole quantità di allievi del corso che hanno proseguito l'attività speleologica. Mi auguro di cuore che resistano perché mi sembra giusto che il Virus della speleologia trovi ancora terreno fertile per allignare e mietere vittime. Alcuni eminenti studiosi di questa malattia affermavano che le nuove generazioni erano oramai immunizzate, pare che non sia così.

     Sta nascendo il rilievo completo di quanto sinora esplorato dell'abisso Claude Fighiera. Il parto è stato lungo e difficile, in compenso mi pare valesse la pena. Vedere riportata sulla carta la serie di gallerie e pozzi che finora sono stati esplorati e rilevati consente di capire come mai ci è voluto tanto tempo e ci mette il cuore in pace sulla mole di lavoro che resta ancora da fare in questo fantastico sistema. Dopo la fase descrittiva stanno infatti riprendendo gli attacchi ai rami che sembrano più promettenti, nella speranza di poter cogliere, dopo tanto lavoro, anche qualche risultato risonante.

     Un pensiero a quelli del gruppo che organizzano il corso di tecniche di soccorso speleologico alla Carsene. Lo sforzo non è indifferente, speriamo che dia risultati soddisfacenti, specialmente per i partecipanti.

 

Piergiorgio Doppioni

 

 

Notiziario

Assemblea di inizio d'anno del GSP

     Si è tenuta il 22 gennaio, con il consueto scopo principale di definire i programmi per il 1978.

     Gli incarichi delle varie sezioni sono stati così assegnati:

magazzino: Meo Vigna e Flavio Miniscalco

cassa: Franca Mazzer

Capanna Saracco-Volante: Piergiorgio Doppioni

biblioteca: Giuliano Villa coadiuvato da Gianna Gianelli

archivio e segreteria: Uccio Garelli coad. da Laura Deker

bollettino "Grotte": Marziano Di Maio coad. da Badino e Villa

pubbliche relazioni: John Toninelli

Operazione Piemonte Sotterraneo: Paolo Arietti

foto: Giuliano Villa

rilievi e materiale scientifico: Maurizio Sonnino

     Si è discusso e approvato un bilancio preventivo e si sono fatti gli stanziamenti per i vari capitoli di spesa.

     Le quote sociali sono state fissate in 20.000 lire per gli effettivi e in 15.000 lire per gli aderenti; la quota comprende anche l'uso della Capanna. L'abbonamento al bollettino (gratuito per i membri del Gruppo) è stato portato a 3000 lire.

     Si è approvato il nuovo regolamento per il nuovo magazzino, redatto da Meo Vigna.

     Si sono infine tracciati per grandi linee i programmi di attività, in

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particolar modo quelli esplorativi.

 

Primo incontro naz.di perfezionamento delle tecniche di soccorso su sola corda

     Il 1° Gruppo della Delegazione Speleologica del CNSA organizza dal 14 al 20 agosto 1978 presso la Capanna Morgantini del GSAM GAI Cuneo alla Conca delle Carsene (Marguareis) un incontro a carattere nazionale sui problemi del soccorso su sola corda, con particolare riferimento alle tecniche di recupero applicate da squadre ridotte.

     Il programma di massima, dedotto dalla 1^ circolare, prevede il ritrovo a Limone lunedì 14 agosto, e l'inizio dell'incontro il 15 con introduzione alle tecniche di recupero in grotte verticali con impiego di squadre ridotte (esercitazioni in palestra). Il 16 vi saranno in palestra dimostrazioni di recupero con l'uso del contrappeso. Dopo un'esercitazione in grotta il 17, è previsto per il 18 mattina lo studio in palestra delle varie tecniche di emergenza con ferito bloccato su corda (il pomeriggio è libero). Sabato 19 altra esercitazione in grotta e domenica 20 agosto discussione conclusiva.

     Per motivi tecnici e logistici il numero dei partecipanti è limitato a tre persone per ciascuno dei 9 Gruppi della Delegazione Speleologica CNSA, anche se gli organizzatori si riservano di dare immediata comunicazione di posti resi vacanti ai Gruppi che facciano richiesta di una partecipazione maggiore.

     La quota di partecipazione è fissata in 50.000 lire e comprende il trasferimento da Limone alla Capanna e viceversa, il vitto dalla sera del al pranzo del 20, la copertura assicurativa e l'uso dei materiali di gruppo per le esercitazioni. Il pernottamento avverrà in tende personali dei partecipanti, essendo l'uso della Capanna limitato (salvo casi di emergenza) al consumo dei pasti e alle lezioni teoriche. Ovviamente la partecipazione è subordinata al visto dei rispettivi capigruppo, che coordineranno le adesioni, e ai quali ci si può rivolgere per altre informazioni.

 

I lavori al museo della montagna

     Da parecchi mesi il nostro gruppo, su invito della Direzione del Museo naz. del CAI "Duca degli Abruzzi", si sta interessando per allestire una esposizione permanente di attrezzature speleologiche e di documentazioni in possesso del gruppo riguardanti la storia della speleologia in Italia e in particolare in Piemonte. Il materiale in nostro possesso, giacente da anni nel magazzino di via delle Orfane, è stato così con un po' di buona volontà riscoperto e, dopo avere tolto qualche chilo di polvere, è stato portato nel mese di febbraio al Museo. Contemporaneamente è stato fatto un accurato lavoro di catalogazione per vedere di inserire in un discorso più ampio il materiale raccolto. Si è pensato di suddividere il padiglione a noi riservato in varie zone: 1) carta italiana (evidenziando le zone carsiche) con un breve discorso introduttivo sulle grotte e la attività speleologica; 2) Storia delle esplorazioni in Italia illustrata da riproduzioni di foto; 3) attrezzature (la Direzione ha promesso di concederci due manichini da "addobbare", il primo alla maniera dei pionieri e il secondo con attrezzature recenti; 4) biologia (abbiamo in mente di

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riprodurre in piccolo l'ambiente cavernicolo con l'esposizione di qualche "boia" fornita da A. Casale); inoltre dovrebbe essere esposto lo scheletro di orso montato anni addietro da Longhetto e De Laurentiis dopo una accurata revisione, la storica tendina di "PB 75" e l'argano "Va-lentino", il tutto illustrato da trasparenze e stampe a colori.

     Il programma dettagliato è stato fatto.

     Recentemente sono giunte voci secondo le quali l'apertura del secondo piano del Museo, dove dovrà figurare tra gli altri settori la "Speleologia", subirà un ennesimo rinvio (a quando?..) causa la cronica penuria di soldi. Così sia! Evidentemente la buona volontà dimostrata dai vari gruppi e individui (credo tutti d'accordo nel dare una mano disinteressatamente) rischia ancora una volta di andare in fumo.

(G. Villa)

Principali esplorazioni del 1977

     Tra le esplorazioni più importanti avvenute nel corso del 1977 e di cui abbiamo notizia, ve ne sono di notevoli malgrado l'inclemenza del tempo che ha contraddistinto l'annata almeno nei paesi europei.

     In Francia il GS della M.J.C. Aubagne ha trovato un nuovo ingresso superiore del Reseau Trombe, portandone la profondità a 897 m e la lunghezza a circa 33,7 km. Un nuovo ingresso è stato trovato anche al Lonné-Peyret, e le esplorazioni fatte ai primi di novembre da vari Gruppi insieme sono giunte a -769 m.

     In Spagna la Sima GES Malaga è sugli 850 m e continua.

     In Austria continuano le esplorazioni di cavità che raggiungono profondità anni addietro insospettate. L'Hochlechen-Grosshöle è a -861 m (speleologi di Cavillon, Toulon e Grenoble, febbraio). Il sistema Platteneck-Bergerhöhle (due cavità congiunte l'anno scorso da speleologi di Varsavia, con dislivello che era di 879 m) è profondo ora 895 m. Nel Lamprechtsofen i salisburghesi sono risaliti in febbraio a +810, e il mese successivo i polacchi di Krakov hanno proseguito l'esplorazione sino a +860. Gli stessi polacchi sono arrivati al fondo del Wieserloch sui 600 m. La profondità dell'Ahnenschacht è stata fissata in 607 m e non di più.

     In Italia i bolognesi del GSB fissano in 950 m la profondità del Corchia dopo la loro risalita di cui già si è parlato su questo bollettino. Il GSP e gli altri Gruppi con esso impegnati, hanno continuato le esplorazioni del Fighiera sullo stesso Monte Corchia, giungendo in più rami a profondità rilevanti variabili dai 620 a oltre 800 m; le possibilità esplorative sono ancora molto ampie. Il Complesso di Piaggia Bella rafforza la sua posizione di grotta più lunga d'Italia, dopo il ritrovamento da parte del GSP di altri due ingressi, di cui uno (la grotta dell'Indiano) fa capo ad un nuovo ramo profondo circa 350 m.

     Tra le grotte più profonde, è stato ridimensionato a 964 m il dislivello della Kievskaya (Pamir russo), che era dato di 1080 m.

     Molte delle grotte più lunghe del mondo continuano ad allungarsi. Tra esse, il complesso Flint-Mammoth (USA) è a circa 320 km esplorati e 300 rilevati; in Svizzera l'Hölloch supera già i 135 km e in URSS l'Optimistitscheskaya giunge quasi a 120.

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La scomparsa del prof. Anelli

     All'età di 78 anni si è spento recentemente Franco Anelli, figura di studioso tra le maggiori che la speleologia italiana abbia espresso. Nato nel 1899 a Milano (rimasto quasi subito orfano), facendo il servizio militare e lavorando ha completato gli studi di scienze naturali, e nel 1930 è divenuto conservatore del Museo di Speleologia di Postumia e assistente dell'Istituto Italiano di Speleologia colà dislocato. Nel 1938 a Castellana è sceso per primo nella voragine che dà accesso alle grotte che diverranno poi famose, e che da solo ha esplorato e rilevato: a queste grotte il suo nome è indissolubilmente legato. Nel 1941 è divenuto direttore dell'Azienda delle grotte di Postumia e vi è rimasto sino al passaggio di questa alla Jugoslavia. Nel 1949 è chiamato a dirigere le grotte di Castellana, divenuta "la Postumia d'Italia", e per il resto della sua vita dedicherà le sue cure alle attività legate a questo centro che anche per merito suo acquisterà fama mondiale. Dal 1939 è stato di rettore de Le grotte d'Italia e dal 1954 direttore dell'Istituto Italiano di Speleologia. La sua attività di speleologo, di paleontologo e di studioso di preistoria non ha avuto soste, e rimangono di questa 110 lavori pubblicati. Non ha trascurato neppure le ricerche biospeleologiche, come testimoniano tra l'altro tre nuove entità trovate a Postumia (un collembolo, un aracnide e una varietà di miriapode), due nuove specie di Castellana (un isopode e un coleottero del genere Globobythus) e altrettante delle grotte di Putignano (due aracnidi) .

     La SSI ha voluto degnamente ricordarlo donando un busto di bronzo (creazione di Danilo Mazza) che è stato posto nelle Grotte di Castellana in ricorrenza del quarantennio della scoperta.

 

Biogeografia delle caverne italiane

      E' questo il tema della 22° Congresso della Società Italiana di Biogeografia, che si svolgerà a Verona dal 15 al 18 giugno 1978. Le comunicazioni, molto numerose, verteranno su tutti i principali aspetti del popolamento cavernicolo della nostra penisola, trattato dal punto di vista sistematico-biospeleologico e successivamente analizzato a livello più specificamente geografico. L'organizzazione del congresso, curata dal Museo Civico di Storia Naturale di Verona, prevede anche due escursioni, rispettivamente sui Lessini e al Buso de la Rana (Monte di Malo, Vicenza), grotta quest'ultima di particolare interesse speleologico e faunistico.

(A. Casale)

Il bivacco Lusa

     A Faenza la costruzione in cantiere del bivacco dedicato ad Antonio Lusa è ormai quasi completa, e presto cominceranno sul Monte Corchia i lavori di fondazione e poi di trasporto e di piazzamento .Sul prossimo numero saranno descritte in dettaglio le caratteristiche di questa opera, che viene a costituire un ottimo punto d'appoggio per gli speleologi che operano in una delle nostre zone carsiche più importanti.

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Fotografia e proiezioni

     Alcune stampe a colori e le trasparenze che figuravano nella vetrina di Piazza Castello sono state esposte da G. Villa a una mostra organizzata dal C.T.G. lingottese che ha consegnato una targa ricordo.

     Proiezioni: il 18 maggio a Brusasco presso il Cinema parrocchiale, il 20 maggio a Bordighera nella sala Rossa del Palazzo del Parco per conto dell'Istituto Internazionale di Studi Liguri. Durante quest'ultima serata, oltre alla proiezione del solito fotodocumentario, sono state proiettate anche foto di Uccio Garelli e di Adalberto Longhetto, commentate da Maurizio Sonnino.

     In dicembre Uccio Garelli ha presentato due foto b.n. e due a colori a una mostra fotografica indetta dalla CEAT; ha ottenuto premi per la miglior serie e per una delle foto.

 

I libri donati alla biblioteca del GSP

     Ringraziamo il socio UGET Frittitta che ha fatto pervenire alla biblioteca del GSP cinque volumi di speleologia, facendocene un graditissimo omaggio; si tratta di "L'appel des gouffres", "Profondeurs", "Tenebres" e "Trente ans sous la terre" di Norbert Casteret, in edizione francese originale di cui due rilegati, e il romanzo "L'amateur d'abîmes" di Samivel.

 

In difesa del Carso

     Com'è noto, è da tempo in ballo la questione della realizzazione sul Carso triestino di una zona franca industriale: maldestro tentativo, proprio in un periodo di crisi del settore, per risollevare le sorti di una città che necessiterebbe invece di decisi interventi per valorizzarne le vocazioni commerciali, dandole le strutture affinché la sua posizione felice di "porta sul Mediterraneo" la renda finalmente un grosso centro di traffici tra mezza Europa e i paesi che con questa possono essere in rapporto attraverso i mari. Ma l'insipienza dei politici è grande, o forse nascosti interessi di pochi vengono ancora anteposti al bene della collettività. Fatto sta che la Commissione mista italo-jugoslava per la realizzazione del progetto sta dandosi da fare, pur con le difficoltà dovute all'attuale difficile momento. L'area interessata si estenderebbe su ben 2500 ettari, dove sono presenti 235 grotte conosciute (alcune notissime, come l'abisso di Trebiciano) e un migliaio di doline, e dove il sottosuolo è, come si sa, attraversato da un reticolo di corsi d'acqua da cui si attinge anche per usi potabili (tutta la zona di Trieste per esempio si approvvigiona dalla falda di Duino e Aurisina). Già adesso il comprensorio autoportuale di Fernetti trova comodo scaricare le acque luride nelle doline e nelle grotte, inquinando le falde idriche. E' facile immaginare la potenzialità di distruzione ecologica e di inquinamento che quel progetto industriale comporterebbe.

     Nel 1972 si è costituito a Trieste un Comitato Regionale per la difesa dei fenomeni carsici, che ha intrapreso azioni contro il progetto, con i limitatissimi mezzi a disposizione. Ora è in atto il tentativo di intervenire energicamente, con denunce all'autorità giudiziaria, sensibilizzazione dell'opinione pubblica e opposizione attiva con ogni forma possibile di protesta civile ma anche di studio di proposte alternative. Tutto

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ciò comporta spese che il Comitato da solo non può sostenere, con i semplici contributi degli aderenti (tra cui speleologi di tutta la Regione Friuli-Venezia Giulia). Per cercare di salvare questo patrimonio comune unico al mondo il Comitato si appella pertanto alla solidarietà tangibile di tutti gli speleologi e di quanti hanno a cuore la protezione della natura. E va tenuto conto (aggiungiamo noi) della necessità di far fallire un'operazione sballata che avrà ripercussioni negative sull'economia locale e costerà non poco ai contribuenti. Le sottoscrizioni possono essere inviate versandole sul c.c. postale n. 11/6611 intestato al Comitato Reg. difesa fenomeni carsici, via Aleardi 7, Trieste.

     Anche la SSI ha preso una netta posizione ed ha assunto iniziative contro il progetto; il suo presidente Cigna ha inviato una circolare ai Gruppi per sollecitare generosi contributi. L'Assemblea dell'Union International de Spéléologie ha trasmesso una mozione ai governi italiano e jugoslavo, all'UNESCO, alla FAO e ad altre organizzazioni protezionistiche, e documenti contrari sono stati diffusi anche da altri enti tra cui la Commission Intern. pour les Régions Alpines e la Soc. Venezolana de Espeleologia.

 

Disceso il pozzone del forte di Exilles

     Una terribile banda del GSP (Paolo, Meo, Carlo, Roberto e Giovanni) è andata al forte di Exilles, formidabile vecchia costruzione che sbarra la Valle di Susa. Chi scrive è stato obbligato dai compagni a scendere nella cisterna del forte. E' questa una costruzione incredibile, una intera sala del forte è sospesa su questo scavo cilindrico di 8-10 m di diametro e profondo circa 80. A 55 m dalla partenza si incontra il più raggelante pelo d'acqua mai visto. E' difficile dire cosa faccia tanta paura, se la sinistra immensa costruzione in cui è posta la cisterna o se invece è l'artificialità del pozzo, il suo essere contro natura. Chi scrive può comunque assicurare che tanta paura per scendere un salto non l'hai mai avuta.

(G. Badino)

 

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Attività di campagna

4 genn. 1978, Grotte del Caudano. Cazzola, Longhetto e Vigna. Constatata l'ennesima distruzione della serratura.

6 genn., Buranco d'o Termine. Esperimento di recupero in contrappeso di un ferito. Badino con Giampiero del GSS.

7-8 genn., zona del Mondolè. Trovato un buon buco, disceso parzialmente (corda insufficiente un pozzo sugli 80 m. Baldracco, Cazzola, Oliaro, Vigna.

26 febb., ai Balzi Rossi per scattare foto didattiche. Arietti, Gianelli, F. Maina, Pecorini, Villa.

19 mar., esercitazione di recupero del CNSA alla palestra di roccia di Finale Ligure. Badino, Coral, Doppioni.

2 apr., ultima uscita del Corso, a squadre separate: Abisso della Scondurava, la Melosa e Tana dell'Orso di Pamparato.

9 apr., abisso dell'Artesinera (Frabosa Soprana, CN). Trovata una prosecuzione quasi al fondo di un pozzo parallelo al p. 50. Badino, Coppa, Coral e tre "allievi".

9 apr.: Baldracco, Bonelli, Marzano e Vigna con triestini al Fighiera. Gili e amici al Caudano a far foto. Giagnorio e Villa in allenamento all'orrido di Foresto. Vari, con allievi dell'ultimo corso, all'Arma dei Grai.

16 apr., esercitazione CNSA di recupero in contrappeso, alla palestra di roccia di Borgo. Badino, Baldracco, Coral, Marzano, Perello.

23 apr., abisso Fighiera. Vuotato il Meins e disceso il pozzo in fondo al Corno Destro. Avanzini, Badino, Coral, Coppa e Simonetta.

24-25-26- aprile, Marguareis. P.G. e L. Baldracco, Badino, Cazzola e Maina. Vista tra l'altro la grotta delle Fasce.

23 apr., uscita all'Arma del Lupo.

     A fine anno sono state fatte ricerche paleontologiche all'Arma dei Grai. Il 18 dicembre Oliaro, Perello, Squassino e Vigna; il 22 dic. Perello e Squassino; il 28 dic. Baldracco, Oliaro, Perello, Squassino e Vigna.

 

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in ricordo di mario sturani

     Il 18 febbraio 1978 è mancato a Torino, all'età di 72 anni, Mario Sturani, pittore ed entomologo di grande rilievo. I quotidiani hanno dato ampio spazio all'illustrazione della sua attività artistica, valorizzata tra l'altro in una recente mostra postuma che ha riscosso grande successo di critica e di pubblico. Innamorato della Natura sin dall'infanzia, Egli si dedicò a partire dagli anni '40, dopo aver sofferto una profonda crisi sui valori della pittura contemporanea, quasi interamente all'attività scientifica e principalmente entomologica, alla quale diede numerose pubblicazioni specialistiche di alto valore. Pubblicò pure alcuni libri scolastici e divulgativi originalissimi (tra cui il celebre "Caccia grossa tra le erbe") , sempre corredandoli di meravigliose illustrazioni e tavole di suo pugno; numerose sue tavole a colori di carattere zoologico furono anche edite dalla U.T.E.T. La famiglia ha lasciato all'Istituto di Entomologia dell'Università tutto il materiale scientifico di Mario Sturani, tra cui la ricca biblioteca, l'iconografia originale e numerosissimi appunti; riordinando questi ultimi ho trovato la breve nota che segue. Credo di rendere al carissimo amico scomparso un omaggio che a lui sarebbe stato gradito, curandone la pubblicazione. Essa riguarda tra l'altro una zona, e cioè i monti del Canavese, ove Mario Sturani militò a lungo nelle file della resistenza, mentre suo suocero, Augusto Monti, scontava in carcere il proprio antifascismo; dimostra infine come la grande curiosità culturale e scientifica di Sturani non abbia trascurato neppure la speleologia e la biospeleologia, alla quale ultima dedicò, nel suddetto "Caccia grossa tra le erbe", un affascinante capitolo, soffuso di quella semplicità e quel candore che erano appunto le qualità più salienti e più belle del suo carattere.

(A. Casale)

 

LA GROTTA DEL GHIACCIO

12 agosto 1942. Mario Sturani, Paolo Carlo Scribante, Luigi Cibrario.

     La "Grotta del Ghiaccio", nota da soli 10 anni e pressoché sconosciuta dagli stessi valligiani, si apre a circa 1313 metri tra i massi accavallati di un macereto, a circa una sessantina di metri dalla cresta che unisce il M. Gregorio col M. Cavallaria, sul versante sud ovest del torrente Assa all'imbocco della Valle d'Aosta. Il suo percorso è sempre assai stretto ed occorre procedere ventre a terra. Dopo circa 8 metri si incontra un primo salto verticale di 3 metri, dopo il quale non giunge più la luce esterna. Si passa attraverso un passaggio ristrettissimo, e si giunge al secondo salto di 4 m, dopo il quale la grotta si divide in tre rami: uno frontale discendente ed ostruito con poco ghiaccio; uno laterale a sinistra senza ghiaccio ed uno laterale a destra, ramificato a sua volta e costituente la "grotta del ghiaccio" vera e propria. Il fondo di questa, in leggerissima salita, è coperto

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completamente di ghiaccio dello spessore di circa 30 cm, sotto il quale sono visibili dei piccoli ciottoli rotondi. Le pareti sono coperte anch'esse di ghiaccio in alcuni punti, sotto forma di colate verticali spesse almeno 20 cm. Dalla volta pendono parecchi candelotti e numerose frange e nastri di ghiaccio spesse circa un centimetro ed alte 10 cm. Nella par te centrale della grotta si può stare in piedi, mentre a destra la volta si abbassa e si prolunga in uno stretto cunicolo dove vi sono tracce di terriccio. In quest'ultima camera la temperatura è di -1°C. Lo stillicidio è limitatissimo e non sono presenti correnti d'aria. Due coleotteri Carabidi (Nebria sp.) sono stati trovati da me in una gita precedente (2 agosto 1942) vaganti sulle pareti ghiacciate, ed un altro esemplare l'ho trovato il 12 agosto su di un'esca da me posta nel più profondo della grotta. Qui pure ho trovato 4 Friganee adulte e due Ditteri di diverse specie (di questi ultimi uno venne divorato dalle Nebria dentro l'aspiratore). Tutte queste specie penso debbano essere amanti dell'umidità e delle basse temperature, attirati da questi fattori in fondo alla grotta; non è stata riscontrata la presenza di troglobi veri e propri.

Grotta del Ghiaccio del M. Cavallaria - sezione

 

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il 21° Corso di speleologia

     Tutti gli anni il responsabile di turno arrivato al momento del consuntivo scrive: "e così anche quest'anno è terminato il corso..."; seguono generalmente i bilanci (sempre positivi) e le previsioni (sempre rosee) sul numero degli "allievi" che intendono votare la loro esistenza alla causa della speleologia. E regolarmente le previsioni risultano seriamente ridimensionate: al campo estivo (vero banco di prova del neo-speleologo, soprattutto perché si impone una scelta tra dieci o quindici giorni passati al mare con la ragazza e tra una diecina di giorni passati al campo con la prospettiva dei lavori forzati nelle allucinanti distese di bianco lapiaz del Marguareis) ci si ritrova quasi sempre in quattro gatti (vedi campo '76 e un po' meno il '77) e così la migliore occasione di entrare nel vivo dell'attività speleologica del gruppo e di cementare quell'affiatamento che dovrebbe essere già nato durante il corso, viene generalmente a sfumare. Di solito il numero degli "allievi " (scusate se continuo ad usare questo brutto termine, ma è l'unico che renda l'idea) inizia a diradarsi alle ultime uscite del corso, diventando di poche unità durante l'attività del dopo-corso; soprattutto solitamente siamo noi "vecchi" a insistere fino alla noia per portare le nuove leve in grotta o in palestra. Quest'anno sono stati gli allievi, sovente, a trascinare gli "istruttori" (altra brutta parola) nonostante a volte le pessime condizioni meteorologiche non facessero certo venire la voglia di infilarsi in qualche buco; alcune volte hanno anche organizzato delle uscite per proprio conto, sempre però nell'ambito dell'attività di gruppo che è una cosa importante per evitare il disperdersi in gruppetti autonomi.

     Quest'anno avevamo stabilito di effettuare alcune uscite in grotte impegnative subito dopo il corso, ma a causa del maltempo e della neve che fino a poche settimane fa scendeva a larghe falde su Viozene, parecchie uscite sono andate a... buca. Comunque la formula del corso diviso in due stadi, di cui il primo aperto a tutti e il secondo inteso come specializzazione in esplorazioni in grotte verticali, mi sembra buona e da riprendere l'anno prossimo.

     Termino la predica con la speranza che l'impegno eccezionale mostrato finora dalle nuove leve non sia il tradizionale fuoco di paglia: lo spirito del gruppo crede che ormai lo abbiano capito, non resta che iniziare a lavorare insieme.

Giuliano Villa

     Hanno frequentato con profitto: Mauro Agazzini (Castelrosso), Didi Benevolo, Luigi Bosco, Pier Luigi Carena. Pier Carlo Curti, Nicola De Venera (Pinerolo), Attilio Eusebio, Maurizio Fuiano, Romano Geuna (Baudenasca), Angelo Lupori (Rivoli), Marco Mantovani, Massimo Maina (Verrua), Alberto Melli, Maurizio Melone (Saluggia), Luca Morbelli, Mario Pravisano (Pianezza), Elio Pulzoni, Giorgio Salvala, Claudio Scarpelli (Rivarossa), Walter Segir (Santhià), Marina Segnan, Massimo Sibour, Gianluca Tesio, Valeria Valli, Claudio Vetrone, Mauro Villone.

 

 

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l'abisso dell'Artesinera

     Le esplorazioni all'Artesinera vi sono già state raccontate in altri bollettini. Mi limiterò a ricordare che è stata una creazione dei due Piergiorgi nell'inverno del '74: grazie soprattutto alla loro iniziativa venne forzata la strettoia a -15. La domenica successiva l'orda raggiungeva i fondi (F2 e F3 del rilievo) a circa -140. L'anno seguente veniva toccato (anche questo è già stato narrato) il fondo estremo a circa 170 m di profondità.

     Quest'anno durante un'uscita del Corso un allievo, uscendo dal pozzo da 50, lascia cadere il gibbs di staffa. Il fatto che nessuno sotto di lui lo abbia preso in testa, mi segnala che ha preso la via di F3. E così scendo a recuperarlo. Mentre armo questo salto parallelo (34 m) mi colpisce il fatto che non si veda la fine della spaccatura che lo costituisce. Scendendo a raccattare il bloccante mi vien voglia di andare a vedere.

     Il traverso è in effetti facile e mi fa scoprire che il fondo della frattura non si vede perché lì non c'è: continua! Lungo meandro di 25 m (un'enormità nell'Artesinera) e poi l'abisso riparte in un pozzo che scendo solo in parte, dato che sono solo e senza corda.

     Lo scendo con Gianni Guidi due settimane dopo, lasciando però aperto il problema di due meandri che ha al fondo. Torno infine coi Piergiorgi mentre un'altra squadra (Meo, Marco, Patrizia, Riccardo) scende in F1 a cercare di forzare il fondo. E' una fortuna, perché quando Baldrake si infila in uno dei meandri sente le voci degli altri che sono alla sommità del 40 finale.

     La grotta si sviluppa su due fratture parallele, perpendicolari alle isoipse di quella parte della montagna, in direzione 35° col nord. Va allargandosi dall'ingresso, scendendo con una serie di brevi, facili e bellissimi pozzi fino a -90. A quella quota la frattura ne interseca un'altra che la collega alla sua parallela. La prosecuzione della frattura principale forma in avanti il fondo F4 (quello del gibbs caduto), indietro F3. La frattura di collegamento forma un bel cañon profondo 50 m (F2). La frattura parallela, in avanti forma F1, indietro porta ad un arrivo d'acqua non percorribile.

     Se tettonicamente la faccenda, specie dopo l'ultima scoperta, è quasi chiara, non si può dire lo stesso della corrente d'aria da -90 in giù. Essa è assai forte e troppo complessa per essere seguita, a causa anche della relativa vicinanza dell'esterno. Parte dell'aria forse arriva non da grotte più profonde, ma da un assorbimento lungo le fratture su cui è impostata la grotta, che sembrano capacissime di uscire.

     E' una grotta piccola ma assai consigliabile per corsi o semplicemente per. domeniche divertenti, purché si abbia l'avvertenza di evitare i periodi di disgelo.

     Ecco la scheda di armo.

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P1

(ingresso)

corda

15

2 spit (sin.)

P2

15

2 spit (sin.)

P3

27

2 spit (des. e davanti)

p4

10

2 spit (des.)

p5

27

3 spit (des.)

F1     Traverso sul 50. Una corda (15 m) non fa vomitare. Saltini

(5 + 5 in Iibera, corda su attacchi naturali).

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corda

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1 spit (sin.)

P7

45

3 spit (zero, -16, -31)

F2

P8

50

4 spit (2 a zero, -11,-35)

F3

P9 (è P8 fino a -11)

45

3 spit

F4

(ramo del gibbs)

P10 (è P8 fino a -11)

20

2 spit

P11

2S

attacco nat. + 1 spit (sin.)

 

 

 

     Sinistra e destra sono idrografiche. Indicati solo gli spit ritenuti sensati. Dove è indicato un solo spit è implicito il doppiarlo sulla corda superiore.

     L'armo più consigliabile è una corda (sui 100 metri) dall'ingresso a -90 e poi le corde necessarie per i fondi.

Giovanni Badino

 

INQUADRAMENTO GEOLOGICO DELL'ARTESINERA

     L'abisso dell'Artesinera è localizzato in un'area carsica molto interessante, delimitata sia a nord che a sud da una serie di terreni impermeabili (le Quarziti di Ponte di Nava e i Porfidi del Melogno). La serie di rocce comprese fra queste grosse unità è rappresentata da un gruppo di terreni decisamente carsificabili. Si incontrano infatti, in ordine stratigrafico dal basso verso l'alto, una fascia di calcari dolomitici (Dolomie di S.Pietro dei Monti), poi una serie di calcari massicci o laminati (Calcari di Rio di Nava, Calcari di Val Tanarello, ecc.) ed infine una zona rappresentata da calcari scistosi (scisti di Upega, ecc.). La tettonica ha poi chiaramente operato su tale serie, originando, a grandi linee, una anticlinale molto coricata (anticlinale dell'Artesinera) ed una faglia di direzione N-N-O (linea di Borello).

     L'abisso dell'Artesinera si sviluppa nelle Dolomie di S. Pietro. La grotta rispecchia la successione stratigrafica: fino a pochi metri dal fondo si incontrano bei pozzi (impostati su tre fratture principali) scavati nei calcari e nei calcari dolomitici. Poi di colpo la morfologia cambia. Siamo alla base dell'ultimo pozzo e si incontrano una serie di piccoli cunicoli, pozzetti molto stretti che dopo una decina di metri si chiudono con fessure impraticabili. Se facciamo attenzione è cambiata anche la roccia: si notano livelletti micacei e lamine di clorite inglobate nei calcari. Questa è la base della successione stratigrafica delle Dolomie di S. Pietro, che è in contatto con le Quarziti di Ponte di Nava. Chiaramente l'abisso in questa zona non può continuare verso il basso. Spostandoci però di un centinaio di metri verso est, vediamo che la situazione

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geologica cambia: le quarziti sono in contatto tettonico con i calcari che adesso sprofondano per parecchie centinaia di metri. E' in fondo alla vallata che incontriamo due grosse risorgenze carsiche: l'acqua dovrebbe arrivare anche dall'Artesinera.

Meo Vigna

 

Abisso dell'Artesinera - rilievo

 

 

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da leggere: divagazioni sulle tecniche

     Continuano, con una costanza degna di grande sarcasmo, a venire vomitate oscene cazzate su come dovrebbero gli speleologi andare su corda. Alle prime ho opposto commenti un po' ironici (devono crescere...), poi un dignitoso silenzio, adesso parlo: eh già, perché a fianco di quelli che scrivono "sulle tecniche di corda" perché han capito come si scrive la parola "Jumar", stanno sbucando dal fango gli imbecilli grafomani che copiano da questi riportandone punto punto le stupidaggini per poter vedere il proprio nome in fondo ad un po' di righe scritte in più copie da una macchina.

     Se questo è un malcostume diffuso in tutte le pubblicazioni attuali, lo è in special modo in quelle speleologiche. Adesso vorrei tagliarne i tentacoli che stanno stringendo la speleologia tecnica.

     Mettendo in fila i pozzi che ho attrezzato per le corde, si fan circa tre chilometri (mi scuserete per queste affermazioni: del resto non so se ci sia, di questo, di che vantarsi o di che sentirsi cretini). Eppure ho preferito non scendere in dettagli, nelle poche cose che ho scritto al riguardo, su come si fa questo oppure quello. Basta poca esperienza per vedere che le tecniche di armo si imparano solo armando e che tante volte, nelle tecniche di risalita, se va bene una cosa, va bene anche un'altra. Evidentemente questa esperienza non è abbastanza diffusa.

     Appaiono così orrori del tipo di quello che i frazionamenti si fanno con due chiodi. Ora, chiunque abbia fatto non dico tre chilometri di armo ma cinquanta metri di armo (serio) sa benissimo che fare frazionamenti con due chiodi è una cosa ridicola: chi lo dice tradisce il fatto che la sua speleologia si svolge in qualche palestrina dove lui impara come si monta diritto un gibbs. E così viene fuori anche la ancora più rilevante cazzata (questa è mortale) che un armo va fatto anche in vista della comodità di passaggio (affermazione diffusa). Comodità e sicurezza non sono in generale compatibili, se non per caso. Chi conosce i miei armi sa che non sono tanto comodi e a volte anzi un po' paura la fanno; in compenso le corde son sicure come in chiesa. Valgono infatti alcune regole generali che adesso mi sbilancerò ad affermare, ricordando che generali non significa assolute.

     Prima però una considerazione globale. Le corde sono una linea (anzi sono la linea) che vi permette di conoscere posti fatti per aria acqua e roccia e non per voi. E' la linea vitale che vi lega all'esterno : secondo me non deve essere solo robusta, ma deve essere anche elegante, esteticamente bella, aerea. Detto questo, affermo che 1'80% dell'armo si fa in partenza: ci vuole un buon spit arretrato, doppiato su qualche attacco naturale su cui vi lanciate ben avanti nel pozzo e mettete quello buono per l'armo. La comodità di uscita non è un parametro di secondaria importanza: non esiste assolutamente; chi fa la grotta è quello che la arma, gli altri si limitino a seguire le corde: se non sono neanche in grado di far quello, si dedichino ad altro sport. Lo dico sul serio. E anche sul serio dico che in nessun caso si devono scendere pozzi attrezzati su un solo spit. Se ne sono visti saltare (anche rompersi) troppi.

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     Scendendo si evitino i diedri e i canalini, anche se possono dare un idiota senso di protezione. Se la corda dovesse rompersi andrete giù sia che siate esposti che no. Si deve andare sui nasi, sulle protuberanze. La regola più generale di tutte è questa: gli spit (ad eccezione di quelli interni di partenza) vanno piantati nei posti vertiginosi e aerei. Se mettendo uno spit non sentite un po' di vuoto allo stomaco e il desiderio di una seconda corda, è facile che stiate sbagliando l'armo. Ma soprattutto ricordate che il grosso dell'armo di un pozzo vien deciso in alto. Quindi perdete un po' di tempo lì, dove potete avere (io non la rifiuto mai) una seconda corda, e fate piuttosto avanzate in artificiale. Si trovano a volte delle grotte (fatte ad esempio dai grafomani di cui sopra) in cui l'armo sembra affidato al buon cuore della roccia che si spera non tagli le corde.

     Ecco un'altra regola, rivolta ai pochi che esplorano: quando scendete esplorando, armate come se sotto ci doveste tornare quaranta volte. Non mi si dica che si perde del tempo: quando abbiamo fatto l'F33 ho attrezzato trecento metri di pozzi in esplorazione. L'intero giro compresa la risalita ed il rilievo richiese otto ore. Il tempo speso a piantar spit è impiegato in maniera eccellente: si veda di risparmiar tempo altrove. Non comportarsi così genera aborti come l'armo del ramo delle Ludrie nel Fighiera, armato alla veloce in esplorazione e mai rettificato. Sono queste cose da evitare il più possibile.

     Passiamo ad alcune considerazioni sulle tecniche di risalita. Alcuni membri del GSP iniziarono nei primi mesi del '73 a marciare su sole corde. E mentre gli altri pedalavano in jumar io, snob, mi attaccai alla tecnica gibbs. E caddi nell'errore madornale di pubblicizzare una tecnica senza averla prima provata abbastanza (avevo fatto peraltro il Gaché e l'esplorazione dello Straldi a -525). In effetti i gibbs andavano e vanno bene, salvo che è una tecnica assolutamente priva di elasticità di impiego. Van bene in grotte a pozzi, con cambi facili, già note, senza pozzi ciechi da scendere ad esplorare, con le corde di lunghezza giusta, senza lunghi tratti da percorrere fra un pozzo e l'altro, e con pochi carichi da portare. In queste condizioni van bene come le jumar. Ma divengono orrendamente svantaggiosi se ci son cambi tesi (necessari, in generale) per la sicurezza dell'armo), o cambi con corde in teleferica (cosa che capita abbastanza se chi arma non è un cretino che si limita a seguire il percorso delle pietre e dell'acqua), o se più in generale si è in esplorazione. Il fatto di spingersi in su a gambe alterne, fa guadagnare un po' in linearità, ma fa perdere in potenza e per portar su sacchi ci vuole quest'ultima.

     In pratica la tecnica gibbs richiede condizioni molto precise e indispensabili: non è a parer mio una tecnica ragionevole in speleologia, anche se molto ottimizzata. Quando decisi (al Jean Nouveau) di abbandonarla, conservai gli imbraghi (per la grotta così e cosà) e in pratica sono ancora lì a quattro anni di distanza. E vi assicuro che è stata una liberazione.

     L'unico vantaggio che i gibbs hanno, è la possibilità di fare uno scatto, cosa impossibile con le jumar: ma lo scatto serve solo a far impressione a chi vi guarda in una palestra. In grotta non serve. Anche in montagna si può correre, ma chi corre? I gibbs sono un vantaggio su bre-

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vi distanze (10, 50 metri), ma su 500 metri quel che conta è il fiato. Si possono fare tempi egregi (6 minuti su 90 m) anche con le jumar: naturalmente è del tutto inutile, il tempo si guadagna evitando di stare fermi quando c'è da muoversi. Il gibbs del resto è, a parer mio, ancora il miglior attrezzo per la staffa nella tecnica jumar, per la sua eccezionale sicurezza: non si hanno scrupoli ad attaccarsi a uno solo di quei cosi, mentre è irragionevole attaccarsi soltanto ad una jumar. Lo svantaggio dovuto alla necessità di usare le due mani per montarlo è secondario.

     Con questo ho messo in chiaro alcuni punti che hanno atteso anche troppo ad essere definiti. Certo non mi cullerò nell'illusione che chi abortisce articoli tecnici la smetta solo perché non è capace. Spero invece che le persone ragionevoli e dubbiose, che so numerose, leggano queste note come un contributo al chiarimento di una questione ancora gravida di problemi aperti. E' un contributo interamente frutto di prove (non solo in palestra o in vane ripetizioni), prove a volte allucinanti e in qualche caso solo per miracolo non mortali. Scuserete dunque il tono di queste righe a tratti un po' autolaudative: il fine è buono, e non è per alimentare la vostra ammirazione nei miei confronti che, se per caso avete, potete metterla dove sapete.

Giovanni Badino

 

 

le imbracature in speleologia

{Dedicato a ahi ha sofferto, soffre e soffrirà in grotta a causa dell'imbracatura)

     Uno dei problemi che è destinato a turbare maggiormente i sogni notturni di chi si accosta alla speleologia è, sicuramente, quello della ricerca di un'imbracatura comoda e razionale. E' noto che fino a qualche anno fa non si trovava sul mercato nessun attrezzo esplicitamente concepito per la grotta e, generalmente, si sottoponevano i materiali egli attrezzi da arrampicata e da alpinismo a degli ampi adattamenti. Naturalmente anche i baudriers in commercio, essendo concepiti per uso alpinistico e non speleologico, male si adattavano a quest'ultimo. E' chiaro, infatti, che l'imbracatura usata in arrampicata ha il compito di distribuire uniformemente, sul corpo di chi la indossa, gli effetti dello strap-

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po conseguente ad una caduta. In grotta invece, con l'uso delle sole corde, è necessario un baudrier sul quale si possa stare comodamente anche per tempi abbastanza lunghi (risalite di grandi pozzi) e che, tuttavia, abbia quelle caratteristiche di rigidità che consentono il corretto posizionamento del discensore e del bloccante pettorale.

     Vista la mancanza di imbracature adatte, agli interessati fino a qualche tempo fa non restavano che due vie: o adottare un'imbracatura da alpinismo e modificarsela con penosi sforzi, oppure tentare, con sforzi ancora più penosi, di fabbricarsene una con le caratteristiche richieste. Molto probabilmente la soluzione ideale era, ed è, la seconda in quanto un baudrier fatto su misura risponde senz'altro meglio alle esigenze personali rispetto ad uno fatto in serie. In realtà la costruzione di un'imbracatura è un lavoro discretamente lungo e delicato specialmente perché si tratta di trovare quell'equilibrio comodità-rigidità del quale parlavo più sopra; è cosa nota che il mancato ritrovamento di questo equilibrio si paga, generalmente, con la necrosi pressoché completa

dell'apparato genitale dell'utilizzatore. Personalmente mi sono cimentato un paio di volte nella costruzione di simili arnesi ottenendo, nella prima volta, dei risultati discreti a prezzo, però, di decine di prove, adattamenti, rifacimenti e correzioni. Se non avete un'esperienza in costruzioni di questo genere potete anche evitare di farvela, infatti ora c'è una terza alternativa rispetto alla costruzione o all'adattamento delle imbracature. Sono arrivati, anche sul mercato italiano, dei tipi di imbracature francesi (TSA-Marbach) concepite appositamente per la speleologia (fig. 1-2-3). Stando al parere di chi già le usa sembrano garantire una buona comodità e praticità, sarebbe però interessante conoscerne i carichi di rottura. Badino dice però che sono sconsigliabili perché con punti critici soggetti a usura.

     Se siete particolarmente diffidenti verso queste novità o se soffrite di xenofobia non vi resta che leggere, nelle righe seguenti, le modifiche da fare ad un baudrier da roccia per adattarlo all'uso speleologico. Premetto che non ho la pretesa di parlare di nulla di nuovo ma voglio solamente descrivere, ad uso e consumo di chi ancora non la conosce, una serie di modifiche entrate nella pratica corrente all'interno del nostro gruppo e di altri. L'imbracatura-base da usare è la Cassin in due pezzi (superiore ed inferiore).

     Il pezzo superiore (fig. 4-A), all'origine, è in pratica un cinturone semplice fornito di bretelle che hanno il compito di tenerlo all'altezza del petto, siccome a noi interessa posizionato all'incirca all'altezza dell'ombelico è bene scucire le bretelle, anche perché possono essere di intralcio nei passaggi stretti e, se mal regolate, tendono ad affaticare le spalle. Vicino agli occhielli di chiusura del cinturone sono cuciti quattro anelli metallici, tre di questi sono inutili e vanno tolti, uno lo si può tenere per agganciarvi il moschettone del cordino di autoassicurazione quando non lo si usa. Sul cinturone sono anche cuciti degli anelli di fettuccia che avrebbero dovuto servire per attaccare moschettoni, chiodi ecc.; a noi possono solo servire per attaccarvi il moschettone della corda di sicura, durante una crisi di sonno, prima di una salita su

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scalette: siccome sicuramente hanno un carico di rottura non terrificante è meglio tagliarli subito via al fine di evitare simili lugubri e mortali manovre. Dopo le modifiche questo pezzo deve essere come in fig. 4-B. Fatte le modifiche alla parte superiore si passa a quella inferiore (fig. 5-A) che è leggermente più complessa. I due anelli dove passa il maillon-rapide di chiusura tendono a salire notevolmente quando ci si appende sul baudrier, spostando quindi in alto il punto di attacco. Il discensore arriverà, in queste condizioni, all'incirca all'altezza dei vostri capelli che tenderanno inevitabilmente a finirvi dentro mentre, in risalita, vi ritroverete il bloccante pettorale all'altezza del naso con la possibilità di rimanere strangolati dalla relativa fettuccia. E' necessario quindi collegare gli anelli di chiusura dell'imbrago con i cosciali a mezzo di due pezzi di fettuccia cuciti con filo di nylon (fig. 5-B) : non abbiate paura di abbassare molto i due anelli di chiusura avvicinandoli a 6-7 cm dai cosciali.

     Dopo aver modificato anche il pezzo inferiore unite i due pezzi nella parte posteriore (poco sopra l'osso sacro) facendo passare un pezzetto di fettuccia da 25 mm dentro l'anello del pezzo superiore ed intorno alla cintura del pezzo inferiore, bloccate quindi il pezzetto di fettuccia con due rivetti da calzolaio o cucendo con filo di nylon. I due pezzi così uniti formano un insieme unico (fig. 6) che viene chiuso, sulla parte anteriore, dal solito maillon rapide triangolare (delta) che passerà dentro a tutti e quattro gli anelli di chiusura (i due del pezzo superiore e i due del pezzo inferiore).

     Non prendete degli imbraghi troppo stretti, all'acquisto tenete conto che lo dovete indossare sopra il vestiario e sopra la tuta in PVC. Le misure sono 1^-2^-3^ ecc. per il pezzo inferiore ed in centimetri il cinturone superiore; sono alto m 1,74, peso 65 kg ed ho preso una 3^ per il pezzo inferiore ed una 85 cm per quello superiore: regolatevi di conseguenza.

     Voglio accennare infine ad un tentativo che ho fatto ultimamente per limitare l'usura dovuta allo sfregamento del baudrier contro la roccia. Ho recuperato presso la ditta Schiavino (c. XI Febbraio 27) dei ritagli di PVC armato internamente (del tipo usato per i teloni di copertura dei camions), ho tagliato il PVC a striscie larghe quanto la fettuccia del baudrier ed ho fatto cucire queste striscie esternamente sull'imbracatura da un calzolaio. Siccome si tratta di un materiale che resiste molto bene all'abrasione mi pare possa proteggere efficacemente le cuciture e le fettuccie degli imbraghi: infatti fino ad ora ho raggiunto lo scopo.

     Le modifiche descritte in queste note forse non vi regaleranno un imbrago mondo da qualunque difetto, però dovrebbero permettervi un impiego razionale delle tecniche su sola corda evitandovi di entrare in odore di santità a causa delle indicibili sofferenze che sicuramente patireste usando un'imbracatura inadatta.

Flavio Miniscalco

 

 

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i 20 anni di GROTTE

     Il tempo passa, dieci anni fa avevo scritto sul n. 34 del bollettino un articoletto dal titolo "I 10 anni di Grotte"... Ora il bollettino ha compiuto i 20 anni. Chi è interessato a conoscere i primi dieci anni di storia del nostro periodico può consultare sia il detto n. 34 e sia il n. 52, numero speciale dedicato ai 20 anni del GSP.

     Nel secondo decennio di sua vita, i fatti più importanti per il bollettino riguardano più che altro la veste tipografica. Infatti la periodicità quadrimestrale, il formato e il carattere di bollettino informativo interno sono stati mantenuti, mentre il livello degli articoli oscilla sempre su uno standard abbastanza soddisfacente (il giudizio non è nostro) e che rispecchia un po' la forza del Gruppo, dove non esistono soltanto validi esploratori. Anzi, se si potessero valorizzare come si deve le capacità che molti possiedono in campo scientifico e tecnico, i risultati sarebbero senz'altro migliori. E' risaputo da sempre, però, che moltissimi speleologi hanno maggior dimestichezza con i piantaspit che con la penna, e la difficoltà maggiore per i redattori è proprio quella di riuscire a far scrivere articoli.

     Le novità più rilevanti riguardano dunque la copertina, il sistema di stampa e l'introduzione di modesti inserti pubblicitari per occupare i risvolti interni della copertina stessa. La copertina è riuscita a mantenere fino al n. 39 (1969) la fotografia a piena pagina che aveva dal n. 17; successivamente l'esaurirsi dei clichées della "Stalattite d'oro" avrebbe comportato un grosso onere per fare di volta in volta clichées nuovi, ed inoltre la tipografia che ci stampava le copertine a un prezzo fallimentare è fallita. Il n. 40 è uscito dunque con copertina bianca, che nei tre bollettini successivi si è poi colorata di arancione scuro. Con il n. 44 però la copertina stessa si è vivacizzata alquanto, portando stampata a piena pagina in offset una foto di Pecorini che ritrae l'ingresso dell'abisso di Perabruna, in monocolore con tinta che varia ogni anno e cioè ogni tre numeri; ancora oggi, e cioè da 8 anni, si segue lo stesso sistema (si è avuta l'unica eccezione del n. 52/1973, dedicato ai 20 anni del GSP, in cui la copertina è tornata per una volta ad avere una foto in b.n. a piena pagina).

     Il sistema di stampa è cambiato con lo stesso n. 40 (1969). L'infaticabile Eugenio Gatto, lodevolmente intenzionato a ridurre le spese (e ad aumentare le entrate: eravamo arrivati ad avere una settantina di abbonamenti!), aveva provveduto: 1) a battere a macchina lui stesso gli articoli; 2) a far stampare in offset, rimpicciolendo notevolmente lo scritto e quindi aumentando di ben l'80% la capienza di una pagina (cioè, a 10 pagine attuali corrispondono ben 18 pagine dei vecchi

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bollettini); 3) a trovare un tipografo disposto soltanto a stampare, e ad accettare di lasciarsi poi invadere la tipografia da noialtri per impaginare, fascicolare, rifilare, ecc.

     In precedenza (dal n. 38), avevamo convinto qualche amico commerciante (Leo Ravelli, Piero Dematteis) a darci un piccolo contributo in cambio di mezza pagina di pubblicità.

     Per il resto, è aumentata nel frattempo un po' la tiratura (da oltre 300 a oltre 350 copie) ed è stato ritoccato il prezzo per gli abbonati, rimasto fissato a 1000 lire dal 1966 a tutto il 1973, e fino a ieri ancora fermo a 1500 lire, cifra irrisoria con la quale uno alla fine dell'anno si ritrova con tre bollettini per un totale di 100-120 pagine scritte fitte e ricche di sostanza, un vero affare...

     Il responsabile della redazione è sempre lo stesso. A coadiuvarlo si sono alternate negli ultimi 10 anni varie persone, nessuna però (salvo un caso) con la capacità o la voglia di assumere l'incarico di responsabile, e spesso anzi dando una collaborazione molto marginale (in certi casi fanno molto di più, sì, gli anonimi volenterosi che vengono in tipografia a impaginare). Dal n. 35 al 46 compreso, sono stati co-redattori Daniela Calleri e Eugenio Gatto, per il 47 Balbiano e De Laurentiis, per il 48 Balbiano, dal 49 al 52 Balbiano e Piera Biolino, per il 53 Badino e Balbiano, dal 54 al 58 il solo Badino, dal 59 al 62 Badino e Andrea Gobetti, per il 63 solo Badino, per il 64 Badino e Villa.

     Genio Gatto, entrato in redazione con il n. 27 (1965) è stato indubbiamente il più valido redattore che il bollettino abbia mai avuto. Purtroppo ha lasciato la redazione con il n. 46 per insanabili incompatibilità di carattere con altri membri del Gruppo; ha ancora curato la stampa del n. 47 (1972) e ha dato una mano nei numeri successivi ancora nei lavori di tipografia, prima di lasciare del tutto le attività speleologiche.

     A proposito del n. 47, va aggiunto che in supplemento a questo è stato pubblicato (grazie a Genio) in ristampa anastatica l'esauritissimo "Primo elenco catastale delle grotte del Piemonte e della Valle d'Aosta". E' anche utile ricordare, per chi volesse consultare i bollettini sinora usciti, che sul n. 35 è pubblicato l'indice generale del bollettino per argomenti e per grotta, dal n. 1 al 34 (Di Maio), e che sul n. 59 c'è un aggiornamento (Villa) dal n. 35 al 58.

     In questi 10 anni, le pagine dei 30 numeri usciti, senza contare il supplemento del 57, formerebbero un volume di 1076 pagine, quasi pari alle oltre 1100 pagine del primo decennio. Consideriamo però, come già detto, che dal n. 40 in poi ogni pagina contiene 1'80% in più di scritto rispetto al passato.

     Inizia ora il terzo decennio. C'è da augurarsi innanzitutto che la collaborazione sia attiva: scriviamo, documentiamo l'attività, e consegnamo gli articoli per tempo! Se arri-

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vassero finalmente i contributi che il CAI aspetta dalla Regione, si potrebbero forse avere i mezzi per pubblicare un bollettino a stampa. Ma l'importante non è certo la veste.

     E aspetto sempre, nell'interesse del bollettino, che venga fuori prima o poi un più valido responsabile.

M. Di Maio

 

Pubblicazioni ricevute

 

(a cura di Giuliano Villa)

P.Maifredi, M.V.Pastorino - Alessandro Brian speleologo (1873-1969) .

P.Maifredi, M.V.Pastorino - Nuove ricerche sulla sorgente Molinello (Alta Val Graveglio, provincia di Genova) .

E.Vernier - Osservazioni chirotterologiche su una nuova grotta di Vas e su alcune cavità vicine.

G.Rossi, U.Sauro - L'abisso dei Lesi.

Atti e Memorie della Commissione Grotte "E.Boegan", 1976.

M.Etonti - La grotta dell'Agnesi, nuova grotta del Montello.

R.Ruggieri - Il fenomeno carsico nell'area sudoccidentale dell'altopiano Ibleo.

J.Montoriol Pous, F.Chavarria - Estudio vulcano-espeleologico de la Budastellir (Islanda).

Catalogo concorso fotografico "Il Salon Internacional Reus 1976".

P.Algisi - Grotta del Compressore.

L.Cuccu- Grotta di S. Aintroxia.

P.Simbola - Grottone di Punta Fromighedda.

A.Simbola - Grotta del Serbatoio.

N.Casteret - L'appel des gouffres

N.Casteret - Profondeurs.

N.Casteret - Tenebres.

N.Casteret - Trente ans sous la terre.

Samivel - L'amateur d'abîmes (questi ultimi 5 libri sono stati donati dal Signor Frittitta).

 

PERIODICI

Speleo flash n.93/95/96/98/99/101, 1977.

NSS News, Jan 1978, Nov. 1977, Feb 78, Mar 78.

Il Grottesco n. 39 1976 (Secondo contributo alla conoscenza del fenomeno carsico della provincia di Como).

G.S.Bolzaneto, bollettino n. 1/1978 (nuovo tipo di chiodo per rocce tenere).

BCRA Bull. 19/1978.

Monte Conero n.1/1978, 2/1977.

G.S.Biellese CAI - Orso speleo Biellese n.4/1976 (2° Aggiornamento catastale della zona del M. Fenera; i lavori del 1976 al Mongioie) .

Bollettino G.S. Imperiese CAI n. 9 (Abisso dei Caprosci -305) .

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Cavernes n. 1/1978.

Les cavernes Valaisannes n.4/1978.

Der Schlaz 23/1977, 24/1978.

Subterra 73/1977.

Speleo Nederland 1976.

Kras 1976

Speleologia Veronese 1977.

Escursionismo n. 1/2 1978

Sottoterra n. 47, 48 1977

Bollettino della Società Adriatica di Scienze, Trieste vol. LX 1975/76.

Spelunca 1/1978 (La speleologia in URSS, carsismo nel Venezuela) .

Annali del Gruppo Grotte dell'Associazione XXX ottobre, vol. VI 1977.

Travaux de l'Institut "E.Racovitza", XVI 1977.

CAI Napoli 5/1977.

Pro Natura Piemonte - Per un futuro non nucleare.

L'Appennino, lug/Ag. 1977, sett/ott. 1977.

Pro Natura notiziario 11/77, 12/77, 1/78, 2/78.

Spelunca Special, suppl. al n. 1/1977.

Speleo Nederland 2/77, 4/77.

Grottan 4/77.

Natura Alpina 12/77, 13/78.

Subterra 71/1977.

NSS News Sept. 1977, Oct. 77, Dic. 77 (I e II parte) .

The NSS Bull. n.3/1977.

Die Höhle 4/76, 1-2-3/77.

Speleologia Sarda n. 24 1977 {in questo numero continua la trattazione sulla flora cavernicola; inoltre compare una lunghissima dissertazione sulla possibile dannosità dei "rumori" sull'organismo umano. L'Autore conclude che in grotta, se non altro, "ci ritempriamo anche dai danni della nostra civiltà dei rumori").

Speleo Flash n. 91 1976 (Curiosità.: la "gratta fessure", una curiosa pala adatta allo scavo in strettoie).

Grottes & Gouffres 64 1977 (Interessante è la ricetta per la preparazione "casalinga" della fluorescina, pare che l'operazione sia relativamente semplice e economica: lanciamo un appello ai chimici del gruppo!)

Mondo Sotterraneo n.2 1977

UIS Bull. 1/1977

G.S. SAT ARCO - Atti del IV Convegno regionale di speleologia del Trentino-Alto Adige 1977.

G.S. CAI Verona - Attività 1976.

Taternik 1/1977.

Speleologia sarda 25/1978 (studio sulla muscolatura caudale del Geotritone; un interessante articolo a cura del gruppo speleologico di Oliena: la civiltà neolitica nel territorio di Oliena (Nuoro); aggiornamento al catasto sardo: particolare curioso, il dover constatare che per difendere le nuove grotte dai soliti vandali i Sardi non hanno ritenuto opportuno pubblicare nel catasto le coordinate e la ubicazione precisa delle grotte....).